martedì 25 settembre 2012

Quando ci siamo persi l’Albania, che da cristiana è diventata musulmana



di Ardian Dreca


Prima che i comunisti ne cancellassero la storia, la sua identità cristiana ed europea si è sempre salvata nel rapporto con l’Occidente. E nella resistenza all’invasore ottomano. Com’è che l’abbiamo svenduta alla Conferenza islamica?

L’Albania festeggia quest’anno il suo centenario dell’indipendenza dall’Impero ottomano e questa è l’occasione giusta per fare un bilancio del percorso plurisecolare del paese delle aquile verso la libertà.
Nel Quattrocento fu Giorgio Castriota detto Scanderbeg (1405-1468), a guidare per 25 anni la lotta dei principi albanesi contro gli ottomani di Murad II e poi di Maometto II il Conquistatore. La sua fama di condottiero valente e di diplomatico abile varcò i confini dell’Albania e ben presto il Regno di Napoli lo sostenne energicamente. Anche la Serenissima gli venne in aiuto, rimanendo però cauta affinché egli non diventasse troppo potente da ostacolare gli interessi commerciali della Repubblica.
Un appoggio paterno e incondizionato gli fu dato dai pontefici che regnarono in quel quarto di secolo. Eugenio IV, Niccolò V, Callisto III e Pio II lo aiutarono sia direttamente con denaro, sia cercando si sensibilizzare le corti italiane ed europee sull’importanza della difesa di quel baluardo di cristianità che era l’Albania. Callisto III usò nei suoi confronti gli appellativi “defensor fidei” e “athleta Christi”. Con la morte di Scanderbeg il paese cadde sotto il giogo ottomano, ma la resistenza continuò tra le montagne impervie dove i suoi connazionali mantenevano vive la fede, la lingua e le tradizioni etniche. Mentre l’Europa usciva dal Medioevo, l’Albania occupata era condannata a rimanerci fino agli inizi del XX secolo.
 Uno dei fattori che svolsero un ruolo fondamentale nel forgiare l’identità albanese fu la Chiesa cattolica. Infatti, il primo documento scritto in albanese è la formula del battesimo (1462), il primo libro stampato è il Messale (1555) del prete Giovanni Buzuku, il libro successivo è la Dottrina cristiana (1618) del sacerdote Pietro Budi, che nel 1621 organizzerà un’insurrezione armata contro gli ottomani. Anche il primo dizionario latino-albanese (1635) è opera di un sacerdote, Frang Bardhi. Dopo di lui abbiamo il Cuneus Prophetarum (1685) del vescovo Pietro Bodgani. La prima grammatica della lingua albanese (1716) e un dizionario italiano-albanese (1702) sono opera del missionario francescano Francesco Maria da Lecce. Altri contributi notevoli per la cultura albanese li troviamo tra gli esuli che ormai si erano stabiliti nell’Italia meridionale.

LA CURA DELLA CRISTIANITA’. Dal Seicento la Chiesa di Roma, preoccupata dal terrore crescente e dalla pressione delle tasse che l’amministrazione ottomana esercitava sui cristiani albanesi con l’intento di convertirli all’islam, affidò alla Propaganda Fide il compito di curare i destini della cristianità in quel lembo lacerato dei Balcani. L’opera immane della Propaganda Fide in Albania, gli effetti del Kultusprotektorat esercitato da parte dell’Impero sulle popolazioni cristiane dei territori della Sublime Porta e più tardi gli esiti della pace di Passarowitz (1718) agevolarono la sopravvivenza dello spirito nazionalistico e aiutarono la preservazione della fede cristiana. La strada verso la salvezza passava attraverso la formazione dell’identità nazionale e religiosa degli albanesi e dipendeva dalla loro capacità di mantenere sempre accesa la fiamma della libertà. Nel 1703, la Chiesa, allora guidata da Clemente XI, pontefice di origine albanese, avvertì la necessità di indire un concilio nazionale per rafforzare i fondamenti della fede cristiana e per rimediare alle necessità del popolo cristiano in Albania. Un elemento molto importante che contribuì a fermare l’islamizzazione del paese fu il diritto consuetudinario albanese, noto anche come il Kanun del principe Lek Dukagini III (1459-1479). Il Kanun, con i suoi tratti fortemente repubblicani di matrice romana, ebbe un influsso determinante nella vita della comunità cattolica del nord, che respinse la sharia islamica non riconoscendo così il potere giuridico degli occupanti sulla propria patria. Inoltre là dove vigeva il Kanun si mantenevano in uso i costumi tradizionali popolari e non si usava il velo islamico anche tra coloro che nel frattempo si erano convertiti all’islam. Dopo la Seconda Guerra mondiale, mentre l’Occidente che aveva trionfato sul nazi-fascismo si godeva i frutti della vittoria, l’Albania insieme al campo sovietico cadeva in uno dei peggiori incubi della sua storia. Il comunismo albanese di Enver Hoxha nel suo astio profondo contro la religione cristiana e nel suo totalitarismo privo di qualsiasi spiritualità, mostrava di unire in sé l’eredità del dispotismo ottomano con la “barbarie bolscevica” di stampo leninista. Che il comunismo albanese sia stato di matrice islamica lo dimostra l’accanimento speciale nei confronti della Chiesa cattolica e dei suoi membri. Ciò che suona molto strano per un leader comunista come Hoxha, per quarant’anni alla guida del primo paese nel mondo ateo per costituzione, è che nell’ultima sua opera, intitolata Appunti sul Medio Oriente, egli inneggi apertamente alla civiltà arabo-musulmana e alla presunta superiorità del Corano sulla Bibbia.

