giovedì 26 settembre 2013

Notizie dalla Santa Sede





Città del Vaticano, 26 settembre 2013

Il Santo Padre ha nominato il Padre Archimandrita Manuel Nin,
 Rettore del Pontificio Collegio Greco in Roma,
Consultore dell'Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche
del Sommo Pontefice.

Al Nostro Rev. Rettore porgiamo i nostri più calorosi auguri.


lunedì 23 settembre 2013

Maaloula. Per non dimenticare…


Veduta panoramica del villaggio di Maaloula - Siria


Il giorno 24 settembre nei calendari liturgici delle Chiese cristiane si celebra la festa di santa Tecla, che nel sinassario della Chiesa bizantina viene chiamata “megalomartire e isapostola (pari agli apostoli)”, a causa del suo tradizionale vincolo con l’apostolo Paolo. La celebrazione di questa grande martire, mi ha portato nel ricordo e nella preghiera a Maaloula, quel luogo nella Siria che ne custodisce il sepolcro, che dal primo secolo fino ai nostri giorni conserva la testimonianza del sangue versato per Cristo. La celebrazione di santa Tecla mi ha portato anche alla sponda occidentale del Mediterraneo, alla sede “paolina” di Tarragona che venera Tecla in modo speciale. Tra le due rive del Mediterraneo la festa della santa martire diventa una festa oserei dire “pontifex” tra Oriente ed Occidente, dalla Siria a Tarragona. Oriente ed Occidente che hanno camminato insieme lungo i secoli nella devozione ai martiri, adeso nei nostri giorni non possono ignorarsi nella difesa e nella memoria dei cristiani delle terre del prossimo oriente.
Maaloula è un piccolo e bellissimo villaggio della Siria, arroccato nelle montagne che fanno di frontiera con il Libano; quasi la porta di passaggio o di ingresso tra l’uno e l’altro dei due paesi fratelli. Infatti il significato siriaco della parola Maaloula è “entrata, ingresso”. È un piccolo villaggio con delle casupole che scendono verso la valle, verso il deserto lungo la schiena delle montagne del Qalamun, la catena dell’Antilibano. 



Vi risiedono qualche migliaio di persone a maggioranza cristiana, e si trova a una cinquantina di chilometri a nord di Damasco. Questo villaggio incorniciato tra le montagne e il deserto, di una bellezza unica; piccolo alveare di case bianche che fanno un tutt’uno quasi senza soluzione di continuità col giallo delle montagne; questo piccolo borgo che possiede uno dei monasteri più antichi della zona dedicato ai santi martiri Sergio e Baco, curato dai monaci salvatoriani della Chiesa melchita greco cattolica; questo paesino che custodisce il corpo della santa martire Tecla, la discepola di Paolo; questa piccola comunità che si esprime nella lingua con cui il Signore insegnò ai suoi discepoli a pregare e dire “Abbun…”, Padre nostro... Questo villaggio piccolo, luminoso dal biancore delle mura delle case e dalla fede dei suoi abitanti a stragrande maggioranza cristiani, sia greco cattolici che ortodossi; curato e custodito come un gioiello da coloro che da secoli vi abitano, nei nostri giorni è emerso in prima pagina della cronaca, per pochi giorni purtroppo come notizia, ma per molti giorni, troppi silenziosamente martellato e trucidato dalle armi impietose di coloro il cui unico linguaggio è la costrizione e la violenza; un linguaggio che non conosce sicuramente quella lingua con cui il Signore insegnò a perdonare e pregare per i perseguitori. Paesino luminoso che nei nostri giorni si è tinto di rosso, di nero… Di rosso col sangue di tanti dei suoi abitanti che l’hanno versato per causa della loro fede in Colui che parlava la loro stessa lingua, in Colui che insegna loro il perdono, la riconciliazione; in Colui che chiama loro e anche noi “beati” quando siamo operatori di pace, quando siamo perseguitati, uccisi a causa del suo nome. Di nero dal fumo delle chiese, delle case e dei monasteri bruciati e distrutti; dal fumo delle armi, e dell’accecamento che impedisce di vedere altro cammino che l’uso della forza e della morte.


