sabato 30 aprile 2011

Patriarca Kirill, Pasqua a Mosca, con messaggi al Papa e ai Protestanti



La Chiesa russo-ortodossa celebra la Resurrezione. Messaggio al Papa e ai protestanti per una comune testimonianza della verità di Dio. Sondaggio: solo un russo su dieci partecipa alle funzioni religiose.

Mosca (AsiaNews) –

Proclamando il tradizionale ‘Christos Voskrese!’ (Cristo è risorto) e con la risposta dei fedeli ‘Voistinu voskrese’ (In verità è risorto), il Patriarca Kirill ha invitato i russo-ortodossi raccolti a Pasqua nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca a cambiare le loro vite “in accordo con questa grande speranza” che viene dalla Resurrezione. “Rifiutando ciò che appartiene alle tenebre ciò che non appartiene al cristianesimo: il male, l’odio, l’invidia”, ha spiegato. La Pasqua ortodossa quest’anno ha coinciso con quella cattolica e alla vigilia della festività il Patriarca ha inviato un messaggio al Papa e ai leader protestanti chiamando alla “comune testimonianza della verità di Dio…a professare pace, giustizia e amore”.
A Mosca, Kirill ha celebrato anche la Veglia del sabato alla presenza del presidente Dmitri Medvedev e del premier Vladimir Putin, entrambi accompagnati dalle rispettive mogli. Nella cattedrale simbolo della rinascita religiosa della Russia post-sovietica, il Patriarca ha officiato la tradizionale cerimonia del fuoco e guidato la caratteristica processione circolare (simbolo dell’eternità) all’interno della chiesa. Il rito rappresenta la ricerca di Gesù dopo la sua morte: al suo termine si proclama la Resurrezione e suonano le campane. Kirill ha invitato la comunità a essere ottimista: “La Resurrezione è la vittoria della vita sulla morte…la nostra visione del mondo deve essere gioiosa e pacifica, perché Cristo è risorto”. Il messaggio di auguri pasquali è stato, invece, occasione per il capo del Cremlino di ribadire l’importanza dei valori ortodossi nel rafforzamento dei fondamenti della società russa, dell’armonia interetnica e interreligiosa in Russia. La fruttuosa interazione della Chiesa ortodossa con lo Stato – ha aggiunto Medvedev – aiuta lo sviluppo del nostro Paese”.
Secondo un sondaggio del Levada Center, la maggior parte dei russi festeggia la Pasqua secondo la tradizione: uova colorate, la torta paskha, il kulic, il panettone russo che ricorda il pane che Gesù spezzò nell’ultima cena e tutti i piatti invece proibiti durante il ‘grande digiuno’ che ha preceduto la festività religiosa (frutta candita, formaggio, burro, mandorle, vaniglia). Il 27% dei russi, inoltre, ha organizzato il tipico picnic in famiglia sulla tomba di un parente defunto, usanza a dir la verità per nulla legata alla fede ma piuttosto diffusa. Tanto che le autorità hanno imposto per due giorni il bando alla vendita di alcolici nei pressi dei cimiteri nella zona di Mosca. La sera di Pasqua i russi hanno continuato a festeggiare con un banchetto a base di diversi tipi di carne, pesche e funghi. Secondo il sondaggio Levada, però, solo il 9% della popolazione ha partecipato alle funzioni religiose. Si tratta per lo più di studenti e persone sopra i 55 anni, abitanti di piccole cittadine e villaggi. (N.A.)

