martedì 13 novembre 2012

Omelia sul Sacerdozio di san Giovanni Crisostomo.





L’omelia di San Giovanni Crisostomo sul sacerdozio è la prima predicata da Giovanni come prete ad Antiochia. È un testo che ha degli aspetti molto validi per noi, seminaristi, studenti, preti, monaci, nelle nostre situazioni ecclesiali odierne; aspetti validi per quanto riguarda la forma -vedere e sentire come un Padre della Chiesa faceva un’omelia- ci serve sempre di esempio; aspetti validi per quanto riguarda il contenuto -cosa ci insegna a noi, nel xxi secolo un autore del iv secolo. Faccio, in primo luogo, un brevissimo cenno sull’au­tore, poi una presentazione dell’Omelia sul Sacerdozio, e quindi cercherò di rilevare alcuni degli aspetti più importanti cui accenna­vo.

Autore.

Originario di Antiochia di Siria, nato nella metà del IV sec., Giovanni ricevete una buona formazione letteraria e cristia­na, la prima nella scuola di retorica pagana della sua città guidata dal famoso retore Libanio, la seconda, quella cristia­na, dalla mano sia di sua madre, sia soprattutto dalla frequentazione assidua della Sacra Scrittura. Dopo il battesimo, ricevuto all'età di 20 anni, fa qualche esperienza di vita monastica, semi eremitica ­per quattro anni ed eremitica poi per due anni; saranno gli anni in cui Giovanni s’impone di approfon­dire e quasi di imparare a memoria la Sacra Scrittura e pure si carica con dei rigori ascetici che li rovineranno per sempre la salute; rimarrà per tutta la sua vita una persona di salute fragile, e in più preoccupa­to -un po fissato- per la sua salute; di questo anche l’iconografia ne dà un’imma­gine chiara. Rientrato in diocesi dopo l'esperienza tra i monaci -e sottolineo il fatto che Giovanni avrà sempre in grande stima la vita dei monaci, e ne parlerà spesso nelle sue omelie-, nell’anno 381 è ordinato diacono e nel 386 viene ordinato prete, all'età più o meno di 40 anni. Ottimo oratore -assieme al suo contem­poraneo Agostino di Ippona sarà sicuramente il più grande predicatore cristiano-, per ben 12 anni ad Antiochia e spesso alla presenza del patriarca della città, prediche­rà le sue più belle omelie. Eletto alla sede patriarcale di Costanti­nopoli nel 398, sarà questa, l'epoca costantinopolita­na, quella più sfortunata della sua vita, benché rimane sempre vivo il grande predicatore. Esiliato dalla sede di Costantinopoli ­in Armenia nel 404, muore nel 407.


Opera. Omelia sul Sacerdozio.
Si tratta sicuramente della prima omelia del Crisostomo fatta nel giorno stesso della sua ordinazione oppure nei giorni immediatamente successivi. L’omelia è fatta alla presenza del vescovo Flaviano di Antiochia e di numeroso clero e popolo antiocheni; è il primo o uno dei primi esempi dell’oratoria di Giovanni Crisostomo, l’inizio di una predicazione durata 18 anni -12 ad Antiochia e 6 a Costantinopoli-, e in essa si delineano già i tratti del grande oratore; durante il periodo del diaconato si era dedito alla catechesi e lì il popolo aveva pregustato già le doti oratorie di quell’uomo fragile in salute ma forte e chiaro nella sua parola.
L’Omelia sul Sacerdozio è un testo assai breve nell’opera di Giovan­ni Crisostomo, che abituerà il suo uditorio a delle omelie che si prolungano per quasi un’ora al mattino con una ripresa al pomeriggio l’omelia sul Sacerdozio è lunga soltanto 8 pagine di testo greco nell’edizio­ne greco-francese di SC-, e ha una struttura molto chiara -pregio delle omelie crisostomiane e magari lo fosse di qualsiasi omelia: il prologo, lo sviluppo del tema e la conclusione; tre parti molto chiare, brevi e concise la prima e l’ultima, più lunga ed elaborata quella centrale. E’un testo utile e valido ancora oggi per noi, sia per il contenuto sia per il fatto che è un bel esempio di come si sviluppa una omelia, e in questo caso non una omelia su un testo biblico ma su un argomento preciso.

