mercoledì 27 marzo 2013

Lunedì, Martedì, Mercoledì





La Fine
Questi tre giorni, che la Chiesa chiama Grandi e Santi hanno uno scopo molto preciso all’interno dello svolgimento liturgico della Santa Settimana. Essi dispongono tutte le sue celebrazioni, nella prospettiva della Fine; ci ricordano il significato escatologico della Pasqua. Molto spesso la Santa Settimana è considerata una delle “belle tradizioni” o delle “abitudini”, una “parte” ovvia del nostro calendario. La diamo per scontata e ne godiamo come di un evento annuale a noi caro, che abbiamo “osservato” sin dall’infanzia, di cui ammiriamo la bellezza delle ufficiature, lo sfarzo dei riti e, ultimo ma non meno importante, ci piace il frastuono della tavola pasquale. E poi, quando tutto questo è stato fatto riprendiamo la nostra normale vita. Ma abbiamo capito che, quando il mondo ha respinto il suo Salvatore, quando “Gesù ha cominciato ad essere triste e molto addolorato... e la sua anima è stata oltremodo triste fino alla morte”, quando Egli è morto sulla croce, la “normale vita” è giunta alla sua fine e non è più possibile. Poiché erano di quelli “normali” gli uomini che gridavano: “Crocifiggilo!”, che lo schiaffeggiarono e lo inchiodarono alla Croce. Ed essi lo hanno odiato ed ucciso proprio perché Lui stava turbando la loro vita normale. È stato davvero un mondo perfettamente “normale”, che ha preferito le tenebre alla luce e la morte e la vita... Con la morte di Gesù, il mondo “normale”, e la “normale” vita sono stati condannati irrevocabilmente. O, piuttosto è stata rivelata la loro vera e anormale incapacità di ricevere la Luce, il terribile potere del male in essi. “Ora è il giudizio è di questo mondo” (Giovanni 12, 31). La Pasqua di Gesù ha significato per “questo mondo” la sua fine, ed è stato alla sua fine da allora. Questa fine può durare per centinaia di secoli, ciò non altera la natura del tempo in cui viviamo come “ultima volta”. “La forma di questo mondo passa...” (I Cor. 7, 31). Pasqua significa passaggio. La festa di Pasqua, era per gli Ebrei la commemorazione annuale di tutta la loro storia come salvezza, e della salvezza come passaggio dalla schiavitù d’Egitto alla libertà, dall’esilio alla terra promessa. Era inoltre l’anticipazione del passaggio finale – nel Regno di Dio. E Cristo era il compimento della Pasqua. Lui ha compiuto l’ultimo passaggio: dalla morte alla vita, da questo “vecchio mondo” in un nuovo mondo in un nuovo tempo, quello del Regno. Ed ha aperto la possibilità di questo passaggio per noi. Pur vivendo in “questo mondo” noi possiamo già essere “non di questo mondo”, cioè, essere liberi dalla schiavitù della morte e del peccato, partecipi del “mondo a venire”. Ma per questo dobbiamo anche effettuare il nostro passaggio, dobbiamo condannare il vecchio Adamo in noi, dobbiamo immergerci in Cristo nella morte battesimale e avere la nostra vera vita nascosta in Dio con Cristo, nel “mondo a venire...”. E così la Pasqua non è una commemorazione annuale, solenne e bella, di un evento passato. Essa è questo Evento che si è mostrato in sé stesso, si è dato a noi, come sempre efficiente, rivelando sempre il nostro mondo, il nostro tempo, la nostra vita come alla loro fine, e per annunciare il Principio della nuova vita... E la funzione dei primi tre giorni della Santa Settimana è proprio quella di sfidarci con questo significato ultimo della Pasqua e prepararci alla comprensione e all’accettazione di esso. Questa sfida escatologica (che vuol dire ultima, decisiva, finale) viene rivelata, in primo luogo, nel comune tropario di questi giorni:
Tropario – Tono 8:
Ecco lo Sposo viene nel mezzo della notte, e beato è il servo che Egli trova a vegliare e, invece, è indegno il servo che Egli trova noncurante. Guarda, dunque, anima mia, di non lasciarti opprimere dal sonno, per non essere consegnata alla morte e chiusa fuori del Regno! Ma, vegliando, grida: Santo, Santo, Santo, sei tu, il nostro Dio! Per l’intercessione della Theotokos, abbi pietà di noi!
Mezzanotte è il momento in cui il vecchio giorno giunge alla fine e comincia un nuovo giorno. È quindi il simbolo del tempo in cui viviamo come Cristiani. Infatti, da un lato, la Chiesa è ancora in questo mondo, condividendo le sue debolezze e le sue tragedie. Ma, dall’altro lato, il suo vero essere non è di questo mondo, perché lei è la Sposa di Cristo e la sua missione è di annunciare e di rivelare la venuta del Regno e del nuovo giorno. La sua vita è un perpetuo vegliare e attendere, una veglia puntuale fino agli albori di questo nuovo giorno. Ma sappiamo ancora quanto è forte il nostro attaccamento al “vecchio giorno”, al mondo con le sue passioni e i suoi peccati. Sappiamo quanto profondamente apparteniamo ancora a “questo mondo”. Abbiamo visto la luce; conosciamo Cristo, abbiamo sentito parlare della pace e della gioia della vita nuova in Lui, ma ancora il mondo ci tiene in schiavitù. Questa debolezza, questo costante tradimento di Cristo, questa incapacità di dare la totalità del nostro amore all’unico vero oggetto d’amore sono mirabilmente espressi nell’exapostilarion di questi tre giorni:

“La tua Camera Nuziale vedo ornata, o mio Salvatore, ma non ho la veste nuziale per poter entrare, o Datore di vita, illumina la veste della mia anima e salvami”.
Lo stesso tema si sviluppa ulteriormente nelle letture evangeliche di questi giorni. Prima di tutto, l’intero testo dei quattro Evangeli (fino a Giovanni 13, 31) è letto durante le Ore (I, III, VI e IX). Questa ricapitolazione mostra che la Croce è il culmine di tutta la vita e del ministero di Gesù, la chiave per la loro corretta comprensione. Tutto nell’Evangelo porta a questa ultima ora di Gesù e tutto ciò deve essere compreso alla sua luce. Poi, ogni ufficiatura ha la sua lettura evangelica propria:
Il Lunedì:
Al Mattutino: Matteo 21, 18-43 – la storia dell’albero di fico, simbolo del mondo creato per recare frutti spirituali e della sua mancata risposta a Dio. Alla Liturgia dei Doni Presantificati: Matteo 24, 3-35: il grande discorso escatologico di Cristo. I segni e l’annuncio della Fine. “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno...”.
“Quando il Signore stava andando alla Sua volontaria Passione, lungo la strada Egli disse ai Suoi Apostoli: Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e il Figlio dell’Uomo sarà innalzato come è scritto di Lui. Venite, dunque, e accompagnateci con Lui, con la mente purificata dai piaceri di questa vita, e facciamoci crocifiggere e moriamo con Lui, per così poter vivere con Lui, e poterlo ascoltare mentre ci dice: ora io vado, non alla Gerusalemme terrena, per soffrire, ma fino al Padre mio e Padre vostro e Dio mio e Dio vostro, e vi raccoglierò nella Gerusalemme celeste, nel Regno dei Cieli…” (Mattutino del Lunedì).
Il Martedì:
Al Mattutino: Matteo da 22, 15 a 23, 39. Condanna dei farisei, cioè, della religione cieca e ipocrita, di coloro che pensano di essere i “leaders” dell’uomo e la luce del mondo, ma che in realtà “precludono agli uomini il Regno dei cieli”. Alla Liturgia dei Presantificati: Matteo da 24, 36 a 26. Di nuovo la Fine e le parabole della Fine: le dieci vergini sagge che avevano sufficiente olio nelle loro lampade e le dieci stolte quelle che non sono state ammesse al banchetto nuziale; la parabola dei dieci talenti. “Quindi siate anche voi pronti, perché nell’ora che voi non pensate verrà il Figlio dell’uomo”. E, infine, il Giudizio Ultimo.
Il Mercoledì:
Al Mattutino: Gv 12, 17-50: il rifiuto di Cristo; l’acuirsi del conflitto, l’ultimo avvertimento: «È ora il giudizio di questo mondo… Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno». Alla Liturgia dei Presantificati: Mt 26, 6-16: la donna che versa il nardo di grande valore su Gesù, immagine dell’amore e del pentimento che, solo, ci unisce a Cristo. Queste letture dell’Evangelo sono spiegate ed elaborate nell’innologia di questi giorni: gli stichira e i triodia (canoni brevi di tre odi ognuno cantati al Mattutino). Un avvertimento, una esortazione le percorre tutte: la fine e il giudizio si avvicinano, dobbiamo prepararci per loro:
“Ecco, o anima mia, il Maestro ti ha conferito un talento. Ricevi il dono con timore; presta a lui che ha dato; distribuisci ai poveri e acquista per te stessa il tuo Signore, come tuo amico; che quando verrà nella gloria, con la potenza della sua mano destra ti farà sentire la sua voce benedetta: Entra, mio servo, nella gioia del tuo Signore”. (Mattutino del Martedì)
Durante tutta la Quaresima, i due libri del Vecchio Testamento, Genesi e Proverbi, vengono letti ai Vespri. Con l’inizio della Santa Settimana sono sostituiti da Esodo e Giobbe. L’Esodo è la storia della liberazione di Israele dalla schiavitù egiziana, della sua Pasqua. Esso ci prepara per la comprensione dell’esodo di Cristo al Padre Suo, del Suo compimento di tutta la storia della salvezza. Giobbe, il Sofferente, è l’Antico Testamento icona di Cristo. Questa lettura annuncia il grande mistero delle sofferenze, dell’obbedienza e del sacrificio di Cristo. La struttura liturgica di questi tre giorni è ancora di tipo quaresimale. Sono inclusi, quindi, la preghiera di sant’Efrem il Siro con le prostrazioni, la lettura accresciuta del Salterio, la Liturgia dei Doni Presantificati e il canto liturgico quaresimale. Siamo ancora nel tempo del pentimento, perché solo il pentimento ci rende partecipi della Pasqua di Nostro Signore, e ci apre le porte del banchetto Pasquale. E dopo, il Santo e Grande Mercoledì, quando l’ultima liturgia dei Doni Presantificati sta per essere completata, dopo che i Santi Doni sono stati tolti dall’altare, il sacerdote recita per l’ultima volta la preghiera di sant’Efrem. In questo momento, la preparazione giunge alla fine. Il Signore ci chiama ora alla sua Ultima Cena.
di: ALEXANDER SCHMEMANN




domenica 24 marzo 2013

Settimana Santa 2013



Settimana Santa e Pasqua 2013
Orario delle celebrazioni nella Chiesa di Sant'Atanasio dei Greci


Domenica delle Palme
19:00 (Sabato) vespro.
10:30 Benedizione delle Palme e Liturgia di San Giovanni Crisostomo.
Lunedì Santo
18:30 Orthros del Nymphios.
Martedì Santo
18:45 Liturgia dei Presantificati
Mercoledì Santo
18:45 Liturgia dei Presantificati
Giovedì Santo
10:30 Esperinòs e Liturgia di San Basilio.
18:00 Ufficio della Passione (Lettura dei 12 Vangeli)
Venerdì Santo
10:00 Ora Nona, Esperinòs e Deposizione dalla Croce.
18:00 Epitaphios thrinos, Enkomia e Processione.
Sabato Santo
10:00 Esperinòs e Liturgia di San Basilio.
23:00 Mesonyktikòn, Anastasis,
Orthros e Liturgia di San Giovanni Crisostomo.
Domenica di Pasqua
10:30 Liturgia di San Giovanni Crisostomo.
19:00 Esperinòs. Proclamazione del Vangelo in diverse lingue.





