Dalla luce del Santo Giovedì, si entra nelle tenebre del
Venerdì, il giorno della Passione di Cristo, della Morte e della Sepoltura.
Nella Chiesa antica questo giorno veniva chiamato “Pasqua della Croce”, perché
esso è davvero l’inizio di questa Pasqua o Passaggio il cui senso ci sarà
progressivamente rivelato, in primo luogo, nella meravigliosa quiete del Grande
e Benedetto Sabato, e, poi, nella gioia del giorno della Risurrezione. Ma, in
primo luogo, le Tenebre. Se solo riuscissimo a capire che nel Santo Venerdì le
tenebre non sono solo simboliche e commemorative! Molto spesso guardiamo la
bellezza e la solenne tristezza di queste ufficiature in uno spirito di
auto-redenzione e di auto-giustificazione. Duemila anni fa uomini cattivi hanno
ucciso Cristo, ma oggi noi – il buon popolo cristiano – innalziamo sontuosi
sepolcri nelle nostre chiese – non è questo il segno della nostra bontà?
Eppure, il Santo Venerdì non si occupa solo del passato. È il giorno del
Peccato, il giorno del Male, il giorno in cui la Chiesa ci invita a renderci
conto della loro terribile realtà e del loro potere in “questo mondo”. Perché
il Peccato e il Male non sono scomparsi, ma, al contrario, costituiscono ancora
la legge fondamentale del mondo e della nostra vita. E noi che ci diciamo
cristiani, non facciamo molto spesso nostra questa logica del male che ha
portato il Sinedrio ebraico e Ponzio Pilato, i soldati Romani e tutta la folla
ad odiare, torturare e uccidere Cristo? Da quale parte, con chi saremmo stati,
se fossimo vissuti a Gerusalemme sotto Pilato? Questa è la domanda indirizzata
a noi in ogni parola dell’ufficiatura del Santo Venerdì. È, infatti, il giorno
di questo mondo, e la sua condanna reale e non simbolica, il giudizio reale e
non rituale sulla nostra vita… È la rivelazione della vera natura del mondo,
che poi ha preferito, e preferisce ancora, le tenebre alla luce, il male al
bene, la morte alla vita. Dopo aver condannato a morte Cristo, “questo mondo”
ha condannato a morte sé stesso nella misura in cui accetta il suo spirito, il
suo peccato, il suo tradimento di Dio – siamo anche noi condannati... Questo è
il primo e terribilmente reale significato del Santo Venerdì – una condanna a
morte... Ma questo giorno del
Male, della sua manifestazione e trionfo finale, è anche il giorno della
Redenzione. La morte di Cristo si rivela a noi come morte oikonomicaper noi e per la
nostra salvezza. Si tratta di una
Morte oikonomica perché è il totale, perfetto e supremo
Sacrificio. Cristo dona la Sua Morte al Padre Suo e dona la Sua Morte a noi. A
Suo Padre, perché, come vedremo, non vi è altro modo per distruggere la morte,
per salvare gli uomini da essa, ed è la volontà del Padre che gli uomini siano
salvati dalla morte. A noi, perché in assoluta verità Cristo muore al posto
nostro. La morte è il naturale frutto del peccato, un castigo immanente. L’uomo
ha scelto di stare lontano (alienato) da Dio, ma non avendo la vita in sé
stesso e da sé stesso, muore. Eppure in Cristo non vi è alcun peccato e,
quindi, nessuna morte. Egli accetta di morire solo per nostro amore. Vuole
assumere e condividere la nostra condizione umana sino alla fine. Accetta il
castigo della nostra natura, come si è assunto l’intero onere del genere umano.
Muore perché si è veramente identificato con noi, ha preso su di sé la tragedia
della vita dell’uomo. La sua morte è l’ultima rivelazione della Sua compassione
e del Suo amore. E poiché il suo morire è amore, compassione e condivisione della
sofferenza, nella Sua morte, la natura stessa della morte è stata cambiata. Da
punizione diventa radioso atto d’amore e di perdono, la fine dell’alienazione e
della solitudine. La condanna è trasformata in perdono... E, infine, la sua morte è una morte oikonomicamente salvifica, perché distrugge la fonte
stessa della morte: il male. Accettando nell’amore tutto questo, dando sé
stesso ai suoi uccisori e permettendo loro un’apparente vittoria, Cristo rivela
che, in realtà, questa vittoria è la totale e decisiva sconfitta del Male. Per
essere vittorioso il Male deve annientare il Bene, deve dimostrare di essere la
verità ultima sulla vita, screditare il Bene e, in una parola, mostrare la
propria superiorità. Ma in tutta la Passione è Cristo e Lui solo che trionfa.