Contenuto dell’Omelia sul Sacerdozio.

Prologo. Da buon oratore, Giovanni fa del prologo della sua ome­lia una captatio benevolentiae, cioè un aggancio che attiri l’attenzione del popolo:
E’ vero quello che ci è accaduto? Sono veramente capitate queste cose oppure siamo presi in inganno? I fatti che viviamo, non sono forse un sonno nella notte? Veramente si è fatto giorno e siamo svegli? Chi potrà credere che di giorno, quando tutto il mondo è sveglio e cosciente, un uomo giovane, povero ed indegno, sia stato innalzato a questo livello di autorità?
Malgrado la sua riluttanza, Giovanni Crisostomo indica due cose che lo spingono ad aprire la bocca per il discorso: il popolo è lì, e aspetta la sua predicazione “a bocca aperta”, e poi il prete che predica è qualcuno che “entra nello stadio dell’insegnamento -della didaskali,”; quindi sottolinea queste due cose: il popolo e lì ed è venuto proprio per sentirlo e quindi non può deluderlo, e poi quello che sta per dire, per fare è una didaskali,a un insegnamento. Già nel prologo troviamo questi due aspetti direi notevoli.

Parte centrale del testo.

Il corpo dell’omelia, la parte centrale e più lunga del testo, è divisa in due parti: una prima parte di lode a Dio, e una seconda parte di elogio del vescovo Flaviano.
Le primizie della parola del Crisostomo sono per Dio; al Verbo, egli offre il verbo, la sua parola, parola che vorrà dire preghiera, lode a Dio e anche edificazione dei fedeli:

Vorrei, quindi, adesso che per prima volta parlo nella chiesa, consacrare le primizie di questa lingua (parola) a Dio che ce ne ha fatto dono; e questo infatti è giusto. Poiché bisogna offrire le primizie del frumento e del vino, ma anche le primizie della parola al Verbo, e piuttosto che garbe offrire dei discorsi poiché questi ci appartengono e sono a Dio piacevo­li.

Sempre in questa prima parte di lode a Dio, Giovanni Crisostomo si riconosce peccatore davanti al suo uditorio; e qui non si tratta -o non soltanto- di una forma retorica, ma traspare tutta la concezione ascetica di Giovanni, dell’ideale quasi monastico del cristiano a cui lui rimarrà attaccato tutta la sua vita:

Allo stesso modo che per tessere delle belle corone non basta che i fiori siano puri, ma bisogna anche che lo siano le mani che debbono tesserle, così anche per gli inni santi non bastano parole piene di pietà ma bisogna che sia anche piena di pietà l’anima che deve comporle.

A questo punto Giovanni inserisce un bel commento a alcuni versetti del salmo 148, con un indirizzo tipicamente antiocheno e crisostomiano: belve, uccelli, draghi, rettili... tutti sono ammessi alla lode di Dio; i peccatori soltanto ne possono essere esclusi:

“Lodate il Signore... Voi fiere e ogni specie di bestiame, rettili e uccelli alati...” E mi fermo al pronunciare queste parole... e il mio pensiero si vede turbato e mi viene voglia di piangere amaramente e di fare grandi lamenti. Cosa c’è di più abominevole, dimmi: scorpioni, rettili, draghi... tutti invitati a lodare colui che li ha creati e soltanto, da questo coro santo, ne viene messo da parte il peccatore.