Interno dell Chiesa Ortodossa di Maaloula

Visitai quella regione nel mese di luglio 2008 assieme a un gruppetto di due sacerdoti e due seminaristi greco cattolici libanesi e siriani. Una visita di soltanto due giorni in quella parte della Siria, un viaggio che comprese Damasco, Maaloula e Saydnaya, un altro paesino questo a pochi chilometri dal primo con delle testimonianze cristiane importanti. Fu certamente un pellegrinaggio al luogo della conversione di Paolo, la visita a quella “via diritta” a cui fu mandato Anania alla ricerca di quell’uomo accecato dalla luce del Risorto; il camminare per quelle stradine della vecchia Damasco, quei cunicoli da cui pareva che da un momento all’altro poteva apparire l’apostolo delle genti in tutta la sua statura, con tutta la forza della sua parola. Potei stare poche ore in quel luogo ma gustai l’accoglienza fraterna dei sacerdoti del patriarcato greco cattolico di Damasco. La visita a Maaloula e Saydnaia invece fu di un giorno e mezzo; è una regione che conta con una grande quantità di chiese e di monasteri. La tradizione vuole che santa Tecla si sia rifugiata nella zona di Maaloula per sfuggire alla persecuzione della sua famiglia dopo essersi convertita al cristianesimo grazie a San Paolo. Per nascondersi ai persecutori Tecla fuggendo si rifugiò tra le montagne che aprirono come un grembo le sue pareti per farle un passaggio; fessure tra le montagne ancora visibili nei nostri giorni. 


Sacerdote celebra la Divina Liturgia,

Nel monastero di Mar Sarkis (san Sergio) fummo accolti dal monaco salvatoriano che in quei giorni si trovava come custode del luogo; già alunno del Pontificio Collegio Greco di Roma, è uno dei principali conoscitori e studiosi delle tradizioni musicali bizantine. L’accoglienza veramente fraterna protrattasi per un paio d’ore attorno a un caffè, ma soprattutto attorno alla storia di quel luogo venerabile raccontata con la passione e l’amore di qualcuno che racconta la storia della propria famiglia, la storia “di casa”; la visita dettagliata del monastero, della bellissima chiesa, con delle icone di uno splendore unico, attorno a quell’antichissimo altare semi circolare sicuramente precedente al concilio di Nicea del 325; accoglienza veramente fraterna che si concluse con la preghiera del Padrenostro nella lingua del Figlio Unigenito, Verbo di Dio incarnato.
            
Oggi le notizie, che ci arrivano di Maaloula sono poche, confuse, frammentarie, ma tutte ci parlano di sofferenza, di distruzione, di morte. Di persone innocenti, uomini, donne, bambini, preda della rabbia ceca. Oggi Maaloula è stata saccheggiata nelle loro chiese, monasteri, case; nelle loro sacre icone, rubate e profanate; in quella che è l’icona per eccellenza, l’uomo e la donna di quei luoghi da sempre pacifici, tolleranti, dialoganti, da sempre beati perché operatori di pace. Quasi duemila anni fa le montagne siriane attorno a Maaloula si aprirono per accogliere la grande martire Tecla; quelle stesse montagne, quelle stesse terre continuano ad aprirsi e accogliere oggi le lacrime, il sangue, la testimonianza cristiana dei nostri fratelli che in quei luoghi come Tecla confessano Cristo, confessano il Risorto che continua, ne siamo certi, a farsi vivo nel cammino di Damasco.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco,Roma.




martedì 17 settembre 2013

Corso di Greco Moderno



L’Apostoliki Diakonia della Chiesa di Grecia
che ha il suo centro ad Atene, offre per il II° semestre dell'Anno Accademico 2012-2013 presso il Pontificio Istituto Orientale in Roma un corso di GRECO MODERNO che inizierà sabato 16 febbraio 2013 e finirà sabato 1 giugno 2013.