SECOLARIZZAZIONE. Da due decadi il regime comunista è caduto e con esso sembrava tramontasse un’era di miserie morali e materiali, ma purtroppo gli albanesi dall’inizio hanno avuto un malinteso con la libertà, la quale si confondeva con la possibilità di spostarsi nello spazio e con il fare ciò che pare e piace. Il crollo dello Stato nel 1997, la vocazione totalitaria di Sali Berisha, la mancata rotazione dei politici albanesi e la non attuazione delle riforme richieste da Bruxelles hanno fatto sì che il piccolo paese balcanico rimanesse in una posizione incerta riguardo ai tempi necessari per entrare nella Comunità europea.
 Possiamo dire che l’Albania è inseguita da un “passato che non vuole passare”; alla sua testa si trova ancora un ex membro del partito comunista di Enver Hoxha che non ha mai avuto buoni rapporti con il pluralismo politico. La tanto conclamata amicizia con gli Stati Uniti e la bramata entrata nella Nato non hanno impedito a Berisha di continuare a mantenere l’Albania all’interno della Conferenza islamica, ai lavori della quale i suoi ministri partecipano approvando risoluzioni e documenti contro lo Stato di Israele e contro gli Stati Uniti d’America. La partecipazione a tale organismo non è giustificata né dalla storia del paese, sempre in lotta con l’Impero ottomano, né dalla società multireligiosa albanese dove l’islam non è più religione di maggioranza assoluta. I dati che riportano l’islam al 70 per cento della popolazione, seguito da ortodossi e cattolici rispettivamente al 20 e al 10 per cento, risalgono alla fine degli anni Trenta. Non dobbiamo dimenticare che, oltre alle dinamiche dello sviluppo demografico, in Albania ha avuto un forte influsso sulla composizione religiosa del paese la politica dell’ateismo di Stato degli anni della dittatura. In quasi cinquant’anni in Albania si è verificato il fenomeno della non credenza e dell’indifferenza religiosa che secondo gli studi sociologici ha toccato più da vicino la società musulmana. Inoltre, nell’ultimo periodo abbiamo l’opera di proselitismo dei protestanti e di sette religiose che hanno fatto molti adepti. L’anno scorso, su insistenza della Comunità europea, dopo parecchi tentennamenti, ha avuto luogo un censimento generale della popolazione che comprendeva anche la dichiarazione volontaria della propria appartenenza religiosa. Il risultato di tale censimento, compiuto da un’agenzia controllata dal governo, a distanza di quasi un anno non viene ancora reso pubblico.

CATTOLICI MESSI DA PARTE. Oggi i cattolici non sono rappresentati nella vita pubblica e politica del paese, mentre dal 2005, anno della vittoria del Partito democratico, è aumentata notevolmente la pressione dell’integralismo islamico sia nel Kosovo sia in Albania. Il più grande scrittore albanese, Ismail Kadare, candidato al premio Nobel da diversi anni, continua a ribadire con forza l’appartenenza del suo popolo alla migliore tradizione europea e soprattutto all’umanesimo cristiano. Noi, scrive Kadare, entriamo di diritto nella famiglia europea dei popoli, grazie alla nostra tradizione cattolica e alla nostra identità europea. Tutto ciò che ci divide dall’Europa è contro i nostri interessi nazionali e contro il nostro futuro.



