lunedì 24 dicembre 2012




Era, lo è e lo sarà per sempre il Re dei re
Il Santo Padre Athanasios ci ha detto che Dio,
si fece uomo perché tu uomo diventi Dio.

            In questa frase troviamo il Mistero dell’Incarnazione del nostro Signore Gesù Cristo, perché dopo Adamo ed Eva, Dio vegliando dal Suo Regno Celeste il Suo regno terrestre, contemplando la Sua creatura giorno dopo giorno e vedendo fin dove è arrivata e che fine farà, ci ha mandato il Suo Figlio per avvertirci, ed Esso ci ha dato pure la sua vita per la nostra salvezza.
Oggi dove siamo? Che cosa abbiamo cambiato? Cosa ci ha insegnato l’esperienza dei nostri padri?
            Stiamo di nuovo riprendendo la via che hanno sbagliato i nostri padri, la via dell’arroganza, l’attacco alle cose materiali, lontani dalle nostre Chiese, lontani da Dio, in separazione con noi stessi, ci contrariamo con le nostre idee … confusione totale sia al di fuori (nella società), che internamente (ognuno dentro di se). 
La soluzione non sarebbe ritirarsi dal mondo e farci monaci, per esempio, neanche un ritorno irragionevole alle Chiese, ma una vera conversione interna. Una cosa difficilissima da compiere, perché dobbiamo andare contro senso, contro tutte le realtà che ci circondino, ma Nessuna tentazione vi ha colti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscirne, affinché la possiate sopportare (1Cor, 10:13).
Per uscirne ci serve la fede, la vera fede in Dio Padre nostro e creatore dei celi e della terra, non una fede cieca che con un soffio di vento (tentazioni) vola e si perde, ma una fede che ha radice, ben coltivata e annaffiata di grazie divine, con amore e pazienza umana. Allora tutti noi siamo responsabili della nostra situazione odierna, perché abbiamo ricevuto le grazie divine dal giorno del nostro battesimo, ma non siamo stati l’uno accanto all’altro, con amore pazienza e fedeltà, per cui abbiamo perso l’esempio e quello che si è incarnato per la nostra salvezza, per darci l’Esempio della vita fraterna, ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potestà; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui (Col 1: 13-16).
Quindi abbiamo una sola missione nella nostra vita, che è cercare il Regno di Dio ed annunciare la Parola, per poter illuminare le giuste vie verso la Luce Eterna, tramite la nostra vita vivendo secondo l’insegnamento del nostro Padre.
Dobbiamo cercare nel più intimo delle nostre anime, i nostri cuori e i nostri corpi, che ci ha dato il Signore, perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili (Rom 11: 29). Ciascuno di noi deve essere svelto e pronto, cosi può ricevere e dare da quello che ha ricevuto nel suo battesimo, il Dono Personale (la sua missione) mandato dal suo Padre, tramite il battesimo (Battesimo, cresima e comunione), Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, doni di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l'interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell'unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole (1Cor 12: 7-11).  Siamo invitati a maturare i nostri doni, per poter partecipare realmente alla nostra salvezza, come Dio ci ha dato la possibilità di scegliere tra il bene ed il male, ci ha dato la possibilità di partecipare alla creazione, tramite la procreazione. Ci ha dato la possibilità di insegnare, di creare (tecnologie)… e cosi ci ha reso partecipi attivi su questa terra, sempre per il bene comune.
L’esperienza dei nostri padri ci insegna che non dobbiamo tralasciare i nostri fratelli, dobbiamo rimanere uniti nella fede e Uno nelle tentazioni, come gli apostoli, perché ci ha mandato come pecore in mezzo ai lupi, dunque dobbiamo essere prudenti come i serpenti e umili come gli agnelli.
Vi invito a riflettere in queste ultime ore rimasti  alla nascita del nostro Signore, su come continuare la nostra vita dopo la sua venuta, affinché nella sua secondo venuta saremmo alla sua destra, vestiti di Luce Eterna, perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d'arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo, poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell'aria; e così saremo sempre con il Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole (1Tess 4: 16) condividendo il canto delle schiere angeliche, Gloria a Dio nei luoghi altissimi, e pace in terra agli uomini ch'egli gradisce! (Lc 2:14) in ginocchio (non soltanto fisicamente, ma spiritualmente, con umiltà e amore) perché ogni ginocchio si piegherà davanti a me, e ogni lingua darà gloria a Dio (Rm 4: 11).
Mi auguro che questo natale sia per tutti noi, un periodo di conversione interna (con noi stessi) ed esterna (con gli altri) affinché i nostri cuori diventino come il Suo splendore che è simile a quello di una pietra preziosissima, come una pietra di diaspro cristallino, (App 21: 11) come la luce mattutina, quando il sole si alza in un mattino senza nuvole e con il Suo splendore, dopo la pioggia, fa spuntare l'erbetta dalla terra (2Sam 23: 4). 
Desiderate ardentemente l'amore, non tralasciando però di ricercare i doni spirituali, principalmente il dono di profezia. Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno lo capisce, ma in spirito dice cose misteriose (1Cor 14: 1-2).

Michel Skaf, alunno Pontificio Collegio Greco

sabato 15 dicembre 2012

"In memoria dell'archimandrita P. Olivier Raquez osb"