Sarà tenuto dal Prof. Christos Palaskonis, laureato in filologia all'Università di Atene e specializzato nell'insegnamento del neogreco come lingua straniera.
Il corso, aperto a tutti gli studenti, è gratuito e chi parteciperà sarà fra i primi a poter beneficiare d'una borsa di studio che, da ormai nove anni, il Direttore Generale dell'Apostoliki Diakonia, Mons. Agathangelos vescovo di Fanarion, offre per i corsi estivi in Grecia.

Tutti gli interessati possono effettuare la preiscrizione in Segreteria del

Pontificio Istituto Orientale
Piazza Santa Maria Maggiore 7- 00185 roma
Tel: 06- 44741.7177


venerdì 13 settembre 2013

L’omelia di Severo di Antiochia per l’Esaltazione della santa Croce


Icona Stavroteka, Collezione privata

Oggi la croce diventa legno della misericordia e della carità di Dio.

            La festa del 14 di settembre porta come titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina: “Universale Esaltazione della Croce Preziosa e Vivificante”; è una festa di origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla tomba del Signore nel 335. Presentiamo un’omelia tenuta in questa festa, dal vescovo Severo, patriarca di Antiochia. Nato a Sozopoli di Pisidia nell’Asia Minore nella seconda metà del V secolo. Diventato monaco nel monastero di Maiuma di Gaza, ben presto aderì a posizioni cristologiche in confronto con quelle emerse dal concilio di Calcedonia del 451. Per tre anni, dal 509 al 512 abitò a Costantino­poli, e il 6 novembre del 512 fu eletto patriarca di Antiochia. Sei anni dopo, nel 518, l'elezione imperiale di Giustino provocò una forte reazione pro calcedo­niana; e Severo fu deposto e fuggì nell'Egit­to, dove morì l'8 febbraio 538. Le sue opere, distrutte nel suo originale greco, si conservano in una traduzione siriaca e frammenti di una traduzione copta. Durante i sei anni del suo episcopato ad Antiochia, Severo predicò le 125 omelie chiamate "cattedrali", cioè predicate nel periodo che occupò la cattedra antiochena. Buon predicatore, Severo mostra in queste omelie i due aspetti più importanti della sua personali­tà: da una parte il teologo, preoccupato per la fedeltà ad una cristologia d'accordo con quella che per lui è la tradizione dei Padri; dall'altra il monaco e il pastore che commenta per la sua Chiesa la Parola di Dio. Di Severo per la festa dell’Esaltazione della santa Croce abbiamo un’omelia, predicata il 14 settembre 513. Alcuni indizi lungo l’omelia, ci indicano che durante la celebrazione liturgica è stata fatta un’ostensione e una benedizione con la croce e una sua venerazione da parte dei fedeli.
            Severo inizia la sua omelia spiegando al suo uditorio il perché della celebrazione odierna: allo stesso modo che nell’Antico Testamento si parla della celebrazione annuale della dedicazione del tempio, anche per i cristiani la celebrazione della croce suppone la venerazione di quel segno, la croce, con cui si consacrano i templi cristiani e i fedeli stessi: “Se per il tempio di Gerusalemme gli antichi celebravano la prima dedicazione…, anche noi dobbiamo celerare questa festa in onore della croce venerabile di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, essa che consacra ogni tempio e porta a termine ogni sacrificio spirituale…”. Severo insiste nel sottolineare che la croce si celebra non perché essa ne abbia bisogno, ma perché la nostra vita cristiana ha bisogno di questo rinnovamento: “Non che il ricordo della croce sia invecchiato in noi…; ma vi mostriamo e vi presentiamo la croce perché è l’inizio di una vita nuova ed evangelica…”.