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venerdì 29 aprile 2011

Venerdì del Rinnovamento - Tis Zoodochu Pighis

Maria fonte di vita

Fuori da Costantinopoli, nel quartiere delle Sette Torri, l'imperatore Leone I il Grande (457-474), che poi sarà anche santo, volle costruire un'importante chiesa in onore della Theotokos. Questo perché, prima di diventare imperatore, Leone incontrò lì un cieco tormentato dalla sete che gli chiese di aiutarlo a trovare dell'acqua. Leone ne ebbe compassione e andò in cerca di una fonte ma non ne trovò. Allora sentì una voce che gli disse che l'acqua era nelle vicinanze, continuò a cercare, ma ancora non ne trovò. La voce si fece risentire e questa volta lo chiamò “imperatore” e gli disse che avrebbe trovato dell'acqua fangosa nel vicino bosco, che avrebbe dovuto prenderne un po' e con questa ungere gli occhi del cieco; come detto trovò l'acqua e unse gli occhi del cieco che ricominciò a vedere.
Poi, come profetizzato dalla Theotokos, Leone divenne imperatore e nel luogo in cui aveva trovato l'acqua fece costruire una chiesa; le acque del luogo operarono numerose guarigioni ed ecco perché la Vergine ricevette il titolo di “Fonte di Vita”.