Quando nell’anno 2000 si preparò un volume raccolta di scritti di P. Olivier Raquez apparve ai curatori quasi naturale intitolare il volume “Roma Orientalis”. Questo titolo rifletteva in qualche modo l’anima di P. Olivier, monaco benedettino del monastero di Sint Andries di Brugge in Belgio, deceduto il 14 dicembre del 2012 nel suo monastero di professione. Nato a Bruxelles nel 1923, fu ordinato sacerdote nel 1949. Arrivato al Pontificio Collegio Greco di Roma nel 1954, ne fu padre spirituale fino al 1963; vice-rettore dal 1963 al 1967, pro-rettore dal 1967 al 1969, quindi rettore dal 1969 al 1995. In questo anno fu nominato rettore del Pontificio Collegio Pio Romeno, in un momento in cui codesto collegio iniziava un cammino di ripresa dopo il quarantennio del regime comunista; rimase in carica fino al 2005, anno in cui rientrò al suo monastero in Belgio.
         Oltre al suo ruolo come rettore dei due collegi sopra indicati, P. Olivier tenne corsi di liturgie orientali presso diverse università romane, convinto che la formazione teologica, liturgica e spirituale dei seminaristi delle Chiese Orientali Cattoliche mandati a Roma fosse fondamentale per la crescita di queste realtà ecclesiali. Nei suoi corsi coinvolgeva gli studenti con la sua umana simpatia e soprattutto a partire dalla sua esperienza decennale nella vita liturgica bizantina al Collegio Greco. Sia dalla cattedra universitaria come docente, che dal solea della chiesa di Sant’Atanasio dei Greci a Roma come celebrante della liturgia e come predicatore, col suo sguardo vivace in su, come sospeso tra il cielo e la terra, sembrava voler cogliere dall’alto quello che poi riusciva a trasmettere dal profondo del suo cuore a coloro che lo ascoltavano. Il suo amore e la sua conoscenza dell'Oriente cristiano riusciva a trasmetterlo anche attraverso tanti articoli divulgativi sulle feste e le celebrazioni diverse dell'anno liturgico bizantino. Quando negli anni ’80, all’inizio del mio soggiorno romano, scendevo settimanalmente dall’Aventino fino a via del Babuino per partecipare alle liturgie del Collegio Greco, mi ritrovavo nella chiesa di Sant’Atanasio il suo sguardo vivace quasi sornione che si avvicinava e chiedeva: “hai la letteratura necessaria…?” Domanda che rifletteva anche la sua profonda convinzione della utilità e quindi necessità di buone edizioni e traduzioni dei libri liturgici bizantini per aiutare seminaristi, sacerdoti e fedeli nelle celebrazioni e soprattutto nella vita vera e propria della liturgia che si celebra. Convinzione che sfociò in due opere complementari di cui P. Oliviero fu l’anima e il motore che ne spinse la pubblicazione: l’edizione greca dell'Anthologhion in quattro volumi pubblicata a Roma tra il 1967 ed il 1980, e la loro traduzione italiana pubblicata sempre a Roma nel 2000, di cui P. Oliviero curò la “guida”, il sussidio teorico e pratico per la celebrazione dell'’ufficio divino nelle Chiese di tradizione bizantina.
         Consultore per decenni della Congregazione per le Chiese Orientali, collaborò nella stesura di importanti documenti di questo dicastero, e mise al servizio della Sede Apostolica la sua conoscenza ed il suo amore per l’Oriente cristiano. Nel suo prologo al volume “Roma Orientalis”, il cardinale Aquile Silvestrini definiva P. Olivier come “uomo di lunga fedeltà alla missione affidatagli, che testimonia in modo particolare i suoi doni non comuni di pedagogo e una rara capacità di adattamento”. Oserei aggiungere adattamento alle situazioni e alle persone; i seminaristi, ormai sacerdoti, provenienti dalle diverse Chiese Orientali Cattoliche che per decenni passarono per il Collegio Greco o il Collegio Romeno, così lo ricordano come padre, amico, pedagogo e che lo diventava per ognuno di loro, adattando quello che era, quello che sapeva e quello che viveva alla persona concreta che aveva davanti, facendolo sentire quindi fratello e figlio. Amò e servì con dedizione e direi con passione le Chiese Orientali Cattoliche di vecchia data, dal Libano alla Siria e la Terra Santa, passando dalla Grecia fino alle due eparchie italo albanesi dell'Italia meridionale; e seppe entusiasmarsi, ormai non più giovane, ma sempre gioviale e vivace, alla rinascita delle Chiese Orientali Cattoliche dell'Europa centrale ed orientale, specialmente della Chiesa Greco cattolica Romena, dopo il crollo dei regimi comunisti. Sempre fermo sulle colonne su cui ha poggiato fino alla fine: la fede cristiana, la formazione umana ed intellettuale, l’accoglienza fraterna, l’amicizia leale.
         Nel 2007 P. Mihai Fratila, allora rettore del Collegio Romeno, ed oggi vescovo greco cattolico in Romania, curò l’edizione di una miscellanea offerta a P. Olivier e che porta come titolo “Vivere il regno di Dio al servizio degli altri”, e concludeva la sua presentazione con queste parole a lui riferite: “Il suo prezioso servizio alla Chiesa, sotto il segno della vita «sparsa per gli altri», lascia il gusto della presenza di Dio, unico meridiano inalterabile per contare la gratitudine dei suoi servitori e la prossimità del Regno nella loro vita”.
Eterna la tua memoria, fratello nostro indimenticabile e degno della beatitudine. Amin.

P. Manuel Nin
Rettore, Pontificio Collegio Greco


Deceduto il Rev .Archimandrita Olivier Raquez





Carissimi vescovi, sacerdoti, diaconi ed amici del Pontificio Collegio Greco: Ieri, venerdì 14 dicembre è deceduto nel suo monastero di SintAndries in Belgio il Rv P. Olivier Raquez. Sin dal 1952 fù spirituale, vice rettore, pro rettore ed infine rettore del nostro Pontificio Collegio Greco dal 1969 al 1995, anno in cui venne nominato rettore del Collegio Pio Romeno sino al 2005. In questo momento, nella tristezza della sua dipartita, ringrazio il Signore per l’esempio che in P. Olivier ci ha dato di uomo di Dio, padre ed amico.

Lo raccomando alla preghiera di tutti, affinché il Signore gli conceda il riposo e lo accolga nel luogo della luce.


Archimandrita Manel Nin O.S.B.

martedì 20 novembre 2012


I N V I T O

il pontificio collegio greco e
la comunità bizantina di s. atanasio di roma

Nella ricorrenza del centenario dell’Indipendenza dell’Albania
Organizzano

Sabato 24 novembre 2012 - ore 17,00 - via dei Greci 46
una conferenza su
"L'Indipendenza dell'Albania e i Bektashi"
 Relatrice:  Prof.ssa Vittoria Luisa Guidetti
Moderatore:  Prof. Domenico Morelli

  Domenica 25 novembre 2012 - ore 10,30
Chiesa di S. Atanasio via del Babuino, 149
La celebrazione della Divina Liturgia in lingua albanese
sarà presieduta dal Papàs Angelo Prestigiacomo

La S.V. è cordialmente invitata

giovedì 15 novembre 2012

PRETI SPOSATI E PRETI CELIBI: DUE VOLTI DI UN’UNICA VOCAZIONE.