L’autore di questo articolo Ardian Ndreca è docente di Storia della filosofia moderna presso la Pontificia Università Urbaniana, dove dirige l’Istituto di ricerca della non credenza e delle culture (Isa). È inoltre editore della rivista cattolica albanese Hylli i Dritës, fondata nel 1913 dal poeta nazionale padre Giorgio Fishta. Tra le opere di Ndreca pubblicate in lingua italiana ricordiamo Mediazione o paradosso? Kierkegaard contra Hegel (Bonomi, Pavia 2000), La soggettività in Kierkegaard (UUP 2005), Lessico di filosofia della storia (UUP 2012).




Siria, Gregorios III Laham annuncia la liberazione dei rapiti



GREGORIOS III LAHAM


Le parole del patriarca greco-cattolico di Damasco trasmesse dalla Radio Vaticana

In Siria sono stati liberati tutti i 240 i fedeli cristiani greco-melkiti rapiti
oggi nel territorio circostante il villaggio di Rableh, situato tra il confine libanese e la città di Qusayr, nella provincia siriana di Homs. A darne notizia alla Radiovaticana Gregorios III Laham.
Il patriarca spiega che non sono ancora chiari i motivi del rapimento: «A Rableh, - racconta - c’è una grande comunità di greco-cattolici, sono la maggioranza: ci sono maroniti, alawiti.
Questo è il punto nevralgico, gli alawiti. C’è una tendenza a fare intervenire i cristiani perchè il problema diventi religioso, una guerra civile tra le diverse comunità.
 È questo che dobbiamo assolutamente evitare. Tutti gli sforzi che noi patriarchi, vescovi, politici, dobbiamo fare sono per evitare una guerra civile e una guerra tra fratelli».
 Per il patriarca si può parlare di tentativo di strumentalizzare la religione, e in questo episodio «si volevano coinvolgere soprattutto i cristiani per risolvere i problemi tra diverse comunità non cristiane, fare entrare i cristiani tra i problemi dei musulmani con altri musulmani».



Siria, bande armate sequestrano 150 greco cattolici



La denuncia dalla popolazione del villaggio di Rableh, situato tra il confine libanese e la città di Qusayr, nella provincia di Homs rilanciata da Fides.

Si tratta di operai e contadini, uomini, giovani e donne, che si trovavano a pochi chilometri dal villaggio, impegnati nei campi per la raccolta delle mele, una delle principali fonti di sostentamento per la popolazione locale. Il cattolico Abou Fadel, padre di una delle vittime, contattato da Fides, racconta che ieri,  la gente del villaggio ha sentito spari e raffiche, “dunque siamo andati a vedere cosa stava succedendo. Abbiamo visto molti furgoni e pick-up che hanno portato via le persone. Nei campi sono rimaste solo le scatole con le mele raccolte”.
 Abou Fadel riferisce che “questa regione è da mesi completamente sotto il controllo di bande armate che spadroneggiano. Nelle ultime settimane non potevamo prenderci cura degli alberi nei campi per mancanza di sicurezza. Poi, grazie a una trattativa avviata dal governatore di Homs, la situazione sembrava migliorata”.
 L’uomo prosegue: “Sono molto preoccupato. Mio figlio è tra i rapiti e molti giovani della nostra famiglia sono scomparsi. Perché? Cosa vorranno i rapitori? Siamo in angoscia per la loro sorte. Noi siamo un villaggio tranquillo, vicino al santuario del profeta Sant’Elia, luogo venerato da cristiani e musulmani. Desideriamo solo vivere in pace con tutti”.
Raggiunto da Fides, il Patriarca greco cattolico di Damasco, Gregorios III Laham, informato dell’accaduto, “implora Iddio perché aiuti gli innocenti e i poveri”. Il Patriarca lancia un appello: “Chiedo a tutti i belligeranti di rispettare i civili e risparmiare vite innocenti”. Alcuni leader cristiani locali stanno cercando di contattare Ong e organizzazioni internazionali per chiedere assistenza in tale tragica situazione



venerdì 14 settembre 2012

Il Papa firma l'Esortazione apostolica per il Medio Oriente



Il Papa nella Cattedrale di San Paolo ad Harissa dei Greco-Melkiti firma l'Esortazione post sinodale : 

ECCLESIA IN MEDIO ORIENTE


DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
AI PATRIARCHI, AI VESCOVI
AL CLERO
ALLE PERSONE CONSACRATE
E AI FEDELI LAICI
SULLA CHIESA IN MEDIO ORIENTE,
COMUNIONE E TESTIMONIANZA


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mercoledì 12 settembre 2012

L’Esaltazione della Santa Croce. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.