sabato 23 aprile 2011

La crocefissione e la risurrezione del Signore negli inni di sant’Efrem il Siro


Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia…

Efrem il Siro (+373) nella sua abbondante innografia sulla Crocifissione e sulla Risurrezione di Cristo canta il mistero della nostra salvezza in tutta la bellezza della sua poesia e con la profondità della sua teologia. Del poeta siriaco abbiamo una collezione di inni pasquali che trattano tre aspetti particolari: gli azzimi -21 inni-, la crocifissione -9 inni- e la risurrezione -5 inni. Nell’inno VIII sulla crocifissione Efrem contempla lungo sedici strofe i luoghi e gli strumenti legati alla passione di Cristo, e come in altri dei suoi inni inizia ogni strofa con l’acclamazione “beato” indirizzata a ognuno di questi luoghi e strumenti. Il giardino del Getsemani è messo in parallelo col giardino dell'Eden, il luogo che vide la lotta ed il sudore di Adamo accoglie come profumo il sudore di Cristo: “Beato sei tu, luogo, che fosti degno di quel sudore del Figlio che su di te cadde. Alla terra mescolò il suo sudore per allontanare il sudore di Adamo… Beata la terra, che egli profumò con il suo sudore e che malata fu guarita”. L’Eden è anche presentato da Efrem come il luogo della volontà divisa di Adamo tra il precetto di Dio e l’astuzia del serpente, e che in Getsemani diventa per mezzo dello stesso Cristo il luogo dell'accoglienza e l’unità nella volontà del Padre: “Beato sei tu, luogo, perché hai fatto gioire il giardino delle delizie con le tue preghiere. In esso era divisa la volontà di Adamo verso il suo creatore… Nel giardino Gesù entrò, pregò e ricompose la volontà che si era divisa nel giardino e disse: «Non la mia ma la tua volontà!»”. Efrem dichiara pure beato il luogo del Golgota perché nella sua piccolezza accoglie il mistero della passione di Cristo: la riconciliazione con Dio, il saldo del debito ed il luogo da dove il buon ladrone parte per aprire ai redenti l’Eden. L’innografo si serve, come è abituale in lui, del contrasto tra i due luoghi: il cielo, luogo grande del Dio nascosto, ed il Golgota, piccolo luogo del Dio manifesto: “Beato sei anche tu, o Golgota! Il cielo ha invidiato la tua piccolezza. Non quando il Signore se ne stava lassù nel cielo avvenne la riconciliazione. È su di te che fu saldato il nostro debito. È partendo da te che il ladrone aprì l’Eden… Colui che fu ucciso su di te mi ha salvato”. Anche il buon ladrone è da Efrem dichiarato beato perché è condotto nel paradiso dal Signore stesso; la sua morte è incontro con Colui che è la Vita. Inoltre è molto bella l’immagine, sempre presentata per via di contrasto, che Efrem propone tra coloro che tradirono (Giuda), che negarono (Pietro), e che fuggirono (i discepoli), e colui che dall’alto della croce (il ladrone) lo annunzia, come se Efrem volesse sottolineare che lì nella croce il ladrone diventa apostolo: “Beato anche tu, ladrone, perché a causa della tua morte la Vita ti ha incontrato… Il nostro Signore ti ha preso e adagiato nell’Eden… Giuda tradì con inganno, anche Simone rinnegò e i discepoli fuggendo si nascosero: tu però lo hai annunziato”. Nello stesso inno Efrem, come farà anche nel suo commento al Vangelo, accosta per omonimia i diversi personaggi; nel nostro testo Giuseppe di Arimatea viene messo in parallelo a Giuseppe sposo di Maria. Il ruolo di costui nell’accogliere il Bambino neonato, nel fasciarlo, nel vederlo schiudere gli occhi, diventa in qualche modo il ruolo dell'altro Giuseppe verso Cristo calato dalla croce: “Beato sei tu, che hai lo stesso nome di Giuseppe il giusto, perché avvolgesti e seppellisti il Vivente defunto; chiudesti gli occhi al Vigilante addormentato che si addormentò e spogliò lo sheol”. Efrem canta beato anche il sepolcro, paragonato e a un grembo che rinchiude per sempre la morte, e all’Eden diventato sepolcro di Adamo, da dove egli stesso verrà redento da Cristo: “Beato sei anche tu, sepolcro unico, poiché la luce unigenita sorse in te. Dentro di te fu vinta la morte orgogliosa, che in te il Vivente morto ha cacciato via… Il sepolcro e il giardino sono simbolo dell'Eden nel quale Adamo morì di una morte invisibile… Il Vivente sepolto che risuscitò nel giardino risollevò colui che era caduto nel giardino”. Infine tre città sono dichiarate beate da Efrem, città che furono testimoni di tutto il mistero della redenzione: “Beate voi tre, senza invidia: del Terzo del Padre voi foste degne. La sua nascita a Betlemme, la sua abitazione a Nazaret, e a Betania poi la sua ascensione”. Il primo inno sulla Risurrezione è un canto al mistero della salvezza adoperato in Cristo, dalla sua incarnazione nel grembo di Maria, alla sua passione, morte e risurrezione. Per Efrem il Figlio di Dio incarnandosi diventa a pieno titolo il buon pastore che esce alla ricerca della pecora smarrita: “Volò e discese quel Pastore di tutti: cercò Adamo pecora smarrita, sulle proprie spalle la portò e salì…”. Efrem si serve dell'immagine del grembo e accosta quello del Padre e quello di Maria e come conseguenza anche quello dei credenti, gravidi della presenza in loro del Verbo di Dio: “Il Verbo del Padre venne dal suo grembo e rivestì il corpo in un altro grembo. Da grembo a grembo egli procedette e i grembi casti furono ripieni di lui. Benedetto colui che prese dimora in noi!”. Efrem sottolinea fortemente lungo tutto l’inno il rapporto stretto di tutto il mistero della salvezza che si realizza in Cristo, dalla sua esistenza eterna nel seno del Padre alla sua risurrezione e ascensione in cielo: “Dall’alto fluì come fiume e da Maria come una radice. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia… Dall’alto discese come Signore e dal ventre uscì come servo. Si inginocchiò la morte davanti a lui nello sheol e alla sua risurrezione la vita lo adorò…”. Ancora con altre immagini molto semplici e allo stesso tempo belle e profonde Efrem canta tutto il mistero della redenzione: “Maria lo portò come neonato. Il sacerdote lo portò come offerta. La croce lo portò come ucciso. Il cielo lo portò come Dio. Gloria al Padre suo!”. L’incarnazione di Cristo, sempre in questo stesso inno, Efrem la contempla ancora come l’avvicinarsi, il farsi prossimo di Cristo verso l’umanità debole e malata: “Gli impuri non aborrì e i peccatori non schivò. Degli innocenti gioì molto e molto desiderò i semplici… Dai malati non vennero meno i suoi piedi né le sue parole dagli ignoranti. Si protese la sua discesa verso i terrestri e la sua ascesa verso i celesti…”. Tutta la redenzione adoperata da Cristo Efrem la vede nella chiave del suo farsi vicino, del suo svuotarsi per sollevare e portare tutti gli uomini alla sua gloria divina: “Nel fiume lo annoverarono tra i battezzandi, e nel mare lo contarono tra i dormienti. Sul legno come ucciso e nel sepolcro come un cadavere… Chi per noi, Signore, come te? Il Grande che si fece piccolo, il Vigilante che si addormentò, il Puro che fu battezzato, il Vivente che perì, il Re disprezzato per dare a tutti onore…”

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco

venerdì 22 aprile 2011

Ufficio della santa e immacolata passione di nostro Signore Gesù Cristo


Affresco della Crocifissione, Monastero Ortodosso Visoki Decani, Kosovo.