L’unica ragione, allora, -e qui inizia la seconda parte dell’omelia- che lo spinge a lui, peccatore, a predicare, ad aprire la bocca, è l’elogio del padre, cioè del vescovo. La lode che un peccatore può fare è la lode degli uomini santi. Nel vescovo Flaviano di Antiochia sarebbero da lodare tante cose, e Giovanni ne fa un piccolo elenco: i suoi viaggi, le sue veglie, le sue preghiere, la sua sollecitudine per la chiesa antioche­na...
Giovanni Crisostomo si sofferma soltanto in un aspetto, in una virtù di Flaviano: il dominio di se stesso e il disprezzo di una vita facile. Giovanni si tratterrà spesso nella sua predica­zione sul peso che le ricchezze rappresentano nell’ascensione verso il cielo e quindi le ricchezze come peso, come mancanza di libertà personale e libertà di spirito, e cita il testo di Mt 19,24: è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio... Giovanni si trova, però, con un certo imbarazzo nel presentare il caso e l’esempio di Flaviano, perché sembra che era se non ricco almeno di famiglia ricca.
Flaviano, il vescovo, ci dice Giovanni, non ha guardato verso i suoi antenati familiari ma verso i suoi antenati spirituali, cioè i patriarchi veterotestamentari Abramo... e concretamente Mosè. Costui, di famiglia ricca -quella del faraone- fugge verso la povertà del suo popolo. Mosè lascia l’oro del faraone, si umilia a fare dei mattoni... in fondo quello che ne sottolinea il Crisostomo:

...non portava diadema, non indossava la porpora, non era alla guida di una carrozza d’oro... ma aveva calpestato sotto i suoi piedi l’orgoglio...
Sono tre le virtù che Giovanni evidenzia in modo speciale in Flaviano, nel vescovo: in primo luogo, l’abbiamo già visto, è umile -non è orgoglioso malgrado il luogo che occupa e il suo origine familiare ricco.
In secondo luogo, Flaviano è un uomo misurato nelle mortificazioni. In questo punto, il Crisostomo parlerà del digiuno come mortificazione:

Infatti, lui non mortificava il suo corpo fino al punto che il cavallo (il suo corpo) diventasse incapace di renderli alcun servizio; ma neppure lo lasciava correre in un troppo benessere al punto che diventasse incapace di alzarsi a causa della pesantezza...; era attento, allo stesso tempo sia alla salute sia alla disciplina...

In terzo luogo, la terza virtù di Flaviano, è la sua presenza tra i fedeli. Il vescovo è vicino ai fedeli, tra di loro, nelle lotte, nelle fatiche, nei guai. Lui veglia -diventa proprio vescovo per il popolo, e costui cammina in piena sicurezza. Giovanni ci dà una immagine molto Apastorale, nel senso più proprio della parola, del vescovo: lui custodisce con la sua presenza tra il popolo:

Lui siede sul luogo di comando e guarda senza sosta non gli astri del cielo, né le rocce che cadono nell’acqua... ma le trappole dal diabolo... e così mantiene tutti nella sicurezza; e veglia non soltanto sulla nave, ma anche fa tutto quanto può affinché nessuno, tra i naviganti, non abbia a soffrire niente...

Giovanni Crisostomo fa ancora un riferimento a un tema a lui molto caro, cioè il vescovo come padre del gregge, e l’episcopato come una successione in questa paternità episcopale; parlerà del padre di Flaviano in riferimento a Melezio, il suo predecessore ad Antiochia. Quindi l’episcopato come una successione nella paternità del gregge, della Chiesa.

Conclusione.
L’ultima parte dell’omelia è la conclusione, assai breve, di due pagine. Giovanni chiede scusa, e sarà una delle poche volte che il Crisostomo chiede scusa per la lunghezza della sua omelia; le altre volte che si accorge di essere stato lungo -e lo sarà spesso-, lo ritiene utile per i suoi ascoltato­ri. Dopo le scuse, conclude in modo assai rapido, quasi precipi­tato, chiedendo preghiere per il vescovo -che è il padre, il maestro, il pastore, il pilotta-, per la Chiesa e per lui stesso. Ormai all’inizio della Quaresima del Natale, Giovanni Crisostomo ci offre l’esempio del cristiano dedito all’ascesi, dedito alla sua chiesa, dedito alla lettura della Parola di Dio. Che il suo esempio ci sia di aiuto nel nostro cammino cristiano.


di P. Manel Nin. Rettore P.C.Greco


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