Oggi viene esaltata la porta del paradiso… 

            La festa del 14 di settembre porta come titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina: “Universale Esaltazione della Croce preziosa e vivificante”. È una festa legata alla città di Gerusalemme ed alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla tomba del Signore nel 335, ed è anche una festa che celebra il ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell'imperatrice Elena e del vescovo Macario. La Croce ha un posto rilevante nella liturgia bizantina: tutti i mercoledì e venerdì dell'anno viene commemorata col canto di un tropario; inoltre si commemora anche la terza domenica di Quaresima e i giorni 7 maggio e 1 agosto. Nei testi liturgici bizantini la Croce viene sempre presentata come luogo di vittoria: di vittoria di Cristo sulla morte, di vittoria della vita sulla morte, luogo di sconfitta e morte della morte. La celebrazione liturgica del 14 settembre nella tradizione bizantina è preceduta da un giorno di pre festa il 13, in cui si celebra appunto la dedicazione della basilica della Risurrezione, e si estende con un’ottava fino al giorno 21 dello stesso mese di settembre.
L’icona della festa dell'’esaltazione della Croce presenta la figura del vescovo Macario innalzando la santa Croce, con dei diaconi attorno; alcune delle icone introducono anche l’imperatrice Elena tra i personaggi. L’icona rappresenta proprio la celebrazione liturgica del giorno con la grande benedizione e venerazione della Croce preziosa e vivificante. L’icona quindi che fa presente il mistero che si celebra in questo giorno e la stessa liturgia della Chiesa che lo celebra. L’ostensione e l’esaltazione della croce porta in primo luogo tutta la creazione alla lode di Colui che in essa è elevato e della sua vittoria sulla morte: “La croce esaltata di colui che in essa è stato elevato, induce tutta la creazione a celebrare l’immacolata passione: poiché, ucciso con essa colui che ci aveva uccisi, egli ha ridato vita a noi che eravamo morti, ci ha dato bellezza e ci ha resi degni, nella sua compassione, per sua somma bontà, di prendere cittadinanza nei cieli… Croce venerabilissima che le schiere angeliche circondano gioiose, oggi, nella tua esaltazione, per divino volere risollevi tutti coloro che, per l’inganno di quel frutto, erano stati scacciati ed erano precipitati nella morte… noi dunque acclamiamo: Esaltate Cristo, Dio piú che buono, e prostratevi al suo divino sgabello…”.
            In uno dei lunghi tropari del vespro si passa quasi in rassegna tutta la teologia della croce e come la stessa Chiesa la professa e la vive. Mettendo in parallelo l’albero del paradiso e l’albero della croce, essa viene presentata e mostrata come luogo della salvezza e della vita; l’inganno del primo albero diventa vita nel secondo albero: “Venite, genti tutte, adoriamo il legno benedetto per il quale si è realizzata l’eterna giustizia: poiché colui che con l’albero ha ingannato il progenitore Adamo, viene adescato dalla croce, e cade travolto in una funesta caduta, lui che si era tirannicamente impadronito di una creatura regale…”. Il veleno del serpente viene annullato dal sangue vivificante di Cristo sulla croce: “Col sangue di Dio viene lavato il veleno del serpente, ed è annullata la maledizione della giusta condanna per l’ingiusta condanna inflitta al giusto: poiché con un albero bisognava risanare l’albero, e con la passione dell’impassibile distruggere nell’albero le passioni del condannato…”.
            In questa festa la tradizione bizantina dà alla croce di Cristo dei titoli che la collegano direttamente, come la liturgia stessa lo fa anche con la Madre di Dio, con il mistero della salvezza adoperato da Cristo stesso per mezzo della croce. E in comune con le altre liturgie orientali, anche la tradizione bizantina dà alla croce come primo il titolo di porta o chiave che riapre il paradiso: “Gioisci, croce vivificante, porta del paradiso, sostegno dei fedeli, muro fortificato della Chiesa: per te è annientata la corruzione, distrutta e inghiottita la potenza della morte, e noi siamo stati innalzati dalla terra al cielo. Arma invincibile, nemica dei demoni, gloria dei martiri, vero ornamento dei santi, porto di salvezza, tu doni al mondo la grande misericordia”. La croce quindi presentata come luogo e fonte della salvezza che ci viene da Cristo: “Gioisci, croce del Signore, per la quale è stato sciolto dalla maledizione il genere umano; sei segno della vera gioia, fortezza dei re, vigore dei giusti, decoro dei sacerdoti, tu che, venendo impressa, liberi da gravi mali; scettro di potenza col quale veniamo fatti pascolare; arma di pace, che gli angeli venerano con timore; divina gloria del Cristo… Guida dei ciechi, medico degli infermi, risurrezione di tutti i morti… Croce preziosa, per la quale la corruzione è stata dissolta, l’incorruttibilità è fiorita, noi mortali siamo stati deificati… Vedendoti oggi innalzata per mano di pontefici, noi esaltiamo colui che in te è stato innalzato e veneriamo te, attingendo abbondantemente la grande misericordia”.
            La liturgia dell'esaltazione della croce sviluppa tutta la tipologia veterotestamentaria che la tradizione patristica ha commentato sempre come prefigurazione della croce di Cristo e della salvezza che da essa viene per i genere umano. Due sono i testi veterotestamentari che troviamo presenti nella liturgia della festa: in primo luogo Es 15, che è anche la prima delle letture del vespro, che narra l’incontro con le acque amare di Mara, risanate dal legno gettato in esse da Mosè; e qua va ricordato che nella tradizione bizantina il sacerdote per la consacrazione delle acque battesimali immerge per tre volte la croce nel cattino dell'acqua. In secondo luogo Es 17, dove si narra la vittoria del popolo di Israele su Amalek per la preghiera di Mosè con le mani innalzate a forma di croce, prefigurazione di Cristo innalzato sulla croce: “Tendendo le mani in alto Mosè ha prefigurato te, o croce preziosa, vanto dei credenti, sostegno dei martiri lottatori, decoro degli apostoli, difesa dei giusti, salvezza di tutti i santi… Ciò che Mosè prefigurò un tempo nella sua persona, mettendo cosí in rotta Amalek ed abbattendolo, ciò che Davide cantore ordinò di venerare come sgabello dei tuoi piedi, la tua croce preziosa, o Cristo Dio, questa noi peccatori baciamo oggi con labbra indegne, celebrando te, che ti sei degnato di esservi confitto, e a te gridiamo: Signore, insieme al ladrone, rendi degni anche noi del tuo regno”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma.