Σήμερον κρεμάται επί ξύλου, ο εν ύδασι την γην κρεμάσας. Στέφανον εξ ακανθών περιτίθεται, ο των αγγέλων βασιλεύς. Ψευδή πορφύραν περιβάλλεται, ο περιβάλλων τον ουρανόν εν νεφέλαις. Ράπισμα κατεδέξατο, ο εν Ιορδάνη ελευθερώσας τον Αδάμ. Προσηλώθη, ο νυμφίος της Εκκλησίας. Λόγχη εκαντήθη, ο υιός της Παρθένου. Προσκυνούμεν σου τα Πάθη, Χριστέ. Δείξον ημίν και την ένδοξόν σου Ανάστασιν

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Oggi è sospeso su un legno Colui che sospese la terra sopra le acque. Viene cinto di una corona di spine il Re degli angeli. Viene rivestito di una falsa porpora Colui che riveste il cielo di nubi. Riceve schiaffi Colui che ha liberato Adamo nel Giordano, è perforato da chiodi lo Sposo della Chiesa, è trafitto da lancia il Figlio della Vergine. Adoriamo le tue sofferenze, o Cristo. Mostraci anche la tua gloriosa Resurrezione.





sabato 16 aprile 2011



Il canone della Domenica delle Palme ed il tropario dell’innografa Cassianì.