            Severo poi sviluppa tutto un parallelo tra l’albero del paradiso e l’albero della croce: “Quando parlo della croce parlo dell’albero, dell’antico e del nuovo; l’antico che fu piantato nel bel mezzo del paradiso e di cui non si poteva mangiare il frutto…; il nuovo in cui fu crocefisso Colui che si era incarnato…”. La croce è il vero albero della conoscenza del bene e del male; ed è importante notare che il bene, per Severo, è la confessione di fede trinitaria e la vera professione di fede ortodossa (nella linea cristologica severiana opposta al concilio del 451): “La croce ha fatto risplendere su di noi l’insegnamento della predicazione evangelica e quindi abbiamo corso verso il bene che è la fede nella Santa Trinità e la professione di fede senza errore; e ci siamo allontanati dal male…”. Proseguendo con il parallelo tra i due alberi, Severo presenta il Verbo di Dio incarnato, che lui nell’omelia chiamerà sempre l’Emmanuele, come colui che insegna ai cristiani la vera conoscenza del bene e del male: “E a noi, istruiti ed educati non da un soggiorno nel Paradiso… ma dalla legge e dai profeti, l’Emmanuele, medico sapiente e dottore delle nostre anime, al tempo opportuno ci ha permesso di mangiare dal frutto dell’albero, avendo noi imparato che è lui stesso l’albero della conoscenza del bene e del male…”. L’immagine dell’albero porta Severo ad identificare Cristo stesso e la sua croce. E sempre nel contesto della narrazione dal libro della Genesi da cui Severo prende spunto, vediamo accostata l’immagine del cherubino messo alla porta del paradiso, che diventa il cherubino di fronte alla croce vittoriosa: “Dio mise un cherubino con una spada fiammeggiante per custodire il cammino verso l’albero della vita; il cherubino affinché noi sapessimo che l’albero della croce è l’albero di Dio, di fronte a cui stanno i cherubini… L’Emmanuele stabilì la spada fiammeggiante quando entrò nel paradiso, e l’ha ritirata quando ha fatto entrare con lui anche il ladro…”. Le liturgie orientali hanno sviluppato poi tutta la simbologia della croce come chiave con cui si riapre la porta del paradiso.
            Severo prosegue con una lunga serie di immagini veterotestamentarie che sono viste come prefigurazione della croce stessa: “E’ stato anche il pregiato legno della croce che ha fatto cessare il diluvio nei giorni di Noè. La colomba, presa come figura dello Spirito Santo, ritornò all’arca all’ora del tramonto, portando un ramo di ulivo ad indicare che la terra era asciutta. Anche per noi la croce è diventata il legno della misericordia e della carità; legno che l’Emmanuele, per la sua misericordia verso di noi, ha preso su di se; e che lo Spirito Santo ha annunziato per mezzo della bocca degli apostoli…”. E Severo prosegue con tante altre immagini che prefigurano la croce: il bastone di Mosè in Egitto di fronte al faraone, e nella vittoria contro Amalek.
            Severo prosegue l’omelia ricordando ai fedeli che lo ascoltano il terremoto di Antiochia del 14 settembre 458; da buon oratore approfitta questo fatto, nella tradizione oratoria della predicazione antiochena e crisostomiana, per esortare il suo uditorio nella loro vita cristiana e nella loro necessaria carità verso i bisognosi, come la mostrarono appunto gli antiocheni nei giorni del terremoto. Nell’ultima parte dell’omelia Severo riprende il tema della croce, presentandola come baluardo e come altare su cui si è offerto come vittima il Verbo di Dio incarnato: “Per questo, quando presentiamo davanti a voi il legno della croce, facciamo memoria del Dio che si è incarnato, vittima immolata per tutti noi… Perché l’altare propiziatorio veramente è la croce, come l’ha indicato il profeta Ezechiele nella visione del tempio spirituale che doveva venire, cioè la Chiesa… L’altare di legno è la croce su cui Cristo si è offerto come vittima spirituale, lui il Verbo di Dio che per noi si è incarnato e noi siamo innalzati alla conoscenza della Trinità santa”. Infine Severo conclude spiegando il significato della croce innalzata verso i quattro punti cardinali del mondo, evocando sicuramente il gesto fatto con la croce benedicente tutto il mondo nella liturgia di questo giorno: “…Colui che è stato disteso sulla croce e ha sofferto nella carne, è il Signore, creatore e artefice dei quattro angoli della terra e che tutto riempie”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma


sabato 7 settembre 2013

Le omelie di Andrea di Creta per la Natività della Madre di Dio.



Icona della Natività della Madre di Dio. Joun (Libano), XVIII secolo. (1)

Oggi nasce colei che generò la Parola eterna fattasi carne…
            
La festa della Natività della Madre di Dio è la prima delle grandi feste nel calendario liturgico bizantino. Di questa festa abbiamo alcune omelie patristiche di tradizione greca, soprattutto di due autori contemporanei tra di loro e  ambedue di origine siriana: Giovanni Damasceno e Andrea di Creta; di quest’ultimo vorrei soffermarmi nella prima delle sue omelie sulla festa odierna. Andrea è nato nella seconda metà del VII secolo a Damasco, e diventa monaco a Gerusalemme presso il Santo Sepolcro. All’inizio del VIII secolo è nominato vescovo di Gortina nell’isola di Creta; muore verso il 740. Un posto rilevante nella sua riflessione teologica lo occupa la figura della Madre di Dio, riflessione legata sempre al mistero dell’incarnazione in lei del Verbo di Dio. Di Andrea di Creta abbiamo quattro omelie sulla Natività della Madre di Dio, una sull’Annunciazione e tre sulla Dormizione della Mare di Dio.
            Andrea inizia l’omelia con una sorta di captatio benevolentiae in cui mette l'accento nella complettezza o se si vuol la perfezione del mistero che si celebra: "La celebrazione odierna e per noi l'inizio delle feste; e la prima per quanto riguarda la legge e l'ombra, ma in realtà è anche l'inizio per quanto riguarda la grazia e la verità. Inoltre è anche centrale e finale, poiche essa contiene l'inizio che e il passaggio della legge, il centro che è il collegamento degli estremi, e la fine che è la manifestazione della verità". Andrea presenta subito i due pilastri su cui si fondamenta il suo discorso, cioè la celebrazione della natività di Maria da una parte e il suo collegamento col mistero dell'incarzazione del Verbo di Dio dall’altra: "Questo è l'insieme dei benefici di Cristo verso di noi, questa è la manifestazione del mistero: la natura rinnovata, Dio e uomo, la divinizzazione dell'uomo assunto". L'espressione "natura rinnovada" adoperata qua da Andrea deve essere vista in rifferimento alla natura umana rinnovata grazie all'incarnazione, benché una variante testuale propone "natura spogliata", il che sarebbe un riferimento alla natura divina fattasi piccola, svuotata, a partire da Fl 2,9.
            La festa della Natività di Maria è segnata dalla gioia, un tema che troviamo ripetutamente sottolineato nei testi della liturgia bizantina per l'8 setembre; una gioia che per Andrea scaturisce sì dalla nascita della Madre di Dio, ma sopratutto dal suo collegamento con l'incarnazione del Verbo: "E tuttavia, al soggiorno di Dio fra gli uomini, splendido e luminoso, bisognava che ci fosse anche un inizio di gioia, attraverso la quale il grande dono della salvezza cammina verso di noi... Questo giorno gradito a Dio, il primo delle feste, portando sul capo la luce della verginità e come raccogliendo una corona di fiori illibati dai pascoli spirituali della Scrittura annuncia la gioia comune a tutta la creazione dicendo: «Abbiate fiducia, la celebrazione è per il genetliaco ma anche per la rigenerazione della stirpe umana. Ora una vergine è generata, nutrita e plasmata, ed è preparata come Madre di Dio...". Andrea sviluppa poi il parallelo Maria-Davide, con uno sfondo cristologico chiaramente calcedoniano: "Colei che discende da Davide ha riunito per noi, insieme a Davide, quest'assemblea spirituale: l'una, come Madre di Dio, presentando la sua nascita donata da Dio; l'altro mostrando la buona fortuna della sua stirpe e la straordinaria famigliarità di Dio con gli uomini. Mirabile prodigio! L'una s'interpone fra l'altezza di Dio e la piccolezza della carne, e diventa madre del suo creatore; l'altro profetizza il futuro come già presente...".