Apolitikion


Σῶσον Κύριε τὸν λαόν σου καὶ εὐλόγησον τὴν κληρονομίαν σου, νίκας τοῖς Βασιλεῦσι κατὰ βαρβάρων δωρούμενος καὶ τὸ σὸν φυλάττων διὰ τοῦ Σταυροῦ σου πολίτευμα.


Salva, o Signore, il tuo popolo e benedici la tua eredità, concedi ai regnanti vittoria sui barbari e custodisci con la tua Croce il tuo regno.





venerdì 7 settembre 2012

La Nascita della Madre di Dio. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.



Oggi l’immacolata sposa del Padre, è germogliata dalla radice di Iesse

            La tradizione bizantina celebra come prima grande festa dell'anno liturgico la Nascita della Madre di Diom che ha un giorno di pre festa e quattro di ottava, soltanto quattro dovuto alla vicinanza con la seconda delle grandi feste, quella dell'’Esaltazione della santa Croce il giorno quattordici dello stesso mese. L’icona della festa è molto simile a quelle della nascita di Giovanni Battista e della nascita di Cristo. Anna sdraiata al centro della scena iconografica e accudita da tre donne, guarda verso Gioacchino oppure in alcune icone verso la bimba neonata che viene lavata e curata dalle levatrici. Ad un lato dell'icona troviamo Gioacchino che guarda verso sua moglie e verso la bimba. L’amore sponsale dei due anziani l’icona lo sottolinea attraverso il loro sguardo tenero e sereno. Due donne lavano Maria, rappresentata pure lei nell’icona avvolta in fasce, come Cristo stesso nell’icona di Natale, e come troviamo anche l’anima di Maria accolta in cielo da Cristo stesso nell’icona della Dormizione della Madre di Dio. Come se il ciclo liturgico, in questa sua prima grande festa, volesse ricordarci attraverso l’icona qual è stata l’ultima delle grandi feste, quella della Dormizione, il mistero della nascita della Madre di Dio e quello della sua glorificazione in cielo.
            L’ufficiatura bizantina, soprattutto nei testi del vespro della festa , ha come tema di sottofondo la gioia che la nascita di Maria porta a tutto il mondo, gioia per la sua nascita, ma anche perché questa nascita preannuncia quell’altra cioè di Colui che da lei si incarna per opera della Spirito Santo: “Con la tua natività, o immacolata, sono sorti sul mondo i raggi spirituali della gioia universale, che a tutti preannunciano il sole della gloria, Cristo Dio… perché sei tu che ci pro­curi la presente letizia, sei tu la causa della gioia futura, tu il gaudio della divina beatitudine”. Riprendendo il saluto angelico del vangelo di Luca e prendendo come modello l’inno Akathistos, Maria stessa, tutta la Chiesa è invitata alla gioia: “Gioisci, ricapitolazione dei mortali; gioisci, tempio del Signore; gioisci, monte santo; gioisci, mensa di­vina; gioi­sci, candelabro tutto luminoso; gioisci, vanto dei veri cre­denti, o venerabile; gioisci, Maria, Ma­dre del Cristo Dio; gioi­­sci, tutta immacolata; gioisci, trono di fuoco; gioisci, dimora; gioisci, roveto in­combusto; gioisci, speranza di tutti”.
            Il vespro della festa prevede tre letture bibliche dell'Antico Testamento: Gen 28,10-17 (il sonno di Giacobbe presso il pozzo di Carran con la manifestazione della scala che collega il cielo e la terra); Ez 43,27-44,4 (la porta del tempio chiusa e che guarda ad oriente); infine Prov 9,1-11 (la sapienza che costruisce una casa). È soprattutto il testo di Ezechiele che verrà ripreso in parecchi dei tropari e riletto in chiave e mariologica e cristologica: “Questo è il giorno del Signore, esultate, popoli: poiché ecco, la porta che guarda a oriente è stata generata, e attende l’ingresso del sommo sacerdote… Oggi divinamente risplende Maria, unica porta dell’Uni­ge­nito Figlio di Dio, che attraver­sandola l’ha custodita chiu­sa… Oggi le porte sterili si aprono e ne esce la divina por­ta ver­ginale…”. La tradizione dei Padri della Chiesa e le liturgie cristiane di Oriente e di Occidente hanno visto nella porta chiusa del tempio il tipo di Maria nella sua verginità, ed anche dell'’incarnazione da lei del Verbo di Dio. “Il profeta ha chiamato la santa Vergine porta invalicabile, custodita per il solo Dio nostro: per essa è passato il Signore, da essa procede l’Altissimo e la lascia sigillata… Monte, porta celeste e scala spirituale ti ha divi­na­mente profetizzata il sacro coro, sei chia­mata anche porta per la quale è passato il Signore dei pro­digi Dio dei padri nostri…”.