Matrimonio e ordine sacro nel sacerdote sposato:
un’‹‹unica vocazione in due momenti›.



Papas Nicola Cuccia, parroco della Chiesa S. Nicolò dei Greci di palermo,
 sacerdote Uxorato dell'Eparchia di Piana degli Albanesi ( Pa)


Si è tenuto proprio tre giorni or sono, martedi 13 Novembre, a Roma,  presso la “Domus Australia” una Boutique Guest House istituita dalla Chiesa Cattolica d’Australia al fine di garantire un luogo dove poter dimorare per pellegrini australiani in visita a Roma, sita in via Cernaia 14/b, il seminario dal titolo “THE CHRYSOSTOM SEMINAR. Married Priests: Optional celibacy in the Eastern Catholic Churches, past and present”( Preti sposati. Il celibato opzionale nelle Chiese orientali cattoliche: passato e presente). L’evento -secondo quanto hanno riferito gli organizzatori- ha avuto luogo per definire e discutere il problema delle chiese cattoliche orientali statunitensi sulle quali vige l’obbligo di mantenere, per i sacerdoti nativi degli USA, il celibato come prassi obbligatoria; obbligo peraltro ribadito nell’ultima visita ad limina dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.
In questa occasione si ha avuto l’opportunità (come dettata da titolo) di discutere sulla presenza della tradizione del clero uxorato all’interno della chiesa cattolica, come pure di analizzare i diversi aspetti e le diverse questioni ad esso connessi.
Tra i relatori chiamati ad intervenire, in tutto cinque, anche il Don Basilio Petrà, professore ordinario di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze) e professore invitato di Morale patristica greca e Morale delle Chiese Ortodosse in varie istituzioni romane, il quale ha affrontato la tematica intitolata “Preti sposati: una divina vocazione”. È proprio la relazione del Padre Petrà che, in questa sede, vogliamo ripercorrere.
È stato possibile scorgere, nella relazione del prof. Petrà, un excursus contenente due momenti principali: partendo da due essenziali constatazioni (ovvero che “la Chiesa nella sua cattolicità ha sempre affermato che il sacerdozio ministeriale uxorato è un vero e valido sacerdozio” e che “l’ordinazione sacerdotale scaturisce da una chiamata della chiesa che vede nel fedele i segni della divina chiamata”), si è giunti ad affermare anzitutto la sostanziale identità nella “struttura di elezione ministeriale tanto per i candidati al sacerdozio celibatario, quanto per i candidati al sacerdozio uxorato” e, in secondo luogo, a poter considerare (nel sacerdozio uxorato) la vita matrimoniale “non come vocazione in concorrenza e competizione con quella sacerdotale”, ma - come afferma Don Basilio- “come una sola vocazione in due momenti, il secondo del quale (il sacerdozio), include il primo (il matrimonio) ampliandone ed approfondendone alcune direzioni di senso”.
E così, fa notare il Professore, relativamente alla prima constatazione, neppure studiosi che, storicamente, hanno sferrato attacchi contro la disciplina del clero uxorato, hanno osato contestare il fatto della verità del sacerdozio dei sacerdoti sposati. Da notare che anche il concilio Vaticano II, nella Presbyterorum ordinis 16 ha formalmente negato che il celibato sia parte costitutiva del vero sacerdozio sicché quanto contenuto nel suddetto documento, al n. 2 (“i presbiteri in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della chiesa”) può ritenersi legittimamente valido anche per i sacerdoti uxorati.
I sacerdoti uxorati, pertanto, non solo “sono capaci di porre atti sacramentali validi” ma “la chiesa, ordinando preti sposati, riconosce l’origine divina della loro chiamata, una vocazione confermata dal discernimento ecclesiale” afferma il nostro relatore. E se, come disse Paolo VI in un testo che costituirà la nota 66 della Presbyterorum ordinis 11, nella vocazione al sacerdozio ministeriale è da mettere in rilievo la confluenza tra la diretta iniziativa divina (voce divina) e iniziativa divina indiretta (voce della chiesa), allora si dà la stessa struttura di elezione ministeriale tanto per i candidati al sacerdozio celibatario, quanto per i candidati al sacerdozio uxorato. Innanzitutto, sostiene il Padre Basilio, “è evidente che anche nel caso del sacerdozio uxorato si dà la santa vocatio sacerdotale, proprio come quella dei preti celibi”; in secondo luogo, essendo medesima la struttura di elezione dei chiamati allo stesso ministero, altrettanto medesima sarà l’ampiezza di vocazione. A tal rigurado, egli infatti afferma: “la vocazione divina al sacerdozio celibe coinvolge tutta la realtà umana del celibe (corpo, anima, relazioni familiari prossime e lontane, relazioni sociali in generale) allo stesso modo in cui coinvolge tutta la realtà umana del chiamato al sacerdozio uxorato (corpo, anima, spirito, relazioni familiari prossime e lontane, relazioni in generale). Come la vocazione del celibe è originariamente collegata -nel disegno di Dio- con tutta la realtà relazionale che costituisce il contesto della sua  nascita, crescita, maturazione, scelte di vita, vissuto sacerdotale, così allo stesso modo si dà la vocazione dell'uxorato. Come la vocazione del celibe sorge con la persona nel seno materno (per così dire), così la vocazione dell'uxorato nasce nel seno materno e nasce includendo le due vocazioni ex parte Dei”.
A questo punto, Don Basilio fa notare che, nel sacerdote sposato, la sua vita matrimoniale “non è una sorta di vocazione in concorrenza o competizione con quella sacerdotale, come sembrano pensare molti -anche collocati in autorità- . Così continua affermando: ‹Dio -io credo- non rivolge due chiamate concorrenziali alla stessa persona. E credo anche che non si tratti di due chiamate -ambedue divine- indipendenti e parallele›. Ovviamente gli oggetti delle due vocazioni sono diversi e perciò esse non si identificano. Tuttavia, fa notare il nostro relatore, esse hanno molti punti di contatto: “ sono vocazioni sacramentali (matrimonio, ordine); ambedue sono vocazioni che hanno un rapporto con l'amore di Cristo per la Chiesa: il matrimonio è segno/partecipazione all'amore del Cristo sposo offerto per la sua Chiesa, l'ordine costituisce il sacerdote come segno della persona di Cristo capo e pastore della Chiesa, un pastore che nutre la Chiesa con la sua parola, con la sua azione, con la sua vita, una vita donata fino alla morte; ambedue generano un sacerdozio fecondo: il matrimonio costituisce nel sacerdozio nuziale e genitoriale, l'ordine costituisce in una reale paternità 'spiritualmente' generativa in rapporto alla propria comunità. Questi punti di contatto aiutano a intuire come queste due vocazioni non solo non debbano essere viste in concorrenza o parallele, ma possono essere viste nel fedele a ciò chiamato come una sola vocazione in due momenti il secondo del quale include il primo” sicché l’ordinazione non toglie il matrimonio sacramentale, ma rafforza alcuni dei suoi elementi costitutivi (apertura, donazione, comunicazione, ecclesialità e ministerialità), elementi propri del matrimonio, proprio come sottolinea la Familiaris consortio. 