In cielo assiso in trono, in terra sull’asinello

All’inizio della celebrazione della grande settimana della passione, morte e risurrezione del Signore, vorrei soffermarmi su due testi innografici della tradizione bizantina: uno della domenica delle Palme e l’altro del mercoledì santo. Il primo è il canone dell’ufficiatura del mattutino della domenica delle Palme nella tradizione bizantina, un poema attribuito a Cosma, innografo bizantino della seconda metà del VII secolo, monaco di san Saba e vescovo di Maiouma. Si tratta di un testo che riprendendo ancora il tema della risurrezione di Lazzaro celebrato lungo la settimana precedente lo mette assieme all’ingresso di Gesù a Gerusalemme: “L’ade tutto tremante, al tuo comando lasciò andare Lazzaro, morto da quattro giorni, perché tu, o Cristo, sei la risurrezione e la vita: in te è stata consolidata la Chiesa che accla­ma: Osanna, benedetto sei tu che vieni”. La lode dei bimbi e dei lattanti, immagine presa dal salmo 8, diventa la lode di tutta la Chiesa: “È lode della bocca di bimbi innocenti e di lattanti, la lode dei tuoi supplicanti che ti sei composta per abbattere l’avversario, per vendicare con la passione della croce la caduta dell’antico Adamo… La Chiesa dei santi ti offre una lode, o Cristo…”. La Chiesa che con i bimbi loda Cristo è la stessa che su di lui, che ne è la pietra angolare, viene fondata: “Bevve il popolo d’Israele alla dura roccia tagliata da cui per tuo comando sgorgava l’acqua: ma la roccia sei tu, o Cristo, e su questa pietra è stata consolidata la Chiesa…” Alcuni dei tropari di questo canone sottolineano il fatto che colui che entra umile su un puledro è anche il Creatore del cielo e della terra: “In cielo assiso in trono, in terra sull’asinello, o Cristo Dio, tu hai accolto la lode degli angeli e l’acclamazione dei fanciulli: Benedetto sei tu che vieni a richiamare Adamo dall’esi­lio… le folle portavano rami di piante… Vedendoti su un asinel­lo, ti contemplavano come assiso sui cherubini, e per questo a te così gridavano: Osanna nel piú alto dei cieli…”. Ancora il poema mette in parallelo le acclamazioni dei bimbi in questa domenica con il loro pianto quando furono sgozzati da Erode: “Poiché hai legato l’ade, o immortale, ucciso la morte e risuscitato il mondo, con palme ti esaltavano i bambini, o Cristo, come vincitore… I bimbi non saranno più sgozzati per il bimbo di Maria perché per tutti, bimbi e vecchi, tu solo sarai crocifisso. La spada non si volgerà piú contro di noi, perché il tuo fianco sarà trafitto dalla lancia. Perciò diciamo esultan­ti: Benedetto sei tu che vieni per richiamare Adamo dall’esilio”. Il secondo testo su cui vogliamo soffermarci è tropario dell’innografa Cassianì. Si tratta di uno dei testi della liturgia bizantina per il mercoledì santo che viene cantato al mattutino e al vespro. È un tropario di una bellezza e di una profondità uniche nel suo genere, scritto da una monaca che visse a Costantinopoli nella prima metà del IX secolo. Nel suo insieme canta l’unzione che la donna peccatrice fecce a Gesù prima della sua passione. La figura delle donne mirrofore –portatrici di unguento, di miron- è presente nei vangeli, sia prima della passione di Cristo, come nel nostro caso, sia dopo la risurrezione di Gesù. Il tropario non precisa, e non lo farà la stessa liturgia bizantina del mercoledì santo, l’identità della donna: una peccatrice, come viene presentata da Mt e da Mc; oppure Maria sorella di Lazzaro, come viene presentata da Gv. Il nostro testo è un canto alla misericordia, al perdono e all’amore eterno di Dio per l’uomo, pur peccatore che esso sia, manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. Il testo lo proponiamo diviso in quattro parti per facilitarne la lettura, benché ha in se stesso una unità infrangibile“. La donna caduta in molti peccati, sente la tua divinità, o Signore, e, assumendo l'ufficio di mirrofora, ti offre il miron con le lacrime prima della tua sepoltura, dicendo…”:. La prima parte del testo situa l’azione della donna; essa è peccatrice benché sente, percepisce sia nei sensi che nel cuore la divinità di Cristo, il suo potere di guarire, la sua forza per perdonare e salvare. Il peccato non allontana la donna dal vedere e confessare Cristo, la sua divinità. Il processo di conversione della donna, il suo avvicinarsi a Cristo, il testo lo presenta con l’immagine dell’assumere un mestiere, quello di mirrofora, portatrice di unguento, offrendo a Cristo il miron prima della sua sepoltura; e qui il tropario fa la stessa lettura che Cristo fa nel vangelo di Giovanni sull’unzione che serve appunto per preparare la sua sepoltura. Il testo sembra voler indicare anche che dopo la risurrezione sarà Cristo stesso che darà alla donna, all’umanità redenta, lui stesso come miron, come unguento di salvezza. In questa prima parte l’autrice usa la stessa immagine adoperata anche dagli autori degli altri tropari del mercoledì santo: il gioco di parole tra l’unguento e Colui che è l’Unto, che è il vero Miron, cioè Cristo. “Ahimè, sono prigioniera di una notte senza luce di luna, furore tenebroso di incontinenza, amore di peccato! Accetta i torrenti delle mie lacrime, tu che attiri nelle nubi l'acqua del mare. Piègati ai gemiti del mio cuore, tu che hai piegato i cieli nel tuo ineffabile annientamento”. La seconda parte del poema è la preghiera accorata della donna allo stesso Cristo. Il primo versetto di questa seconda parte: una notte senza luce di luna è un’immagine applicata non soltanto all’oscurità dell’anima peccatrice, ma soprattutto un riferimento alla Pasqua celebrata nel giorno di luna piena, ad indicare una vita senza la luce di Cristo, che è la vera Pasqua; notte senza la luce della luna, una notte senza la Pasqua di Cristo. Essendo tutto il tropario indirizzato a Cristo, l’autrice usa in questa parte due immagini cristologicamente contrastanti, con i testi di Gb 36,27 e del salmo 17,10; si tratta di uno stile usato spesso nei testi liturgici bizantini e siriaci, quello di presentare immagini molto contrastanti per sottolineare sia la vera divinità di Cristo che la sua vera umanità, immagini che tra di esse si completano. Sono da notare anche i due imperativi messi da Cassianì in bocca della donna: accetta e piégati; le forme imperative usate in testi liturgici danno l’idea della grande fiducia e libertà dell’uomo nei confronti di Dio. “Bacerò i tuoi piedi immacolati, li asciugherò con i riccioli del mio capo, quei piedi di cui Eva a sera percepì il suono dei passi nel Paradiso e per timore si nascose. Chi mai potrà scrutare la moltitudine dei miei peccati e l'abisso dei tuoi giudizi, o mio Salvatore, che salvi le anime?” La terza parte presenta l’atteggiamento della donna: il suo amore verso Cristo che nel poema è chiaramente anche il Creatore che cammina nel paradiso e di cui Eva sente i passi. Si tratta di un tema frequente nei Padri quello del Logos Creatore. Singolare la bellezza nel nostro testo dell’immagine o l’accostamento tra i piedi di Cristo baciati dalla donna ed i piedi di cui Eva sente il suono nel paradiso. I peccati della donna sono moltitudine; i giudizi, le decisioni di Cristo nei suoi confronti sono un abisso di misericordia, come la si presenta nella preghiera conclusiva: “Non disprezzare la tua serva, tu che possiedi incommensurabile la misericordia!”