            Due tropari del vespro riassumono tutta la teologia della festa. Nel primo l’esultanza di Anna, non più sterile, ed il suo invito alla gioia, ce la presenta quasi tipo della Chiesa stessa che invita e convoca in questa festa tutti i popoli alla gioia: “Sterile, senza prole, Anna batta oggi gioiosa le mani, si rivestano di splendore le cose della terra, esultino i re, si allie­tino i sacerdoti tra le benedizioni, sia in festa il mondo intero”. La liturgia sottolinea come Anna genera colei che a sua volta genererà la salvezza del genere umano, Maria, che il tropario chiama “sposa del Padre”: “Perché ecco, la regina, l’immacolata sposa del Padre, è germogliata dalla radice di Iesse”. Dal parto di Anna ne scaturisce quindi la gioia: “Non partoriranno più figli nel dolore le donne, perché è fiorita la gioia, e la vita degli uomini abita nel mon­do. Non saranno più rifiutati i doni di Gioacchino, perché il lamento di Anna si è mutato in gioia ed essa dice: Rallegratevi con me, tutti voi del po­polo eletto Israele: poiché ecco, il Signore mi ha donato la reggia vivente della sua divina gloria, per la comune letizia, gioia e salvezza delle anime nostre”. Nel secondo dei tropari sopra accennati troviamo presenti ben dieci titoli cristologici dati alla Madre di Dio; inoltre a conclusione del testo una professione di fede nel mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio: “Venite, fedeli tutti, corriamo verso la Vergine, per­ché ec­co, nasce colei che prima di essere concepita in seno è stata predestinata ad essere Madre del nostro Dio; il tesoro della verginità, la verga fiorita di Aron­ne, che spunta dalla radice di Iesse, l’annuncio dei profeti, il germoglio dei giusti Gioacchino e Anna nasce, e il mondo con lei si rin­nova. Essa è partorita, e la Chiesa si riveste del proprio de­co­ro. Il tempio santo, il ricettacolo della Divinità, lo stru­mento verginale, il talamo regale nel quale è stato portato a compimento lo straordinario mistero della ­inef­fabile unione delle nature che si congiungono in Cristo: adorando lui, celebriamo l’immacolata nascita della Vergine”.
            Diversi dei testi della festa presentano il contrasto tra la sterilità di Anna e il parto verginale e divino di Maria. Il parto di Anna è sempre contemplato in vista di Maria stessa e soprattutto di Colui che Maria a sua volta partorirà: “Oggi è il preludio della gioia universale. Oggi cominciano a spirare le aure che preannunciano la salvezza. La sterilità della nostra natura è finita, perché la sterile diventa madre di colei che resta vergine dopo aver partorito il Creatore, di colei dalla quale colui che è Dio per natura assume ciò che gli è estraneo, e, con la carne, per gli sviati opera la sal­vezza… Oggi la sterile Anna partorisce la Madre-di-Dio, pre­scelta fra tutte le generazioni per essere dimora del Re universale e Creatore, il Cristo Dio, a compimento della di­vina economia”. Infine un altro dei tropari del vespro per mezzo di diversi parallelismi di immagini mette in luce il mistero della divino umanità del Verbo di Dio incarnato: troni spirituali in cielo / trono santo in terra; colui che sorregge il cielo nelle altezze / si crea un cielo in terra; radice sterile / pianta portatrice di vita. “Oggi Dio, che riposa sui troni spirituali, si è ap­pre­stato sulla terra un trono santo; colui che ha conso­lidati i cieli con sapienza, nel suo amore per gli uomini si è preparato un cielo vivente: perché da sterile radice ha fatto germo­glia­re per noi, come pianta portatrice di vita, la Madre sua. O Dio dei prodigi, speranza dei dispe­rati, Signore, gloria a te”.