Miklos Verdes,  Eparchia greco-cattolica Ungherese,
celebra il  matrimonio  prima di ricevere l'ordine del diaconato.
Nella dottrina della chiesa, infatti, la famiglia è considerata luogo in cui si esprime la chiesa, una chiesa domestica i cui coniugi sono ministri di un sacramento che li colloca già al servizio di Dio e della chiesa, perché sono appunto chiesa che si realizza nella comunione familiare. Particolarmente toccante l’esempio citato dal prof. Petrà relativamente alle famiglie missionarie: “Oggi si consegna il crocifisso alle famiglie missionarie che vanno nelle missioni al servizio della chiesa. La Chiesa benedice le famiglie che lasciano la loro terra, decidono di sradicare i loro figli portandoli in altre terre, aprendoli ad un futuro totalmente diverso da quello che avrebbero potuto avere nella terra dei loro avi per annunciare il vangelo. Dunque mai come oggi diventa possibile comprendere come il matrimonio e la vita familiare non solo non contraddicono il ministero sacerdotale ma trovano in esso un modo in cui attuare anche il senso cristiano del  matrimonio, un matrimonio aperto al servizio della chiesa e del vangelo”. Ovviamente, tale armonia, non è di facile attuazione, esattamente come non è di facile attuazione la vita cristiana in generale e quella del sacerdozio celibatario.
Anche il Papa Benedetto XVI, in qualche modo, in Ecclesia in Medio Oriente 48 riconosce tale armonia. Egli infatti, dopo aver ricordato “il dono inestimabile” del celibato sacerdotale, ricorda il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali. “Vorrei rivolgere il mio incoraggiamento anche a questi presbiteri che, con le loro famiglie, sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro condizioni di vita a volte difficili” e, al n. 45 così afferma “A tutti [celibi e uxorati] ribadisco che la bellezza della vostra vita sacerdotale susciterà senza dubbio nuove vocazioni che toccherà a voi coltivare”.
E così, giunto al termine del suo intervento, il nostro relatore ci ha condotti, attraverso un magistrale e paideutico percorso, a notare come nel sacerdozio uxorato sia presente un’unica vocazione divina che si scandisce in due momenti. Con queste parole, il Prof. Petrà conclude il suo acuto intervento: “permettetemi di fare un'osservazione generale su gran parte della letteratura celibataria messa in atto negli ultimi anni da vari centri teologici: se leggete tale letteratura vi apparirà chiaro subito un fatto, cioè che essa è elaborata a partire dal convincimento assiomatico che il sacerdozio celibatario sia l'unico sacerdozio esattamente e perfettamente corrispondente al valore simbolico/teologico del sacerdozio ministeriale, per qualcuno anche al significato ontologico dell'ordinazione. Non sorprende che gli autori di tale letteratura trovino alla fine proprio quello da cui partono. In realtà, la riflessione dovrebbe partire diversamente, cioè dalla cattolicità della Chiesa, del suo vissuto e della sua prassi; assumere  innanzitutto questa realtà e su di essa costruire una teologia del sacerdozio, capace cioè di dare ragione adeguata delle sue diverse forme, tutte fatte proprie dalla Chiesa, cioè, per noi, tutte scaturenti dal cuore di Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvati”.



di Mirko D'Angelo, alunno P.C.G.

martedì 13 novembre 2012

Omelia sul Sacerdozio di san Giovanni Crisostomo.





L’omelia di San Giovanni Crisostomo sul sacerdozio è la prima predicata da Giovanni come prete ad Antiochia. È un testo che ha degli aspetti molto validi per noi, seminaristi, studenti, preti, monaci, nelle nostre situazioni ecclesiali odierne; aspetti validi per quanto riguarda la forma -vedere e sentire come un Padre della Chiesa faceva un’omelia- ci serve sempre di esempio; aspetti validi per quanto riguarda il contenuto -cosa ci insegna a noi, nel xxi secolo un autore del iv secolo. Faccio, in primo luogo, un brevissimo cenno sull’au­tore, poi una presentazione dell’Omelia sul Sacerdozio, e quindi cercherò di rilevare alcuni degli aspetti più importanti cui accenna­vo.

Autore.