            Andrea presenta poi Colei che generò la Parola eterna fattasi carne, ricevente adesso la sua parola di encomio: "Celebriamo in modo conveniente il mistero di questo giorno, e presentiamo in dono alla madre della Parola proprio le parole, dato che a lei null'altro è caro se non la parola e l'onore che viene dalle parole...". La liturgia bizantina poi, e anche Andrea nella sua omelia ne è testimone, sottolinea i diveri ruoli che le due donne, cioè Maria ed Anna sua madre, svolgono nella celebrazione odierna: sterile, donna, vergine, madre: "Le sterili accorrano con slancio, poiché colei che era sterile e senza figli ha generato la vergine del divin Figlio. Le madri esultino, poiché la madre senza prole ha partorito la madre e vergine pura. Le vergini gioiscano, poiché la terra non seminata ha prodotto mirabilmente colui che deriva dal Padre senza mutamento. Le donne si facciano forza poiché la donna, che anticamente con leggerezza diede inizio al peccato, ora ha inrodotto la primizia della salvezza, e si mostra come eletta da Dio: madre che non conosce uomo, scelta dal creatore e restaurazione della nostra stirpe".
            L’autore continua il suo testo con una lunga serie di frasi che iniziano con la parola "oggi", dove presenta in modo sintetico e con delle immagini biliche molto suggerenti, il ruolo della Madre di Dio nel mistero della salvezza, e le applica tutta una serie di titoli cristologici e mariologici che verranno accolti dalla stessa tradizione liturgica bzantina: "Oggi e stato edificato il santuario creato dal Creatore di tutte le cose, e la creatura diventa per il Creatore sua divina dimora. Oggi la natura prima ridotta a terra è divinizzata e la polvere si innalza verso la gloria suprema. Oggi Adamo, che presenta per noi a Dio la primizia che proviene da noi, gli offre Maria; e per mezzo di lei la primizia diventa pane per la rigenerazione della stirpe. Oggi la genuina nobiltà degli uomini riceve di nuovo il dono della prima divinizzazione... Oggi la natura generata, rimanendo unita alla madre di Colui che è il più Bello riceve il fulgore della belleza. Oggi la sterile (Anna) è scoperta come madre al di la di ogni speranza, e a sua volta la madre di un figlio senza padre...rende sante tutte le generazioni... Oggi inizia la rigenerazione della nostra natura, e il mondo invecchiato accoglie gli inizi di una seconda creazione da parte da Dio...". Per Andea di Creta Maria partorisce senza le doglie del parto; non a metere in dubbio la realtà dell'incarnazione del Verbo di Dio (il testo sottolinea appunto che Maria allatta il figlio), ma per preservarne la verginità anche dopo il parto: "... egli era Dio, anche se scelse di essere generato carnalmente, ma senza le doglie: in modo che da una parte ella, la madre, evitasse ciò che è proprio delle madri, pur nutrendo con il latte colui che aveva generato senz’opera d'uomo; e d'altra parte ella, la vergine, partorendo una prole senza seme rimanesse vergine casta...".
            Andrea prosegue con un bel paragone tra la ceazione di Adamo dalla terra vergine, e la ricreazione della stirpe umana da una madre vergine: “Il Redentore del genere umano volendo presentare una nuova generazione, come prima plasmò il primo Adamo avendo preso del fango dalla terra ancora intatta e vergine, così anche ora operando da se stesso la sua propria incarnazione… scelse da tutta la natura umana questa vergine pura e immacolata: e l’artefice di Adamo… diventò nuovo Adamo affinché quello recente ed eterno salvasse l’antico…”. Andrea, infine, conclude la sua omelia esortando ad imitare coloro che per noi sono dei modelli, cioè gli stessi Gioachino ed Anna genitori della Madre di Dio: “”Se fra voi qualcuno è padre, imiti il padre della vergine… Se una madre sta allattando, gioisca con Anna che dopo la sterilità allatta la fanciulla… Se c’è una vergine casta, divenga madre della Parola, ornando con la parola la fermezza della sua anima…”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma




mercoledì 4 settembre 2013

Preghiera per la Pace in Siria





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dalla Conferenza Episcopale Italiana




In tutte le diocesi digiuno e preghiera  


La Segreteria Generale della CEI rilancia “il grido della pace”, di cui si è fatto espressione domenica 1 settembre Papa Francesco, nel corso della preghiera dell’Angelus. “Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra – ha confidato il Papa – ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano”. Di qui la decisione di “indire per tutta la Chiesa, il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero”, iniziativa alla quale sono invitati, “nel modo che riterranno più opportuno, i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti alle altre Religioni e gli uomini di buona volontà”. Per favorire una risposta di tutte le diocesi italiane, la Segreteria Generale – dopo aver scritto a tutti i Vescovi – mette a disposizione sul sito dell’Ufficio Liturgico Nazionale suggerimenti e proposte per organizzare sul territorio momenti di preghiera, in comunione con la Veglia per la pace che si terrà appunto sabato 7, dalle 19, in Piazza S. Pietro, e che sarà possibile seguire in diretta streaming sul presente portale.

Suggerimenti e proposte di preghiera si trovano indicati nel sito della Conferenza Episcopale Italiana:




L’esempio di Papa Francesco per il Syria Day




Sabato sera la veglia di Bergoglio e crescono le adesioni al suo appello

Digiuno per cristiani e musulmani, credenti e anche atei. Una giornata per promuovere «un esame di coscienza sull’impegno in favore della pace». Chiese aperte nelle diocesi e meeting mondiale alla basilica vaticana. L’evento di sabato, con la veglia convocata da Francesco in piazza San Pietro dalle 19 alle 23, raccoglie una mobilitazione crescente di ora in ora. Le adesioni si susseguono, da parte di tutti i movimenti cattolici, dalle altre Chiese cristiane alle altre religioni (Islam incluso), senza contare i politici (tra cui i ministri Mauro e Bonino) e le personalità della cultura. Francesco osserverà il digiuno ecclesiastico esortando «tutti gli uomini di buona volontà» a seguire il suo esempio. La prima parte del «Syria day» sarà ecumenica, la seconda seguirà la liturgia cattolica. Bergoglio ha fatto sapere ai collaboratori di non volere una piazza festante: né bagni di folla, né acclamazioni personali. Il clima sarà «penitenziale», come fu due mesi fa a Lampedusa per la commemorazione delle vittime degli sbarchi. Un «mea culpa» per le colpe del passato, incluse le divisioni tra cristiani («scandalo e vera controtestimonianza»). E l’appuntamento sta diventando un evento di portata planetaria. La segreteria di Stato ha invitato gli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede a un briefing che si svolgerà domattina per informare il corpo diplomatico sui significati dell’iniziativa. Inoltre sono state contattate tutte le conferenze episcopali nazionali per dare informazioni sulla mobilitazione. I dicasteri vaticani, inoltre, hanno preso contatto con i referenti delle altre Chiese e delle altre confessioni religiose. Sono mobilitate, inoltre, tutte le diocesi e le Chiese locali. Il dicastero per la vita consacrata ha invitato a unirsi al digiuno e alla preghiera anche i frati e le suore, promuovendo momenti specifici nelle rispettive comunità. Sabato piazza San Pietro sarà aperta a tutti: dalle 16.30 si potrà accedere alla piazza, dove per le confessioni saranno disposti alcuni confessionali sotto il colonnato e il Braccio di Costantino. Alle 19, poi, l’arrivo del Papa sul sagrato. Quindi l’intronizzazione dell’immagine mariana della «Salus populi romani», a cui Francesco è devotissimo, e la recita del rosario, seguita dalla meditazione del Pontefice con un nuovo appello alla pace, dalla recita dell’ufficio delle letture e dalla benedizione eucaristica. La conclusione intorno alle 23. Una grande mobilitazione, che punta a scongiurare l’attacco alla Siria.