P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma.


mercoledì 5 settembre 2012

Notizie dalla Santa Sede






Nominato il nuovo Sottosegretario del Pontificio Consiglio dell'Unità dei Cristiani

Città del Vaticano, 4 settembre 2012 .

Il Santo Padre ha nominato il Sacerdote Andrea Palmieri, Sotto-Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, finora Officiale del medesimo Dicastero.

Al Neo-Sottosegretario porgiamo i nostri più calorosi auguri


martedì 4 settembre 2012

Funerali del cardinale Martini. Il Papa: pastore generoso e fedele, aperto al dialogo con tutti




Grande commozione ieri pomeriggio a Milano per i funerali del cardinale Carlo Maria Martini. Alle esequie officiate dal cardinale arcivescovo di Milano, Angelo Scola, hanno preso parte almeno 20 mila fedeli, molti dei quali si sono raccolti nella piazza antistante il Duomo, nonostante la pioggia battente. Numerose le autorità istituzionali presenti, tra cui il premier italiano, Mario Monti. All’inizio della celebrazione, il cardinale Angelo Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, ha letto un messaggio inviato da Benedetto XVI, su cui ci riferisceAlessandro Gisotti: 
Un Pastore “generoso e fedele della Chiesa”, “un uomo di Dio” che ha amato la Sacra Scrittura, facendone “la luce della sua vita”. Benedetto XVI tratteggia così la figura del cardinale Carlo Maria Martini. Un pastore, si legge nel messaggio, che “è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore”. 
“Lo è stato con una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere ‘pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’". 
Lo è stato, scrive ancora il Pontefice, “con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, Pro veritate adversa diligere, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza”. Il Signore, che ha guidato il cardinale Martini in tutta la sua esistenza, conclude il Papa, “accolga questo instancabile servitore del Vangelo e della Chiesa nella Gerusalemme del Cielo”.
Per rivivere alcuni dei momenti della celebrazione funebre di ieri, la cronaca nel servizio da Milano di Fabio Brenna:
Decine e decine di vescovi e cardinali, fra cui il Presidente del Pontificio consiglio per la Cultura, il cardinale Gianfranco Ravasi, il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. Ad assistere fra gli altri, il presidente del Consiglio italiano Mario Monti, con vari ministri. Nell’omelia, il cardinale Scola ha ricordato come il cardinale Martini non “ci abbia lasciato un testamento spirituale, ma la sua eredità è tutta nella sua vita e nel suo magistero a cui dovremo continuare ad attingervi a lungo”, sottolineando però la centralità della Parola:
“Ha però scelto la frase da porre sulla sua tomba, tratta dal Salmo già citato dal Santo Padre: ‘Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino’. In tal modo, egli stesso ci ha dato la chiave per interpretare tutta la sua esistenza e il suo ministero”.
Dell’affetto testimoniato dalle 200 mila persone che sono sfilate da sabato scorso davanti al feretro di Martini, si è fatto portavoce il suo successore sulla cattedra di Ambrogio, cardinale Dionigi Tettamanzi:
“Noi ti abbiamo amato per il tuo sorriso e la tua parola, per il tuo chinarti sulle nostre fragilità e per il tuo sguardo, capace di vedere lontano, per la tua fede nei giorni della gioia e in quelli del dolore, per la tua arte di ascoltare e di dare speranza a tutti, a tutti”.
Al termine della celebrazione, la tumulazione in forma privata nella navata sinistra del Duomo, proprio sotto la croce di S. Carlo Borromeo.