Originario di Antiochia di Siria, nato nella metà del IV sec., Giovanni ricevete una buona formazione letteraria e cristia­na, la prima nella scuola di retorica pagana della sua città guidata dal famoso retore Libanio, la seconda, quella cristia­na, dalla mano sia di sua madre, sia soprattutto dalla frequentazione assidua della Sacra Scrittura. Dopo il battesimo, ricevuto all'età di 20 anni, fa qualche esperienza di vita monastica, semi eremitica ­per quattro anni ed eremitica poi per due anni; saranno gli anni in cui Giovanni s’impone di approfon­dire e quasi di imparare a memoria la Sacra Scrittura e pure si carica con dei rigori ascetici che li rovineranno per sempre la salute; rimarrà per tutta la sua vita una persona di salute fragile, e in più preoccupa­to -un po fissato- per la sua salute; di questo anche l’iconografia ne dà un’imma­gine chiara. Rientrato in diocesi dopo l'esperienza tra i monaci -e sottolineo il fatto che Giovanni avrà sempre in grande stima la vita dei monaci, e ne parlerà spesso nelle sue omelie-, nell’anno 381 è ordinato diacono e nel 386 viene ordinato prete, all'età più o meno di 40 anni. Ottimo oratore -assieme al suo contem­poraneo Agostino di Ippona sarà sicuramente il più grande predicatore cristiano-, per ben 12 anni ad Antiochia e spesso alla presenza del patriarca della città, prediche­rà le sue più belle omelie. Eletto alla sede patriarcale di Costanti­nopoli nel 398, sarà questa, l'epoca costantinopolita­na, quella più sfortunata della sua vita, benché rimane sempre vivo il grande predicatore. Esiliato dalla sede di Costantinopoli ­in Armenia nel 404, muore nel 407.


Opera. Omelia sul Sacerdozio.
Si tratta sicuramente della prima omelia del Crisostomo fatta nel giorno stesso della sua ordinazione oppure nei giorni immediatamente successivi. L’omelia è fatta alla presenza del vescovo Flaviano di Antiochia e di numeroso clero e popolo antiocheni; è il primo o uno dei primi esempi dell’oratoria di Giovanni Crisostomo, l’inizio di una predicazione durata 18 anni -12 ad Antiochia e 6 a Costantinopoli-, e in essa si delineano già i tratti del grande oratore; durante il periodo del diaconato si era dedito alla catechesi e lì il popolo aveva pregustato già le doti oratorie di quell’uomo fragile in salute ma forte e chiaro nella sua parola.
L’Omelia sul Sacerdozio è un testo assai breve nell’opera di Giovan­ni Crisostomo, che abituerà il suo uditorio a delle omelie che si prolungano per quasi un’ora al mattino con una ripresa al pomeriggio l’omelia sul Sacerdozio è lunga soltanto 8 pagine di testo greco nell’edizio­ne greco-francese di SC-, e ha una struttura molto chiara -pregio delle omelie crisostomiane e magari lo fosse di qualsiasi omelia: il prologo, lo sviluppo del tema e la conclusione; tre parti molto chiare, brevi e concise la prima e l’ultima, più lunga ed elaborata quella centrale. E’un testo utile e valido ancora oggi per noi, sia per il contenuto sia per il fatto che è un bel esempio di come si sviluppa una omelia, e in questo caso non una omelia su un testo biblico ma su un argomento preciso.

Contenuto dell’Omelia sul Sacerdozio.

Prologo. Da buon oratore, Giovanni fa del prologo della sua ome­lia una captatio benevolentiae, cioè un aggancio che attiri l’attenzione del popolo:
E’ vero quello che ci è accaduto? Sono veramente capitate queste cose oppure siamo presi in inganno? I fatti che viviamo, non sono forse un sonno nella notte? Veramente si è fatto giorno e siamo svegli? Chi potrà credere che di giorno, quando tutto il mondo è sveglio e cosciente, un uomo giovane, povero ed indegno, sia stato innalzato a questo livello di autorità?
Malgrado la sua riluttanza, Giovanni Crisostomo indica due cose che lo spingono ad aprire la bocca per il discorso: il popolo è lì, e aspetta la sua predicazione “a bocca aperta”, e poi il prete che predica è qualcuno che “entra nello stadio dell’insegnamento -della didaskali,”; quindi sottolinea queste due cose: il popolo e lì ed è venuto proprio per sentirlo e quindi non può deluderlo, e poi quello che sta per dire, per fare è una didaskali,a un insegnamento. Già nel prologo troviamo questi due aspetti direi notevoli.

Parte centrale del testo.

Il corpo dell’omelia, la parte centrale e più lunga del testo, è divisa in due parti: una prima parte di lode a Dio, e una seconda parte di elogio del vescovo Flaviano.
Le primizie della parola del Crisostomo sono per Dio; al Verbo, egli offre il verbo, la sua parola, parola che vorrà dire preghiera, lode a Dio e anche edificazione dei fedeli:

Vorrei, quindi, adesso che per prima volta parlo nella chiesa, consacrare le primizie di questa lingua (parola) a Dio che ce ne ha fatto dono; e questo infatti è giusto. Poiché bisogna offrire le primizie del frumento e del vino, ma anche le primizie della parola al Verbo, e piuttosto che garbe offrire dei discorsi poiché questi ci appartengono e sono a Dio piacevo­li.

Sempre in questa prima parte di lode a Dio, Giovanni Crisostomo si riconosce peccatore davanti al suo uditorio; e qui non si tratta -o non soltanto- di una forma retorica, ma traspare tutta la concezione ascetica di Giovanni, dell’ideale quasi monastico del cristiano a cui lui rimarrà attaccato tutta la sua vita:

Allo stesso modo che per tessere delle belle corone non basta che i fiori siano puri, ma bisogna anche che lo siano le mani che debbono tesserle, così anche per gli inni santi non bastano parole piene di pietà ma bisogna che sia anche piena di pietà l’anima che deve comporle.

A questo punto Giovanni inserisce un bel commento a alcuni versetti del salmo 148, con un indirizzo tipicamente antiocheno e crisostomiano: belve, uccelli, draghi, rettili... tutti sono ammessi alla lode di Dio; i peccatori soltanto ne possono essere esclusi:

“Lodate il Signore... Voi fiere e ogni specie di bestiame, rettili e uccelli alati...” E mi fermo al pronunciare queste parole... e il mio pensiero si vede turbato e mi viene voglia di piangere amaramente e di fare grandi lamenti. Cosa c’è di più abominevole, dimmi: scorpioni, rettili, draghi... tutti invitati a lodare colui che li ha creati e soltanto, da questo coro santo, ne viene messo da parte il peccatore.