sabato 23 marzo 2013

Triodion - Grande Quaresima



SESTA DOMENICA DEI DIGIUNI

Domenica delle Palme



Una settimana prima di Pasqua, i credenti festeggiano la Domenica delle Palme, giorno in cui ricordano l’entrata di Gesù Cristo a Gerusalemme: entrata gloriosa e al tempo stesso piena di umiltà. Il popolo lo accoglie come un Re, con grida di gioia, agitando rami di palme, e l’Evangelo dice: “Tutta la città era commossa” (Matteo 21, 10). Ma era un Re che non disponeva di alcun potere se non quello dell’amore, non aveva da dare altro che libertà e gioia, non richiedeva che quello stesso amore, quella stessa libertà. “Ecco viene a te il tuo re pieno di dolcezza”(Matteo 21, 5). L’Evangelo cita questo testo del profeta Zaccaria, questa profezia viene letta durante l’ufficio della Domenica delle Palme. E precisamente in questo incontro fra l’umiltà e la regalità, il potere e l’amore, la gloria e la libertà, risiede il senso eterno di questo avvenimento evangelico e di questa festa che la Chiesa chiama “Entrata del Signore a Gerusalemme”. Come allora, il mondo attuale esalta il dominio, la potenza, l’onore, la concorrenza. Allora come oggi ciascuno vuol regnare sull’altro, comandare, dirigere, esercitare il proprio potere. “I re delle nazioni– dice Cristo – dominano su di esse da padroni ed esercitano il potere. Non deve essere così fra voi...”(Matteo 20, 55). Spesso, riduttivamente, si vuol vedere nella religione in generale, e nel cristianesimo in particolare, un insieme simultaneo di sete di sottomissione e di potenza. Nella religione si vede l’abbassamento dell’uomo, una sottomissione di schiavo di fronte ad un Assoluto terrificante. Dio è percepito come la proiezione umana dell’asservimento e della tirannia, di tutto ciò che avvilisce, schiavizza, opprime l’uomo. Si è costruita ed insegnata tutta una serie di teorie sulla religione e la sua origine, sul modello dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, sui rapporti che lo legano ai detentori del potere, sul suo carattere di classe. Per questo si collega la liberazione dell’uomo ad una sua emancipazione nei confronti di questa ebbrezza religiosa, di questo “oppio” che contribuirebbe a mortificare l’uomo addormentandolo con la promessa di una ricompensa nell’aldilà, che lo priverebbe di ogni volontà di lotta, di miglioramento della propria sorte sulla terra, di liberazione da ogni sfruttamento... Ma che fare di una dottrina, di una religione, che ci presenta Dio stesso nell’aspetto di un uomo povero e umile? Quest’uomo, tuttavia, è assolutamente e integralmente libero. Dinanzi a Dio dunque chiunque detiene un potere trema, freme e cerca di mobilitare tutte le proprie forze per distruggere, respingere, annientare il terribile insegnamento sull’amore, la libertà, la verità. Che fare di una religione che non può in alcun modo stendersi su letto di Procuste delle teorie scientifiche secondo le quali al cuore di ogni religione dovrebbe necessariamente trovarsi la paura, la sottomissione cieca, l’asservimento? Ecco che avanza verso Gerusalemme il Maestro povero, senza casa né tetto, senza un luogo ove posare il capo. Ecco che Egli manda i suoi discepoli a cercargli un umile animale, l’asinello da cavalcare, e questo è tutto il suo trionfo, questa la sua gloria! Ed ecco che viene ad incontrarlo una folla immensa mentre tutta la città risuona dei saluti tradizionalmente riservati ai re: “Osanna! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!”. In quel momento egli non ebbe altro potere, altra regalità: inutili ed assurdi tutti gli ammennicoli del potere umano, le intimidazioni, le autoglorificazioni. Egli insegnava: “Imparate la verità e la verità vi renderà liberi”. Tutto il suo insegnamento dimostra che non esiste potere al mondo capace di spezzare interiormente e di asservire colui che conosce la verità e che in essa ha acquistato la libertà. Si può trasformare un intero paese in una prigione ed obbligare i popoli a tremare per decine di anni. Viene il momento in cui la verità trionfa ed il potere trema. Allora bisogna ancora mobilitare degli schiavi perché gridino: “Crocifiggeteli, annientateli, chiudete la bocca a questi criminali”. Che fare in questo mondo ove prima o poi la parola, la poesia, il pensiero sono più forti di tutti gli “apparati”, di tutti i “poteri”... È tutto questo che ci riporta la Domenica delle Palme, è questa libertà che costituisce l’essenziale di questa festa. Ci dicono che la religione svia tutti i nostri interessi verso l’aldilà... ma il Regno della libertà dell’amore e della verità si è levato sulla nostra terra. Il Cristo è entrato in una città di questo mondo, ad accoglierlo ed acclamarlo era gente di quaggiù. Egli ha insegnato che bisogna essere liberi qui ed adesso, che adesso bisogna amare, che bisogna vincere ogni paura con l’amore, che l’uomo realizza la propria eternità in questo mondo creato da Dio, colmo della bellezza di Dio, e al quale Dio ha conferito un significato. Ed ogni volta che nell’ufficio della vigilia, nella veglia della Domenica delle Palme, nel momento solenne e gioioso in cui i fedeli che riempiono la chiesa levano le palme nella luce dei ceri, nel momento in cui risuona di nuovo l’acclamazione “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”, in quel momento non si commemora solo ciò che è avvenuto un tempo in un paese lontano... No! Essi sono là ora e fanno giuramento di fedeltà al solo Re e all’unico Regno, essi promettono di essere fedeli alla libertà, alla verità, all’amore che Egli ha annunciato. O, più semplicemente essi riaffermano e annunciano la libertà divina dell’uomo. Tutto il resto non esiste e non può soggiogare che nella misura in cui non si oppone a questa libertà, a questo amore, a questa verità. Sì, io mi sottometto ad ogni legge di questo mondo meno che a quella che nega questa libertà... E a chi mi dirà che è la legge del potere legittimo io risponderò che tutte le leggi e tutti i poteri sono tali solo nella misura in cui essi stessi sono sotto la legge della libertà, dell’amore, della verità.La Domenica delle Palme è la festa della liberazione, la festa del Regno di Dio, venuto in tutta la sua forza, come annuncia l’Evangelo. Certo, noi sappiamo che dopo la luce e la gioia di questo giorno ci immergeremo nella tristezza e nelle tenebre della Grande e Santa Settimana. Il potere non perdonerà e non dimenticherà il trionfo di Cristo. Lo condannerà a morte, farà di tutto per estirpare fino all’ultima particella di questo terribile insegnamento. Quest’appello alla libertà, all’amore, alla verità è insopportabile per il potere. La Domenica delle Palme è “anticipazione della Croce“ come proclama uno dei canti di questa festa. Ma noi sappiamo già che dal profondo del Venerdì Santo sulla strada del Golgota, in cammino verso la sofferenza e la crocifissione ci giungono le parole di Cristo: “Padre, l’ora è venuta: glorifica il Figlio affinché il Figlio ti glorifichi”(Giovanni 17, 1-2)

da Alexander Schmemann, in “Le Messager Orthodoxe”, III-IV 1984; trad. J. K.

APOLITIKION

Συνταφέντες σοι διὰ τοῦ Βαπτίσματος, Χριστὲ ὁ Θεὸς ἡμῶν, τῆς ἀθανάτου ζωῆς ἠξιώθημεν τῇ Ἀναστάσει σου, καὶ ἀνυμνοῦντες κράζομεν· Ὡσαννὰ ἐν τοῖς ὑψίστοις, εὐλογημένος ὁ ἐρχόμενος, ἐν ὀνόματι Κυρίου.

Sepolti assieme a te o Cristo Dio nostro, per mezzo del battesimo e della tua risurrezione siamo resi degni della vita immortale. Perciò inneggiando gridiamo a Te: osanna nel più alto dei cieli; benedetto colui che viene nel nome del Signore.




mercoledì 20 marzo 2013

Rassegna di Musica Bizantina




"Σταυρωθέντα τε υπέρ ημών... Και αναστάντα τη τρίτη ήμερα..."



Venerdì 22 Marzo ore: 18:00

Chiesa di Sant’Atanasio, via del babuino 149 - Roma



Rassegna di musica bizantina eseguita dalla corale del Pontificio collegio Greco di "S. Atanasio".  Come da titolo ("Fu crocifisso per noi... E il terzo giorno è risuscitato"), verrà eseguito un repertorio di canti liturgici, tipici della settimana santa di tradizione bizantina. I partecipanti saranno introdotti all'interno degli eventi salvifici attraverso i tipici inni di ciascuna delle celebrazioni quotidiane della Grande Settimana: dalla Domenica delle Palme, attraverso gli eventi salvifici della passione e della morte, si giungerà fino alla gloriosa Risurrezione.




domenica 17 marzo 2013


Εις Πολλά Έτη Δέσποτα

La componente orientale nella liturgia di inizio pontificato di Papa Francesco 

            La liturgia di inizio di pontificato del vescovo di Roma ha una componente orientale. Con questa espressione “componente orientale” oppure “aspetti orientali” facciamo riferimento alla presenza di parti della liturgia romana, epistola o vangelo, cantati in lingua greca, ed anche alla tradizione plurisecolare della partecipazione del Pontificio Collegio Greco di Roma nelle liturgie del vescovo di Roma. Questa tradizione, risalente alla fine del XVI secolo, mette in luce da una parte l’origine greca in quanto alla lingua della stessa liturgia romana, e dall’altra parte la dimensione veramente cattolica di questa Chiesa e del ministero del suo vescovo.
            Le parti orientali bizantine nella liturgia di inizio di pontificato di Papa Francesco saranno presenti nella liturgia della Parola. Nella processione iniziale il sacerdote o il diacono greco apre il corteo dei concelebranti accanto al diacono latino; ambedue reggono il proprio evangeliario che viene collocato sopra l’altare. Dopo i riti iniziali, avviandosi alla proclamazione del vangelo, i diaconi latino e greco ricevono la benedizione del Santo Padre prima di prendere gli evangeliari dall’altare. Dopo il canto dell’alleluia, la pericope del vangelo è cantato per primo in lingua latina. Quindi il diacono greco, con le formule della Divina Liturgia Bizantina, invita l’assemblea all’ascolto sapiente del vangelo nell’acclamazione in lingua greca: “Sapienza. In piedi ascoltiamo il Santo Vangelo”, e il Santo Padre benedice l’assemblea: “Pace a tutti”. L’assemblea rispose: “E col tuo spirito”. Il diacono prosegue con l’annuncio della lettura del vangelo: “Lettura del Santo Vangelo secondo…”. E quindi la risposta dossologica dell’assemblea: “Gloria a Te, Signore, gloria a Te”. Alla fine del vangelo, di nuovo si canta la risposta dossologia dell’assemblea: “Gloria a Te, Signore, gloria a Te”. Riportato l’evangeliario al Santo Padre, con esso benedice l’assemblea, mentre il coro canta l’acclamazione: “Per molti anni, Signore!”, che è l’acclamazione che nella liturgia bizantina presieduta dal vescovo il coro canta dopo la processione con l’evangeliario nel piccolo ingresso, dopo la proclamazione del vangelo, dopo la processione con i doni nel grande ingresso e dopo la comunione.
            La tradizione della partecipazione del Pontificio Collegio Greco alle celebrazioni liturgiche più importanti del Papa rissale al pontificato di papa Sisto V (1585-1590), che concesse al Collegio Greco il privilegio di cantare in greco l’epistola e il vangelo nelle messe papali solenni. L’uso, pero, della presenza di ambedue le lingue liturgiche, latino e greco, nella liturgia del vescovo di Roma risale alla fine del VII ed inizio dell’VIII secolo, quando si succedettero a Roma diversi papi di origine orientale; infatti le persecuzioni iconoclaste e quelle dei califfi abbasidi in Oriente portarono all’esilio in Occidente molti orientali che parlavano greco. Anastasio il Bibliotecario, che visse nel IX secolo racconta che papa Benedetto III (855-858), benché romano di origine, ebbe cura di preparare un codice dove furono trascritte, in greco e latino, le profezie che, nel rito romano, venivano lette il Sabato Santo ed il Sabato prima di Pentecoste. Dall’OrdoRomanus I, ripreso poi dall’OrdoRomanus X, scritto nell’XI secolo, sappiamo che si leggeva la profezia in latino e, di seguito, se il Papa lo considerava opportuno, essa veniva ripetuta in greco. Nel concilio di Pisa del 1409, nella celebrazione dell’incoronazione di Papa Alessandro V, latino di rito ma nato a Creta, l’epistola ed il vangelo furono cantati in latino, greco ed ebraico. Durante l’incoronazione di papa Nicolò V nel 1447, un cardinale cantò il vangelo in latino, mentre che un archimandrita basiliano lo cantò in greco. Papa Sisto V nel 1586 fecce sopprimere gli uffici di diacono e suddiacono greco e li fecce trasferire agli studenti del Collegio Greco. Con questo fatto il papa dava un segno di stima verso il Collegio Greco. I titoli di diacono e suddiacono greci rimasero quindi legati al Collegio Greco, e fu fino al 1870 che, nei giorni di celebrazioni papali in cui diacono e suddiacono erano presenti, una carrozza del palazzo Apostolico veniva a prelevarli in Collegio.
            Nel 1724 papa Benedetto XIII riprese l’uso antico della lettura in greco, da parte di un alunno del Collegio Greco, della prima delle profezie del Sabato Santo ed, alternativamente in latino e greco, la prima di quelle del sabato prima della Pentecoste; lo stesso papa vuole che i ministri greci celebrassero con i propri paramenti e non con quelli latini. Ancora nel Venerdì Santo del 1725 lo stesso Benedetto XIII fece leggere in greco l’apostolo ed il vangelo del giorno.
            A partire del 1896, con l’arrivo del benedettini nel Collegio Greco sotto papa Leone XIII, viene ripresa normalmente la presenza di due seminaristi del Collegio nelle celebrazioni papali solenni. La prassi lungo il XX secolo e quindi quella anche attuale per quanto riguarda la partecipazione del Pontificio Collegio Greco alle celebrazioni papali solenni è quella del canto dell’epistola e del vangelo in lingua greca nella liturgia In coena Domini del Giovedì Santo, ed il canto del vangelo in greco nelle canonizzazioni ed in alcune liturgie particolarmente solenni, nonché nella liturgia di funerale del Sommo Pontefice, in cui viene cantato anche un Trisaghion bizantino in lingua greca; quindi nella liturgia di inizio di pontificato.
            Accenno anche a due celebrazioni speciali avvenute negli anni 1908 e 1925 a cui il Collegio Greco partecipò in maniera diretta. Il giorno 12 febbraio 1908 si celebrò, nell’aula «delle beatificazioni» alla presenza del Santo Padre Pio X, la Cappella Papale per la celebrazione del XV centenario della morte di san Giovanni Crisostomo; la liturgia fu celebrata dal Patriarca greco melchita di Antiochia Cirillo VIII Geha, con il coro e i ministri del Pontificio Collegio Greco di Roma. Nell’introduzione all’apposito libretto pubblicato in quell’occasione, si indica che nella suddetta aula, non essendoci un altare “isolato”, cioè staccato dal muro, che permettesse di essere girato nelle diverse processioni ed incensazioni della Divina Liturgia Bizantina, fu collocato un altro altare “isolato” e, di fronte ad esso, due leggii con due icone di Cristo e della Madre di Dio; accanto ad esse fu collocato un terzo leggio con l’icona di san Giovanni Crisostomo. È interessante di notare che nell’introduzione al libretto liturgico citato, viene ancora indicata questa annotazione: dagli officianti si osserverà integralmente il rito greco… Il Sommo Pontefice, capo supremo di tutti i riti, opererà nel medesimo tempo anche quale Presidente dell’assemblea liturgica greca, al quale sono rimessi e riservati i principali atti di onore e di giurisdizione… Egli adopererà la lingua liturgica greca…. Il testo della Divina Liturgia di san Giovanni Crisostomo utilizzato in quella occasione fu quello preparato nel 1907 da uno dei professori residenti nel Pontificio Collegio Greco, P. Placido De Meesterosb.
            La seconda celebrazione a cui vorrei fare accenno è quella tenutasi il giorno 15 novembre 1925 in occasione del XVI centenario del concilio di Nicea del 325. Anche in questa occasione la liturgia fu presieduta dal papa, sua Santità Pio XI, e come celebrante principale fu invitato anche questa volta il patriarca greco melchita di Antiochia Dimitrios Cadi; costui, però, morì improvvisamente il 26 ottobre a Damasco, e fu sostituito dal metropolita greco cattolico romeno di Fagaras Basilio Suciu. La liturgia fu celebrata nella basilica di San Pietro; come nella precedente celebrazione del 1908, fu collocato, davanti all’altare della confessione, un altare “isolato” con dei leggii a modo di iconostasi. In ambedue le celebrazioni citate viene indicata nell’introduzione agli appositi libretti, che la celebrazione della liturgia greca fu “integrale”, cioè senza aggiunte né mescolanze con la tradizione liturgica romana. Il Papa –Pio X e Pio XI rispettivamente nella prima e nella seconda celebrazione- presiedeva da un trono / cattedra collocato a sinistra di chi guardava l’altare. Era rivestito coi propri paramenti, coperto con la tiara, e impartiva le benedizioni in lingua greca lungo la celebrazione della Divina Liturgia.

P. Manuel Nin, rettore P.C.G.


sabato 16 marzo 2013

La prima volta di un patriarca alla messa d’insediamento




Bartolomeo I di Costantinopoli sarà presente con una delegazione ortodossa

Oltre al vicepresidente americano, il cattolico Joe Biden, saranno in molto capi di stato e di governo a presenziare alla messa d’insediamento, ma è tra i leader religiosi che si registrano già delle novità importanti e questa volta non è un caso definirle “storiche”.
Dallo scisma del 1054, che ha separato cattolici e ortodossi, non era mai accaduto che un patriarca fosse presente alla messa d’insediamento di un romano pontefice. Ma con papa Francesco arriverà a Roma il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, definito “verde” per la sua azione decisa volta alla responsabilità per il creato.
La notizia diffusa da Asianews ha fatto il giro del pianeta tra lo stupore e l’approvazione, quasi un primo segnale di un rinnovato slancio impresso al dialogo ecumenico.
Già nel telegramma di congratulazioni immediatamente dopo l’elezione di papa Bergoglio, Bartolomeo I aveva mostrato tutto il suo calore dichiarandosi “certo” che il nuovo Santo Padre potrà “contribuire alla pace della già martoriata umanità, dei poveri e dei sofferenti" oltre che promuovere un “nuovo slancio al cammino per l'unità delle due Chiese". 
E Bartolomeo non verrà a Roma da solo: con lui, nella delegazione ortodossa, saranno presenti anche il metropolita di Pergamo, Ioannis Zizioulas, copresidente della Commissione mista per l'unità fra cattolici e ortodossi (e autore della teologia del creato come “luogo eucaristico”), cui si aggiungerà Tarassios, metropolita ortodosso di Argentina e Gennadios Zervos, il metropolita d’Italia e Malta.
Per ora sembra prematuro un incontro con il patriarca Kirill di Russia: a spiegarlo è stato il metropolita di Volokolamsk, Ilarion, che peraltro ha ammesso la “possibilità” che avvenga in un prossimo futuro, una volta appianate diverse questioni sorte alla fine del secolo scorso circa il risarcimento o la riconsegna delle chiese sequestrate all’epoca del regime comunista.

 Maria Teresa Pontara Pederiva Roma

http://vaticaninsider.lastampa.it

mercoledì 13 marzo 2013

martedì 12 marzo 2013

Un’omelia di Giovanni Crisostomo sull’inizio degli Atti degli Apostoli.




ritenendo la fede di  Pietro abbiamo lo stesso Pietro…
           
San Giovanni Crisostomo, nel periodo pasquale dell'anno 388, quando era sacerdote della Chiesa di Antiochia, pronunciò alcune omelie sull’inizio del libro degli Atti degli Apostoli. Vorrei attirare l’attenzione su qualche aspetto della seconda di queste omelie,in cui il Crisostomo si trattiene a commentare e spiegare ai suoi ascoltatori cosa vuol dire essere discepoli di Cristo e quindi essere chiamati cristiani. Vedremo come inoltre in questa seconda omelia Giovanni si sofferma in modo speciale nella figura dell'apostolo Pietro, presentato lui stesso modello del discepolo di Cristo nell’amore, nella professione di fede, ed il suo vincolo con la Chiesa antiochena di cui per primo fu pastore.
            Il Crisostomo parte dal testo evangelico: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35), e presenta l’immagine del discepolo di Cristo mettendo in rilievo che come discepolo si viene riconosciuto non da miracoli o fatti prodigiosi, ma dalla vita stessa segnata dall’amore vicendevole “gli uni per gli altri” (ibid.). E da buon retore il predicatore antiocheno sgrana una serie di domande: “Da questo? Da che cosa? Ecco non dai miracoli. Da che cosa? Non dall’amore ai prodigi, ma dall’amore vicendevole: «L’amore è la pienezza della legge» (Rm 13,10).
            Per il Crisostomo quindi l’amore è l’icona, il tipo, il carattere del discepolo, ed aggiunge ancora: “Se hai l’amore diventi apostolo, addirittura il primo degli apostoli”. E prosegue parlando dell'apostolo Pietro, a partire della domanda che il Signore risorto gli pone: “Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?” (Gv 21,15); sottolineando come il Signore non chiede a Pietro di operare miracoli o risuscitare morti, bensì di amarlo. E di questo amore ne deriva la seconda parte del testo del vangelo: “Pasci le mie pecorelle” (v. 16). Un’argomentazione molto simile la troviamo sviluppata nel “Dialogo sul sacerdozio” dello stesso Giovanni Crisostomo. Infatti nel secondo libro del Dialogo, Giovanni Crisostomo presenta il sacerdote come colui che ama Cristo, e questo amore viene chiesto dallo stesso Cristo nella persona di Pietro: “E qual maggior guadagno, soggiunsi, che l=essere venuti a compiere quelle opere che Cristo stesso disse di essere segni dell'amore verso di lui? E, rivolgendosi al corifeo degli apostoli: «Pietro, dice, mi ami tu?» E affermandolo questi soggiunse Cristo: «Pascola le mie pecorelle».Edil Crisostomo aggiunge molto acutamente:“Dice Cristo infatti: *Pietro mi ami tu più di costoro? Pascola le mie pecorelle+. Poteva per altro dirgli: ASe mi ami, pratica il digiuno, il sonno su nuda terra, le vigilie ininterrotte, assumi la difesa degli oppressi, sii come un padre agli orfani e come un marito alle madri loro; invece, lasciando da parte tutte queste cose, che dice? Pascola le mie pecorelle”.Notiamo qui la centralità del rapporto amore a Cristo e servizio / pascolo del gregge. Non è che Giovanni Crisostomo disprezzi il digiuno, le veglie, il dormire a terra... ma tutto questo viene dopo il servizio, il pascolo del gregge.
            Il Crisostomo prosegue l’omelia sottolineando e commentando alcuni dei miracoli adoperati da Pietro e Giovanni negli Atti degli Apostoli, ma ribadendo che quello che li distingue come discepoli di Cristo non sono i miracoli quanto l’amore vicendevole: “Vedi che i discepoli erano riconosciuti dal fatto che si amavano a vicenda; e colui che amava Cristo più degli altri apostoli si riconosceva dal fatto che era pastore dei fratelli”. Lo stesso primo posto che Pietro occupa tra gli apostoli, gli viene dal suo amore a Cristo. E poi, avviandosi a concludere l’omelia, Giovanni soffermandosi ancora nella figura di Pietro, ribadisce che costui diventa apostolo ed il primo tra gli apostoli per il suo amore a Cristo e aggiunge per la sua confessione di fede: “Lo stesso Pietro non aveva ricevuto questo nome per i miracoli, ma per lo zelo e l’amore sincero. Non perché abbia risuscitato i morti… ma perché con una confessione sincera aveva mostrato la sua fede: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16,18). Perché? Non per i miracoli ma perché confessò: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). Ed il Crisostomo tenendo la sua omelia proprio ad Antiochia, fa una lettura “petrina” del ruolo e del carattere della sede patriarcale dell'Oronte e come conseguenza anche di quella romana: “E quando faccio menzione di Pietro, si fa presente nel mio animo l’altro Pietro, il nostro comune padre e dottore (il vescovo di Antiochia Flaviano), che siede nella sua cattedra. È una prerogativa onorevole per la nostra città che abbia ricevuto dall’inizio come dottore il principe degli apostoli. Era giusto che la città che è stata ornata per prima col nome dei «cristiani» davanti a tutto il mondo, ricevesse per pastore il primo degli apostoli”. Quindi per il Crisostomo è un dato di fatto che Antiochia è la prima sede di Pietro, la città dei primi «chiamati cristiani», volendo mettere in evidenza che in essa i fedeli vivono nell’amore vicendevole di cui ha parlato sopra. E da buon predicatore, Giovanni Crisostomo prosegue parlando anche dell’altra sede petrina, cioè quella romana: “Però, pur avendolo accolto come dottore, non lo abbiamo trattenuto con noi per sempre, ma lo abbiamo ceduto alla regale città di Roma”. Come se volesse mettere in evidenza la generosità di Antiochia, che cede Pietro alla città di Roma. Malgrado questa “cessione generosa” a Roma, Antiochia conserva certamente non più il corpo di Pietro, ma sì la sua fede: “Infatti anche se non abbiamo il corpo di Pietro, conserviamo con Pietro la sua fede: ritenendo la fede di Pietro abbiamo lo stesso Pietro”. E Giovanni Crisostomo, che predica come al solito alla presenza del vescovo Flaviano, aggiunge direi con fierezza e allo stesso tempo quasi con tenerezza: “Così anche quando vediamo il suo successore, ci pare di vedere lo stesso Pietro…”. Pietro diventa il garante della confessione di fede della Chiesa, di ognuno dei cristiani: “… così anche colui che viene nella confessione e nella fede di Pietro riceverà il suo stesso nome. Infatti la conformità di vita genera anche la comunanza di nome”.
            Giovanni Crisostomo conclude l’omelia con una preghiera per Flaviano, preghiera che manifesta l’amore filiale del Crisostomo verso il “Pietro” di Antiochia: “Preghiamo affinché questo Pietro (Flaviano) arrivi alla vecchiaia; come l’apostolo che pervenne alla vecchiaia: «Quando sarai vecchio, stenderai le tue mani…» (Gv 21,18). Preghiamo per costui affinché abbia lunga vita. E pervenuto alla vecchiaia lui sarà sempre utile alla nostra giovinezza grazie alle sue preghiere”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco

sabato 9 marzo 2013





Fissata a martedì 12 marzo la data di inizio Conclave


L'ottava Congregazione Generale del Collegio dei Cardinali ha deciso che il Conclave per l'elezione del Papa inizierà martedì 12 marzo 2013. Al mattino nella Basilica di S. Pietro sarà celebrata la Messa "pro eligendo Pontifice" e nel pomeriggio l'ingresso dei cardinali in Conclave. Ieri mattina il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Federico Lombardi ha tenuto come di consueto un briefing con i giornalisti. Il servizio è di Paolo Ondarza
E’ finita l’attesa. I cardinali hanno deciso: il Conclave per scegliere il successore di Benedetto XVI avrà inizio martedì 12 marzo. Le congregazioni– come spiegato questa mattina da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, continueranno anche oggi, mentre probabilmente domenica i porporati celebreranno la Santa Messa, ognuno nella chiesa romana di cui sono titolari. Martedì prima dell’extra omnes, ovvero della chiusura della Cappella Sistina, che darà inizio al Conclave vi sarà la seconda meditazione affidata al cardinale maltese, non elettore, Prosper Grech. Confermando la presenza in Vaticano di tutti i 115 elettori padre Lombardi ha spiegato che i porporati hanno accettato le due rinunce pervenute dall’arcivescovo di Jakarta Riyadi Darmaatmadja e dal cardinale scozzese O’Brien, l’uno per motivi di salute, l’altro per motivi personali in base alla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, modificata dal recente Motu Proprio di Benedetto XVI. Sui temi emersi finora Padre Lombardi ha detto:
“Di questa mattina io sono stato colpito da alcuni temi: si è parlato di dialogo interreligioso. Si è parlato anche dei temi della cultura di oggi, della bioetica, dei temi della giustizia nel mondo; poi dell’importanza di un annuncio positivo del Cristianesimo, dell’annuncio dell’amore, un annuncio anche gioioso, e molto dell’annuncio di misericordia. Anche i temi della collegialità sono stati evocati diverse volte; e poi, anche, la donna nella Chiesa”. In proposito padre Lombardi ha ricordato l’Odierna Giornata della Donna porgendo gli auguri a tutte le giornaliste presenti a Roma, tra gli oltre cinque mila accreditati. Il direttore della Sala Stampa Vaticana ha poi citato, a dimostrazione dell'attenzione data dai fedeli al momento che la Chiesa si appresta a vivere, i 220 mila iscritti al sito “Adopt a cardinal”, un portale che assegna a ciascun visitatore un cardinale per cui pregare. Rispondendo a una domanda, padre Lombardi ha sottolineato che per eleggere il Papa è necessario il voto dei 2/3 degli elettori: quindi almeno 77 su 115. Prima dell'inizio del Conclave - ha proseguito - in congregazione i cardinali procederanno al sorteggio delle stanze nella Domus Sanctae Marthae. Durante il Conclave inoltre avranno la possibilità di confessarsi. Infine il briefing di ieri mattina ha dato occasione ai giornalisti di vedere le immagini dell’appartamento nella residenza di Santa Marta dove il nuovo Pontefice alloggerà temporaneamente dopo l’elezione e in attesa che vengano rinnovati i locali del Palazzo Apostolico.