Il Patriarca Gregorios Laham: la visita del Papa in Libano è un messaggio di pace per tutto il Medio Oriente



Sono felice di andare presto in Libano: è quanto affermato, ieri, dal Papa all'Angelus. E anche in Libano cresce sempre più l'attesa per il viaggio apostolico di Benedetto XVI, tra meno di due settimane. Una visita attesa non solo dalla comunità cristiana ma tutta la società civile libanese e alla quale guarda con grande speranza tutto il Medio Oriente. A sottolinearlo, nell’intervista di Alessandro Gisotti, è il Patriarca di Antiochia, Gregorios III Laham:
R. – Siamo veramente molto lieti che il Santo Padre possa venire a fare un pellegrinaggio in questo Paese che è una parte della Terra Santa. E’ un Paese molto accogliente, malgrado le difficoltà e un po’ la paura: il Santo Padre verrà. Questa è la gioia di tutti i libanesi.
D. – Quanto è importante questo viaggio per una testimonianza comune dei cristiani nella Regione, in un momento così delicato?
R. – La visita è per il Libano, e tramite il Libano è una visita a tutto il Medio Oriente, proprio perché il Libano è un messaggio, come disse Giovanni Paolo II: il Libano è piccolo ma è un messaggio per il mondo intero, soprattutto per il Medio Oriente. Questa visita è consegnare l’Esortazione apostolica che è frutto del pensiero di tutti i vescovi e patriarchi orientali che hanno partecipato al Sinodo, e che è un segno di affetto e di grande sollecitudine del Santo Padre per il Libano, per il Medio Oriente.
D. – Il Libano, la Siria, in fondo tutto il Medio Oriente ha bisogno di pace. Quanta speranza c’è che questa visita del Papa aiuti a rafforzare la pace?
R. – La pace è un bene per tutti noi e perciò questa visita è veramente importante. E’ un messaggio di pace per il Libano ma soprattutto per la Siria. Non dimentichiamo poi che il Santo Padre, in questi 18 mesi di conflitto in Siria, ha già parlato quasi 15 volte e in molte altre occasioni, richiamando alla pace, al dialogo, all’unità in Siria. Dunque, il Santo Padre veramente ha nel suo cuore anche la Siria: credo che lascerà un messaggio speciale alla Siria!
D. – Uno dei momenti più importanti della visita sarà sicuramente l’incontro del Papa con i leader musulmani. Quanto questo incontro può aiutare il dialogo tra cristiani e musulmani, e quanto anche potrà aiutare a rafforzare la libertà religiosa in tutto il Medio Oriente?
R. – Abbiamo un dialogo di vita, soprattutto in Libano, e anche un dialogo costituzionale perché tutta la Costituzione prende in considerazione tutti i gruppi: musulmani, cristiani, drusi, sciiti … Dunque il Libano rappresenta una convivialità storica e costituzionale. Questo incontro con i leader musulmani credo che sarà anche un messaggio per tutti i musulmani del Medio Oriente, soprattutto nelle situazioni in cui il pericolo è rappresentato da alcuni estremisti. Se il dialogo riesce in Medio Oriente, malgrado la situazione attuale, vuol dire che sarà possibile un dialogo per il mondo intero. E credo che il Santo Padre pronuncerà parole molto importanti per rafforzare questo dialogo e questa convivenza, la costruzione comune di un mondo migliore in Libano e nel Medio Oriente.

© www.radiovaticana.org - 3 settembre 2012