L’unica ragione, allora, -e qui inizia la seconda parte dell’omelia- che lo spinge a lui, peccatore, a predicare, ad aprire la bocca, è l’elogio del padre, cioè del vescovo. La lode che un peccatore può fare è la lode degli uomini santi. Nel vescovo Flaviano di Antiochia sarebbero da lodare tante cose, e Giovanni ne fa un piccolo elenco: i suoi viaggi, le sue veglie, le sue preghiere, la sua sollecitudine per la chiesa antioche­na...
Giovanni Crisostomo si sofferma soltanto in un aspetto, in una virtù di Flaviano: il dominio di se stesso e il disprezzo di una vita facile. Giovanni si tratterrà spesso nella sua predica­zione sul peso che le ricchezze rappresentano nell’ascensione verso il cielo e quindi le ricchezze come peso, come mancanza di libertà personale e libertà di spirito, e cita il testo di Mt 19,24: è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio... Giovanni si trova, però, con un certo imbarazzo nel presentare il caso e l’esempio di Flaviano, perché sembra che era se non ricco almeno di famiglia ricca.
Flaviano, il vescovo, ci dice Giovanni, non ha guardato verso i suoi antenati familiari ma verso i suoi antenati spirituali, cioè i patriarchi veterotestamentari Abramo... e concretamente Mosè. Costui, di famiglia ricca -quella del faraone- fugge verso la povertà del suo popolo. Mosè lascia l’oro del faraone, si umilia a fare dei mattoni... in fondo quello che ne sottolinea il Crisostomo:

...non portava diadema, non indossava la porpora, non era alla guida di una carrozza d’oro... ma aveva calpestato sotto i suoi piedi l’orgoglio...
Sono tre le virtù che Giovanni evidenzia in modo speciale in Flaviano, nel vescovo: in primo luogo, l’abbiamo già visto, è umile -non è orgoglioso malgrado il luogo che occupa e il suo origine familiare ricco.
In secondo luogo, Flaviano è un uomo misurato nelle mortificazioni. In questo punto, il Crisostomo parlerà del digiuno come mortificazione:

Infatti, lui non mortificava il suo corpo fino al punto che il cavallo (il suo corpo) diventasse incapace di renderli alcun servizio; ma neppure lo lasciava correre in un troppo benessere al punto che diventasse incapace di alzarsi a causa della pesantezza...; era attento, allo stesso tempo sia alla salute sia alla disciplina...

In terzo luogo, la terza virtù di Flaviano, è la sua presenza tra i fedeli. Il vescovo è vicino ai fedeli, tra di loro, nelle lotte, nelle fatiche, nei guai. Lui veglia -diventa proprio vescovo per il popolo, e costui cammina in piena sicurezza. Giovanni ci dà una immagine molto Apastorale, nel senso più proprio della parola, del vescovo: lui custodisce con la sua presenza tra il popolo:

Lui siede sul luogo di comando e guarda senza sosta non gli astri del cielo, né le rocce che cadono nell’acqua... ma le trappole dal diabolo... e così mantiene tutti nella sicurezza; e veglia non soltanto sulla nave, ma anche fa tutto quanto può affinché nessuno, tra i naviganti, non abbia a soffrire niente...

Giovanni Crisostomo fa ancora un riferimento a un tema a lui molto caro, cioè il vescovo come padre del gregge, e l’episcopato come una successione in questa paternità episcopale; parlerà del padre di Flaviano in riferimento a Melezio, il suo predecessore ad Antiochia. Quindi l’episcopato come una successione nella paternità del gregge, della Chiesa.

Conclusione.
L’ultima parte dell’omelia è la conclusione, assai breve, di due pagine. Giovanni chiede scusa, e sarà una delle poche volte che il Crisostomo chiede scusa per la lunghezza della sua omelia; le altre volte che si accorge di essere stato lungo -e lo sarà spesso-, lo ritiene utile per i suoi ascoltato­ri. Dopo le scuse, conclude in modo assai rapido, quasi precipi­tato, chiedendo preghiere per il vescovo -che è il padre, il maestro, il pastore, il pilotta-, per la Chiesa e per lui stesso. Ormai all’inizio della Quaresima del Natale, Giovanni Crisostomo ci offre l’esempio del cristiano dedito all’ascesi, dedito alla sua chiesa, dedito alla lettura della Parola di Dio. Che il suo esempio ci sia di aiuto nel nostro cammino cristiano.


di P. Manel Nin. Rettore P.C.Greco


mercoledì 7 novembre 2012

Morto il Patriarca bulgaro Maxim. Il Papa: ha servito con devozione il Signore e la sua gente




Benedetto XVI ha inviato un telegramma di cordoglio alla Chiesa ortodossa bulgara per la scomparsa avvenuta questa mattina, all’età di 98 anni, di Sua Santità Maxim, Metropolita di Sofia e Patriarca di Bulgaria. “Per molti anni ha servito con devozione Signore e il suo popolo”, scrive il Papa, affermando di condividere il “dolore della Chiesa ortodossa bulgara”. Ricordando anche “la calda ospitalità riservata a Beato Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita in Bulgaria nel maggio 2002", Benedetto XVI prosegue ringraziando “il Signore per i buoni rapporti che il Patriarca aveva sviluppato con la Chiesa cattolica in queste terre”. “Spero sinceramente – conclude – che tali buoni rapporti continuino nell’annuncio del Vangelo”.
A dare la notizia della morte di Sua Santità Maxim è stata la televisione nazionale bulgara. Il Patriarca ortodosso si è spento all’ospedale di “Lozinetz” di Sofia, dove era ricoverato da un mese. Era il più anziano Patriarca – sia per età che per durata del suo ministero patriarcale – tra tutti i Primati delle Chiese ortodosse autocefale. L’agenzia Sir ha riferito che i vescovi della Chiesa ortodossa bulgara si sono riuniti oggi in un incontro straordinario del Santo Sinodo per organizzare le esequie. A nome del clero cattolico e dei cattolici bulgari, il presidente della Conferenza episcopale bulgara, mons. Hristo Projkov, ha inviato un telegramma al Santo Sinodo della Chiesa ortodossa bulgara, nel quale esprime “il profondo e sincero cordoglio per la morte beata di Sua Santità il Patriarca Maxim e uniti nel vostro dolore, preghiamo il Signore che accolga la sua anima”.