http://vaticaninsider.lastampa.it

La Siria affidata a Maria




Un’intensa preghiera perché in Siria torni a regnare la pace si è levata ieri, domenica 1 settembre, anche dal santuario siracusano dedicato alla Madonna delle lacrime, dove il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha presieduto la celebrazione per il sessantesimo anniversario della lacrimazione. «La tormentata vita dell’umanità in questa "valle di lacrime" — ha detto tra l’altro iniziando la sua omelia — o f f re anche oggi immagini dolorose che attraggono gli occhi misericordiosi della nostra Madre celeste. Sono immagini terribili che Papa Francesco ha richiamato, pronunciando un forte appello per la pace in Siria e nel mondo alla preghiera dell’Angelus di stamane». E dopo aver riproposto le parole del Pontefice ha chiesto di unire la loro preghiera a quella del Papa e di porla «nelle mani di Maria Regina della pace». Del resto, ha notato, le letture bibliche della celebrazione eucaristica hanno offerto «l’opportunità di una appropriata riflessione per sottolineare come la presenza mistica di Maria, che qui volle lasciare il segno della sua compassione per le sofferenze umane, sostiene lungo i secoli la fede, la speranza e la carità del popolo cristiano, accompagna il cammino dei suoi figli nella storia e condivide il loro pianto» Il porporato ha poi posto l’accento su tre atteggiamenti delle Vergine, «rimanere, ascoltare e accogliere» nei quali «si riassume l’esistenza di Maria, la sua vocazione, la sua missione. E poiché Maria è la madre e il modello della Chiesa, questi sono anche i verbi che segnano la sequela Christi». Proprio in quanto modello le sue lacrime assumono un significato particolare per i fedeli. «Quello delle lacrime — ha detto in proposito — è un linguaggio universale, che manifesta la compassione di Dio. E la Chiesa, che riceve da Maria questo messaggio, è chiamata a diventarne ambasciatrice». Il cardinale ha poi citato alcune immagini «semplici ed efficaci» utilizzate in questi mesi da Papa Francesco «per parlarci di Dio e del suo amore» e ha concluso ricordando tra l’altro che «il pianto di Maria è come il “collirio della memoria” contro l’idolatria del presente, un collirio che ci aiuta ad avere uno sguardo pieno di speranza verso il futuro; uno sguardo pieno di fede, per essere pronti alla conversione e docili allo Spirito». Al termine della celebrazione il segretario di Stato, su richiesta del rettore del santuario siracusano, ha incontrato un gruppo di giornalisti e ha risposto ad alcune loro domande. In particolare il cardinale Bertone ha voluto ricordare e sottolineare le linee portanti che hanno ispirato e sostenuto il suo servizio svolto in Segreteria di Stato — tra queste, un rapporto armonizzato tra fede e ragione, tra diritto e legge naturale, fra tradizione e modernità — richiamando poi alcuni avvenimenti memorabili, tra i quali le giornate mondiali della gioventù di Sydney e Madrid con Benedetto XVIe di Rio de Janeiro con Papa Francesco.


© Osservatore Romano - 2-3 settembre 2013