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco

martedì 12 aprile 2011

Mosca,Ucraina e Vaticano: speranze



Monsignor Sviatoslav Schevchuk il giovane (41 anni il 5 maggio prossimo) nuovo arcivescovo maggiore di Kiev degli ucraini, subentrato all'anziano card. Lubomyr Husar, andato di recente in pensione, attribuisce alla fecondità della fede cattolica l’esplosione della Chiesa in Ucraina. "L'età media dei nostri sacerdoti è di 35 anni". I sacerdoti cattolici di rito orientale si possono sposare (accade anche in Italia, ad esempio nell'eparchia Piana degli Albanesi), ma per il nuovo leader della chiesa non è questo il motivo dell'alto numero di conversioni. La ragione, invece, è "l'esplosione della Chiesa" dopo il crollo dell'Unione sovietica e la fecondità dei "semi del cristianesimo" nei paesi che fino all'89 stavano oltre la Cortina di ferro. Quanto all'ordinazione di sacerdoti sposati, prevista in Ucraina, non è ammessa in ogni paese dove si è estesa la diaspora dei cattolici ucraini. "Ma in Canada e negli Stati Uniti ciò avviene", ha spiegato l'arcivescovo maggiore di Kiev. Monsignor Schevchuk non ha nascosto qualche perplessità nei confronti delle autorità politiche ucraine. "Come cittadino ucraino rispetto il mio presidente, spero che anche lui rispetti me", ha detto. Quanto al progetto di chiedere al Papa di innalzare la sede cattolico-ucraina da arcivescovado a patriarcato, preannunciato dallo stesso Schevchuk prima del viaggio a Roma, "la nostra Chiesa sta crescendo e si sta strutturando. Ma naturalmente aspettiamo che sia il Papa a decidere e ci fidiamo della sua saggezza". Se la presenza dei cattolici in Ucraina è guardata almeno con sospetto dal Patriarcato di Mosca e di tutte le Russie, che la considera addirittura una possibile causa di difficoltà all'incontro tra il patriarca Kirill e il Papa, il nuovo leader dei cattolici di rito orientale in Ucraina non è pessimista sui rapporti con Mosca. Schevchuk ha raccontato di aver partecipato pochi giorni prima del sinodo che ha portato alla sua elezione a un congresso internazionale organizzato a Wuerzburg, in Germania, dall'associazione Aiuto alla Chiesa che soffre. Durante una tavola rotonda alla quale è intervenuto anche il presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, cardinale Kurt Koch, il metropolita Hilarion Alfeyev, responsabile del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, ha sottolineato il bisogno di un'"alleanza strategica" tra la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica per difendere insieme i valori cristiani tradizionali nella società secolarizzata. Un invito accolto dall'esponente ucraino. In Ucraina, oltre alla chiesa cattolica di rito ortodosso, vi è anche una chiesa cattolica di rito latino, guidata da uno degli ex segretari di Giovanni Paolo II, mons. Mieczyslaw Mokrzycki, e, infine, una chiesa cattolica armena. Il nuovo leader cattolico ucraino parla diverse lingue ('ucraino, polacco, russo, inglese, greco, latino slavonico, spagnolo e italiano).