Il Patriarca Maxim era nato il 29 ottobre 1914 e il 4 luglio del 1971 è stato eletto patriarca di Bulgaria. Ha guidato la Chiesa di Bulgaria durante gran parte del periodo della dittatura comunista e in seguito durante la transizione del Paese verso la democrazia. La Chiesa ortodossa bulgara è una Chiesa autocefala che conta sei milioni e mezzo di fedeli in Bulgaria e circa due milioni di fedeli emigrati nei Paesi europei, nelle Americhe e in Australia. Attualmente, la Chiesa ortodossa bulgara è in comunione con le altre chiese ortodosse ed è riconosciuta sia dal Patriarcato di Mosca che dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.

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domenica 4 novembre 2012

Il vescovo Tawadros è il nuovo Patriarca copto ortodosso. Mons. El Soryany: un giorno di festa e speranza


tawadros

Il vescovo Tawadros, ausiliario di Beheria, è il nuovo Patriarca copto ortodosso e succede a Shenouda III. Il suo nome è stato estratto a sorte da un bambino al termine di una solenne celebrazione nella cattedrale copta del Cairo. Tawadros, 60 anni, si è laureato in farmacia prima di intraprendere la vita religiosa. I media egiziani ne mettono in rilievo la capacità teologica e la sua attività pastorale con i giovani. Tawadros è il 118.mo Patriarca copto ortodosso, ma il primo nell’era del dopo Mubarak con al governo i Fratelli Musulmani, che si sono oggi felicitati con il nuovo Patriarca. Per una testimonianza sull’importanza di questa elezione, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente al Cairo, mons. Barnaba El Soryany, vescovo della diocesi Copto-Ortodossa di San Giorgio a Roma: 00:01:08:83
R. - Il Papa Tawadros II è una persona molto attiva per tutto il popolo copto specialmente qui in Egitto. Ci è stato fatto un regalo: è un grande regalo per tutti! Ci aspettiamo veramente che segua la stessa strada di Papa Shenouda III, dal quale ha ricevuto la stessa scuola e del quale è figlio spirituale.
E’ per questo che lo seguirà. Siamo tutti emozionati per questa scelta di Dio.
D. – Questa scelta del nuovo Patriarca è molto importante per i copti, soprattutto in
Egitto in questa situazione molto delicata adesso…
R. - Sì. E’ una persona molto calma e molto amata da tante persone, da quelle che lo hanno conosciuto a quelle che sono con lui, a quelle che hanno svolto il servizio con lui. Sentiamo che con lui andremo avanti, che la Chiesa andrà avanti con il dialogo: lui spera molto nel dialogo. 
D. - Lei è al Cairo… c’è un grande spirito di festa e di speranza tra i fedeli?
R. - Sì, certo. La Messa è stata una Messa solenne e tutto il Santo Sinodo ha partecipato a questa Messa. Davanti a tutti, un bambino - si chiama Giorgio - ha preso il nome del nostro nuovo patriarca Tawadros II.

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mercoledì 31 ottobre 2012

Notizie dal Libano


S.E. George Riachy


Domenica 28 Ottobre 2012 è tornato alla casa del Padre S.E. George Riachy, Eparca di Tripoli, Akka e Al-Kaura dei Greco-Melkiti. Il rito funebre si è svolto oggi Mercoledì 31 Ottobre presso la chiesa del monastero di Sant’Elia, Al-Tassiye-Zahle.

Porgiamo le nostre sentite condoglianze a tutta l’Eparchia di Tripoli del Libano e al suo seminarista Michel Skaf, alunno del nostro Pontificio Collegio Greco.


Eterna sia la sua memoria



E la Chiesa sfida halloween.......





In Italia e all’estero ecco gli appuntamenti messi in campo dai cattolici per rilanciare la notte di Ognissanti


Niente zucche, mostri, o teschi, ma volti di Santi: la Chiesa cattolica sfida Halloween. A Roma come a Torino, a Genova come a Benevento, in Polonia come nelle Filippine, i cattolici e le gerarchie ecclesiastiche organizzano e propongono iniziative, oppure rilasciano dichiarazioni, per la notte tra il 31 ottobre e l’1 novembre, affinché venga vissuta e celebrata come la notte di Ognissanti e non della tradizionale simbologia dell’occulto proveniente dagli Usa.


Ecco una carrellata di appuntamenti dichiaratamente «anti-halloween».


Roma. Alle 22,30, presso la basilica di Sant’Anastasia, verrà celebrata una s. Messa «in riparazione agli oltraggi e alle profanazioni che si consumano nella notte di Halloween», afferma don Aldo Buonaiuto, animatore generale del servizio «AntiSette» dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi; seguirà la Processione eucaristica e una fiaccolata nel Circo Massimo, «luogo del martirio dei primi cristiani». La Cerimonia religiosa sarà presieduta dallo stesso don Buonaiuto.


Torino. «Con sale in zucca. Voi siete il sale della terra (Mt.5,13)» è il titolo della «Notte dei Santi» edizione 2012, organizzata dall’Arcidiocesi di Torino – Ufficio di Pastorale giovanile nel Centro Congressi Santo Volto, a partire dalle 21,30. Il programma prevede preghiera, riflessioni, festa, musica, arte, cultura, cabaret; l’Arcivescovo di Torino mons. Cesare Nosiglia concluderà la serata avviando l’adorazione eucaristica notturna.


Polonia. In un messaggio pubblicato sul sito internet dell’arcidiocesi di Varsavia la ricorrenza di Halloween viene definita dalla Chiesa cattolica polacca «un frutto della propagazione dell’occultismo e della magia», che ha «le sue radici nell’adorazione pagana degli spiriti e di un dio celtico della morte». «Con la scusa di divertirsi», prosegue la nota, «si invitano i bambini e gli adulti a praticare l’occultismo, e questo è in contraddizione con la Chiesa e con la vocazione cristiana». 