www.news.va

mercoledì 6 marzo 2013



Il digiuno, un percorso cristocentrico-pasquale


Se il ciclo natalizio è “epifanico”, il ciclo pasquale è eminentemente “soteriologico” in cui celebriamo gli eventi centrali della storia della nostra salvezza. In tale mistero si manifestano con maggior evidenza la molteplicità di canali che contribuiscono alla sua realizzazione oltre alla centralità del momento celebrativo della Chiesa. San Girolamo è il primo a testimoniare l’esigenza della quaresima per Roma, tramite una lettera scritta nel 384 a Marcella, mettendo in rilievo il digiuno come caratteristica principale:

“… Mentre per tutto l’anno si nutriva di un digiuno continuo, che osservava per due o tre giorni consecutivi, durante la quaresima spiegava però le vele della sua barca, digiunando ininterrottamente, col volto lieto, quasi da una settimana all’altra …”.

 La Quaresima non va considerata non solo come preparazione alla santa Pasqua, ma come una vera e propria iniziazione sacramentale ad essa, fondata sull’ascolto della parola di Dio e sui segni sacramentali compiuti nell’assemblea liturgica. Nella sua lettera ai Romani (6,3-11), Paolo presenta l’evento battesimale come reale partecipazione al destino di morte e risurrezione del Cristo. Tale partecipazione esige la morte al peccato accompagnata da una un’attiva ed essenziale conversione. Da questa testimonianza, possiamo affermare che la
Quaresima ha quattro dimensioni fondamentali:

1.      Introduzione generale al mistero pasquale.

2.      Sacramentale - battesimale.

3.      Tensione etica e di conversione.

4.      Cristologica - pasquale, base delle altre dimensioni.  

Queste dimensioni hanno come base un quadro biblico strutturato sulla tipologia dei quaranta giorni di Mosè al Sinai, dei quarant’anni d’Israele nel deserto, dei quaranta giorni di Gesù digiunante prima di iniziare i suo ministero pubblico. Infatti, il digiuno quaresimale si protrae per quaranta giorni, come numero associato a periodi di attesa, di umiliazione, di sforzo e di penitenza e lotta, nell’obiettivo di assumere la vittoria, l’incontro col Signore. Si tratta dunque di caratteristiche che permettono di ripercorrere attraverso le pagine dell’Antico e del Nuovo Testamento le grandi tappe della storia della salvezza, attraverso la quale Dio chiama l’uomo alla fede, all’alleanza, alla vita e gli dona il suo Spirito. In queste caratteristiche, battesimo e penitenza appaiono come le due costanti su cui è imperniato il cammino quaresimale in vista della piena riconciliazione dell’uomo con Dio.
In questo tempo quaresimale, la comunità cristiana è chiamata a prendere coscienza della realtà e delle esigenze del proprio battesimo, a compiere opere di misericordia e di servizio, e a celebrare ogni giorni il suo essere in Cristo nell’eucaristia, dove l’esperienza filiale del battesimo raggiunge la sua piena manifestazione. Seguendo la dottrina dei Padri della Chiesa, la liturgia quaresimale aggiunge al digiuno e all’elemosina anche la preghiera. Nel vangelo di Matteo (6,1-6.16-18), Gesù parla della nuova giustizia, superiore all’antica, illustrando le caratteristiche e applicandole alle tre pratiche fondamentali della pietà giudaica: l’elemosina, la preghiera e il digiuno, unificati dalla carità, al punto che non possono esistere separate: La preghiera per essere valida ha bisogno del supporto del digiuno e dell’elemosina; col digiuno purifichiamo il cuore controllando le esigenze del corpo; con le elemosine esercitiamo e sviluppiamo la carità, cioè l’amore verso Dio e verso il prossimo, perché quando l’amore ci unisce a Dio, ci unisce agli altri fratelli. Ai catecumeni, Tertulliano indirizza le sue parole sulla preghiera:
Noi siamo i veri adoratori e i veri sacerdoti che, pregando in spirito, in spirito offriamo il sacrificio della preghiera, ostia a Dio appropriata e gradita, ostia che egli richiese e si provvide … la preghiera lava i peccati, respinge le tentazioni, spegne le persecuzioni, conforta i pusillanimi, incoraggia i generosi, guida i pellegrini, calma le tempeste, arresta i malfattori, sostenta i poveri, ammorbidisce il cuore dei ricchi, rialza i caduti, sostiene i deboli, sorregge i forti …”.
Il cammino quaresimale è un cammino di fede, che non può essere fatto senza un riferimento alla parola di Dio. Le pratiche quaresimali vanno accompagnate dall’ascolto assiduo della parola di Dio. La Quaresima tuttavia rimane un periodo solenne, sacro, che è il corrispondente “tempo forte”, moderno, durante il quale i cristiani erano invitati a far memoria del mistero del Verbo incarnato, sofferente, morto e risorto.
La Quaresima è un invito a concentrarsi sull’umiltà di Cristo, che è l’umiltà di Dio; è tempo propizio per imparare a “fare la pasqua”, cioè giorni di Quaresima: deserto spirituale, penitenza, rinunzie alle cose lecite, preghiere, alle mormorazioni, alle critiche nei riguardi di Dio e degli uomini, agli insulti e alle ribellioni. È il fatto di vivere il deserto, lavorio spirituale per dominare le passioni, per far penitenza onde governare le esigenze esagerate del nostro corpo, per andare appresso a Gesù Cristo, che cammina decisamente verso Gerusalemme, luogo di passione e di morte.
“Fare pasqua” è imitare Cristo, è sforzarsi a vivere, a morire e a risorgere.

P. Elias Chakhtoura, oam.
Monastero S. Giuseppe
Zahle – Libano