venerdì 8 aprile 2011

Orario delle Celebrazioni della Grande Quaresima

Pontificio Collegio Greco
Chiesa di Sant'Atanasio dei Greci
Via del babuino - Roma


Mercoledì ore 19:00 - Liturgia dei Doni Presantificati


Venerdì ore 18:30 - Inno Akathistos


Sabato ore 19:00 - Ufficiatura del Vespro


Domenica ore 10:30 - Divina Liturgia di San Basilio

mercoledì 6 aprile 2011

IL GRANDE CANONE di Sant’Andrea di Creta


andrewofcrete


La Chiesa vive la sua dimensione penitenziale in questi giorni di Quaresima quando il popolo di Dio è chiamato ha prepararsi per la Santa Resurrezione di Gesù Cristo nostro Signore. La Grande Quaresima è un viaggio spirituale che comprende alcune soste da fare, dove il credente si ferma per riflettere sul messaggio che la liturgia quaresimale propone. Non poche volte, sia i laici che i presbiteri, adottano una posizione semplicistica e formalistica e intraprendono il viaggio spirituale della Quaresima pensando soltanto alle restrizioni alimentari, o di compiere un precetto, pervertendo cosi il significato autentico della Quaresima. Un viaggio spirituale nella Quaresima è infatti un viaggio nella liturgia, e le soste del viaggio sono le Ufficiature che santificano, formano e orientano il credente all’incontro con il Cristo Risorto.
All’inizio della Quaresima, troviamo il canone di Sant’Andrea di Creta, il Grande Canone penitenziale che da inizio al buon combattimentodove ognuno può usare della preghiera come di un arma per vincere le tentazioni.
Diviso in quattro parti, viene letto al Grande Apodhipnon – la Grande Compieta, la sera dei primi quattro giorni di Quaresima.
Sant’Andrea di Creta è nato a Damasco in una famiglia cristiana intorno all’anno 660. Egli diventa monaco a Gerusalemme, lavora come segretario del patriarca di Gerusalemme e verso l’anno 685 viene inviato a Costantinopoli come delegato del patriarca di Gerusalemme al sesto Concilio Ecumenico, concilio che ha condannato l’eresia monotelita (una sola volontà nella persona del Signore Gesù Cristo). Dopo il concilio, il monaco Andrea resta a Costantinopoli svolgendo una grande opera filantropica dirigendo un orfanotrofio e una casa per gli anziani. Nell’anno 692 viene eletto vescovo in una delle città della Creta (Gortyna), e si dimostra ad essere un grande vescovo missionario. Costruisce molte chiese, monasteri, sviluppa le opere sociali e filantropiche della sua diocesi, si prende cura dell’educazione dei giovani. Andrea di Creta è stato un grande predicatore, e ha incoraggiato la partecipazione del popolo alla vita liturgica della Chiesa, egli stesso componendo una moltitudine di canti e inni religiosi. Egli è considerato il primo autore di canoni liturgici, tra cui Il Grande Canone, che è entrato nel libro del Tryodion e rappresenta un momento molto importante nell’economia della Quaresima.
Nel Grande Canone, Andrea di Creta, grazie alla sua maturità spirituale e con un’arte straordinaria, ha riportato i grandi temi della Sacra Scrittura: come Adamo ed Eva, il paradiso e la caduta, Noè e il diluvio, i Patriarchi, Davide, la terra promessa, Cristo e la sua Chiesa. Essendo un canone, o una lamentazione penitenziale, l’autore ha intrecciato i temi biblici con la confessione dei peccati e con il pentimento: Pietà di me, o Dio, pietà di me.