Sassuolo (provincia di Modena). Tenere in casa i figli; andare in parrocchia e vestirsi da Santi, oppure con abiti bianchi; portarli in chiesa il giorno di Ognissanti: sono gli «ordini» di don Ermes Macchioni, parroco di San Michele ed esorcista della diocesi di Reggio Emilia e Guastalla; li ha diffusi attraverso Facebook, nella pagina creata per promuovere la quinta «Festa dei Santi», organizzata nei locali della parrocchia.


Genova. La Pastorale giovanile della diocesi di Genova promuove una Veglia di preghiera alle 20,30 nei vicoli della città, presso la Chiesa di N.S. delle Vigne. Durante la celebrazione, alcuni volontari usciranno in coppia in strada per invitare i passanti a entrare in Chiesa.

Filippine. Non si svolgano feste di Halloween nelle scuole cattoliche: l’invito – come riporta Radio Vaticana - arriva dall’«Associazione per l’Educazione cattolica delle Filippine». In una nota padre Greg Banaga, presidente dell’Associazione, ribadisce che tutte le istituzioni cattoliche «hanno il dovere di difendere la dignità delle persone decedute», e non devono «celebrare la festa di Ognissanti e il Giorno dei Defunti con costumi o riti spaventosi».

Imola (provincia di Bologna). «Halloween? Una festa cattolica svuotata di luce dai protestanti e riempita di tenebre dagli occultisti»: è il titolo dell’incontro, promosso dal Gris, che si terrà alle 20,45 nel teatro parrocchiale della frazione di Sesto Imolese.

Benevento. Nella parrocchia di San Modesto, «HOLYween»: si tappezzano di volti di Santi i balconi, le vetrine dei negozi, le facciate delle chiese e le porte delle case.


martedì 30 ottobre 2012





A Te mio preziosissimo amore,  a chi l’ha cercata l’anima mia, a chi ho presentato la mia anima dedicandola fino alla morte senza nessuna condizione, a Te scrivo con tutti i dolori Chiesa mia.

Inizio con un grido di dolore dal più profondo del cuore, grido che raggiunge l’alto dei  cieli,  cieli che piangono  piovendo in abbondanza, sperando che questa  acqua serva come  lavacro dei cuori e dei corpi.

E all’improvviso

Non trovo nessuno che partecipa alla Tua festa, quando il tuo Sposo è presente, perché i presenti sono presenti assenti. Contemplo la Tua bellezza o Sposa dello Sposo e lo vedo sfuocato, perché hai perso  tanto tempo guardando alla Tua bellezza esteriore. Hai perso la Tua ricchezza come Sposa, che attira i partecipanti alla celebrazione e sei diventata un museo che contiene i più bei pezzi d’arte, attiri gli occhi per un certo tempo ma distrai le anime fino all’eternità.

Che Sposa sei diventata?
Una Sposa fatta di pietre morte? O una Sposa fatta di pietre addormentate che sperano  nella resurrezione?

Te lo dico senza esitazione e senza paura: sei in tutti e due i casi morta, perché se non troverai il modo di fare tornare i partecipanti allo Sposo per la celebrazione, per la loro salvezza, per prendere la Sua benedizione per poter fruire amore eterno verso tutti, là avrai compiuto la Tua missione e avrai il diritto di essere il Corpo Misterioso di Cristo, obbedendo allo Sposo non come un tiranno, ma con umiltà e amore come eri nei primi tempi, celebravi nei tempi della persecuzione con i figli tuoi senza paura, ma con estrema passione per incontrarlo sotto qualunque condizione, fino al martirio, come segno d’amore eterno per il tuo Amore, Sposo e salvatore nostro Signore Gesù Cristo.
Allora mia cara amata da Dio, come sei tu che intercedi chiedendo tutte le grazie celesti nella presenza dello Spirito Santo, su di noi abitanti di questa terra, fa che i credenti celebrano la presenza del Tuo Sposo con amore e passione e non preoccuparti della tua bellezza esteriore,  rivestiti del Mantello di Luce come vestito da Sposa e sii fiera della Tua ricchezza interna, che è la Tua vera bellezza.

Perché la bellezza non è quella del corpo ma quella dell’anima

Ti scrivo piangendo del mio dolore ma spero di tutto il mio cuore che tutti i credenti ti piangono non di dolore ma per la mancanza e per amore. Spero che Tu sii La Sposa che ci porta allo Sposo e ci salviamo da una lacrima. Che questa lacrime sia un fiume come il Jordano per un nuovo battesimo per il lavaggio delle anime, e per poter portare l’abito di luce per ospitare nei nostri cuori Lo Sposo nel tempo che verrà. E cosi potremmo aspettarlo con coscienze chiara e cuori pronti in ogni minuto per elevarci con Lui.
Siamo in questi giorni, portati dalle onde delle tentazioni e dei peccati di questo mondo materiale, che ci manda dove non vogliamo andare, per cui ci serve il Tuo grido: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo» (Mar. 1:15).
E cosi concludo la mia lettera a Te, o Chiesa mia amata da Dio, perché hai da scegliere tra le due strade perché Tu sei il Regno di Dio sulla Terra e la porta del Suo Regno Celeste, allora sii attenta ai tuoi passi e che siano ben stabili, perche ti stiamo seguendo, allora o andremmo in inferno se terrai ancora la tua attenzione alla Tua bellezza esterna, o arriveremmo al Regno per godere la Pace Eterna tra le mani del nostro creatore se Tu terrai il Tuo vestito di Luce che ci illumina ;la Vera Strada verso il Regno Celeste.
Hai avuto tutti i doni del tuo fondatore, per cui devi perseguire i suoi passi con certezza e fermezza, imitandolo nell’Umiltà l’Amore fino al Martirion. Dio che ha parlato ai suoi nell’Antico Testamento è ancora in comunicazione con la Sua Sposa oggi per cui riceviamo tramite Te il perdono per poter essere veramente portatori della Sua Parola che vive nei nostri cuori.
Il Regno di Dio è presente misteriosamente nel seno della Chiesa, nei cuori dei fedeli come semi del Regno Celeste, e come il suo Piccolo Gregge (Lc 12:32).  

Michel Skaf, alunno P.C.G.