Il Male non può fare nulla contro di Lui, poiché non può indurre Cristo ad
accettare il Male come verità. L’Ipocrisia si rivela come Ipocrisia, l’Omicidio
in quanto Omicidio, la Paura quale Paura; e come Cristo avanza in silenzio
verso la Croce e la Fine, così la tragedia umana raggiunge il Suo culmine, il
Suo trionfo, la Sua vittoria sul male, la Sua glorificazione divenuta sempre
più evidente. E ad ogni passo questa vittoria è riconosciuta, confessata,
proclamata – da parte della moglie di Pilato, da Giuseppe, dal ladro
crocifisso, da parte del centurione. E quando Lui muore sulla Croce avendo
accettato l’ultimo orrore della morte: la solitudine assoluta (Dio mio, Dio
mio, perché mi hai abbandonato?), non rimane null’altro da confessare se
non che “veramente questo era il Figlio di Dio!...”. E, quindi, è questa Morte,
questo Amore, questa obbedienza, la pienezza della Vita che distrugge ciò che
rese la morte un destino universale. “E
le tombe si aprirono...” (Matteo 27, 52). Appaiono
già i raggi della risurrezione. Questo è il duplice mistero del Santo Venerdì,
rivelato nelle sue ufficiature che ci rendono di esso partecipi. Da un lato, vi
è la costante attenzione sulla Passione di Cristo come il peccato di tutti i
peccati, il crimine di tutti i crimini. Dal Mattutino, nel corso del quale la
lettura dei dodici Evangeli della Passione ci fa seguire passo per passo le
sofferenze di Cristo, alle Ore (che sostituiscono la Divina Liturgia: il
divieto di celebrare in questo giorno l’Eucaristia significa che il sacramento
della presenza di Cristo non appartiene a “questo mondo” di peccato e di
tenebre, ma è il sacramento del “mondo che verrà”) e, infine, i Vespri, gli
uffici della sepoltura di Cristo, gli inni e le letture sono pieni di solenni
accuse di coloro che volontariamente e liberamente decisero di uccidere Cristo,
che addussero a giustificazione per questo omicidio la loro religione, la loro
lealtà politica, le loro considerazioni pratiche e la loro obbedienza
professionale. Ma, dall’altro lato, il sacrificio d’amore che prepara la
vittoria finale è altresì presente fin dall’inizio. Dalla lettura del primo
Evangelo (Giovanni 13, 31), che inizia con il solenne annuncio di Cristo: “Ora
il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e in Lui Dio è stato glorificato”,
agli stichira alla fine del Vespro – vi è l’accrescersi della luce, il lento
evolversi della speranza e della certezza che “la morte sarà calpestata dalla
morte...”
“Quando Tu, il Redentore di tutti,
fosti posto per tutti nel sepolcro nuovo,
l’Ade, che di nessuno ha timore, vedendo Te si chinò
impaurito.
I chiavistelli furono infranti, le porte sconquassate,
le tombe furono aperte, i morti risuscitati.
Allora Adamo, con gioiosa gratitudine, Ti gridò:
“Gloria alla tua condiscendenza, o Misericordioso
Sovrano”.
E quando, alla fine dei Vespri, abbiamo posto al centro
della Chiesa, l’immagine di Cristo nel sepolcro, quando questo lungo giorno sta
giungendo alla sua fine, sappiamo che siamo giunti alla fine della lunga storia
della salvezza e della redenzione. Il Settimo Giorno, il giorno di riposo, il
benedetto Sabato sta giungendo e con esso – la rivelazione della Tomba
Vivificante.
Rev. Alexander Schmemann, Holy Week: A Liturgical Explanation
for the Days of Holy Week (La Santa Settimana: Spiegazione Liturgica per i
giorni della Santa Settimana), pubblicato da St Vladimir’s Seminary Press.
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