di Papàs Remo Càlin Mosneag


venerdì 1 aprile 2011


Ai figli della Risurrezione

Abbiamo già oltrepassato la metà della Grande Quaresima, preparandoci all’incontro con Cristo Risorto. La chiesa ha dedicato questa domenica a San Giovanni Climaco per ricordarci che siamo sempre salendo verso Dio, verso la Gerusalemme Celeste come afferma il testo liturgico dell’Orthros del Santo e Grande Lunedì: “Venendo il Signore alla passione volontaria, diceva agli Apostoli per via: ecco, noi saliamo a Gerusalemme…non salgo più alla Gerusalemme terrestre per patire, ma salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro, e con me vi innalzerò alla superna Gerusalemme, nel regno dei cieli”. Come anche la domenica scorsa dedicata alla Santa Croce, che è una festa molto importante, perché da essa viene proclamato il Cristianesimo, religione dell’impero sotto Costantino, che come dice la tradizione, ha tolto i suoi abiti imperiali e si è rivestito da povero per portare sulle sue spalle la Santissima Croce del nostro Salvatore Gesù Cristo, fino al golgota dove l’ha innalzata nel posto suo come segno della sua fede, e con il popolo esaltava: “Adoriamo la Tua Croce, o Sovrano, e glorifichiamo la tua Santa resurrezione”. Vediamo allora nella liturgia bizantina due domeniche che inquadrano la metà del digiuno, per rammentarci che soltanto con l’umiltà saliamo i gradini della Scala del Climaco, che ci porterà alla visione di Dio e quella tramite la preghiera personale ed il digiuno, che assicureranno la serenità interna e la felicità esterna, quello che ci chiede il testo evangelico Mt 6-16,18 «Quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno. Ma tu, quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia, affinché non appaia agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.”; l’olio rappresenta qui la grazia divina data da Dio ad ognuno di noi tramite la preghiera e l’ascesi, salendo questa scala come la illustra San Giovanni, e pure l’olio è l’olio della salvezza e della guarigione di tutti i mali e sopratutto dai mali spirituali come la pigrizia, l’avarizia, l’egoismo… Noi che siamo unti con l’olio Regale del battesimo proviamo di proseguire la scala verso Dio, portando la croce e togliendo ogni pensiero terreno che può rallentare la nostra ascesa, vegliando sulle nostre anime come le Vergini sapienti aspettando lo Sposo Mt 25,7 «Allora il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini le quali, prese le loro lampade, uscirono a incontrare lo sposo. Cinque di loro erano stolte e cinque avvedute; le stolte, nel prendere le loro lampade, non avevano preso con sé dell'olio; mentre le avvedute, insieme con le loro lampade, avevano preso dell'olio nei vasi. Siccome lo sposo tardava, tutte divennero assonnate e si addormentarono. Verso mezzanotte si levò un grido: "Ecco lo sposo, uscitegli incontro!" Allora tutte quelle vergini si svegliarono e prepararono le loro lampade… per poter godere la sua resurrezione “…beati quelli che non hanno visto e hanno creduto”

alunno Michel Skaf, P.C.G.


S. Giovanni Climaco




Nuova Pubblicazione...



Tempo di Dio tempo della Chiesa
di P. Manuel Nin

Il presente libro ci mostra appunto l’anno liturgico in tutta la sua divina dolcezza. Il suo grande contributo è che non ci offre puramente i dati storici, che - pur essendo importanti – possono risultare aridi per la loro indole statistica. La pubblicazione di P. NIN presenta piuttosto le singole feste sulla base dei testi scritturistici e liturgici. La celebrazione delle feste diventa perciò più chiara al nostro spirito e gli eventi salvifici celebrati vengono meglio compresi: attraverso le feste ci è dato di amare maggiormente Dio Uno e Trino.

dalla prefazione di Mons. Cyril Vasil, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali