L’attenzione dei papi verso le Chiese orientali cattoliche ha determinato un mutamento di ottica anche nel dialogo ecumenico. Da Leone XIII al Vaticano II c’è stato un cammino di avvicinamento, fino a riconoscere la pari dignità fra tutti i riti, che nella loro varietà sono un segno di unità.
Nel decreto Orientalium Ecclesiarum il Concilio ha voluto esprimere la stima della Chiesa universale verso le Chiese orientali cattoliche e per il sacro loro patrimonio. Apprezzamento che nel corso degli anni si è consolidato.
Con Leone XIII ha inizio una nuova epoca nei rapporti tra Roma e gli orientali. La sua attenzione si rivolge in due direzioni:
1. Dare piena dignità alle Chiese cattoliche di rito orientale (melchiti, ruteni e ucraini; cattolici copti, armeno cattolici e siromalabaresi, ecc.), garantendo il rispetto delle loro tradizioni liturgiche e il trattamento di parità con il rito latino storicamente consideratopraestantior, cioè di prima classe rispetto agli altri riti.
2. Prendere un’iniziativa ecumenica, con l’invito rivolto ai patriarchi orientali, cattolici e non cattolici, a conversazioni con lui a Roma per promuovere l’unione. Il tentativo non riuscì per le resistenze dei patriarchi ortodossi, che rifiutavano la premessa di "un loro ritorno" alla Chiesa cattolica.
Gerusalemme, quartiere armeno, croci simbolo delle Chiese (foto CENSI).
Ma fu significativo che Leone XIII con la lettera apostolicaOrientalium dignitas (30.11.1894) dichiarasse che «la veneranda antichità che caratterizza i diversi tipi di rito orientale è un vanto eccellente per tutta la Chiesa, e fa emergere la divina unità della fede cattolica». Egli riconosceva la legittimità degli ordinamenti ecclesiastici propri degli orientali. Con l’altra lettera apostolicaPraeclara gratulationis si impegnava, anche a nome dei suoi successori, ad assicurare, in caso di nomine, il rispetto dei diritti e dei privilegi dei diversi patriarchi e delle usanze liturgiche delle loro Chiese.
Il successore Pio X confermò l’apprezzamento che Roma nutriva per la dignità e lo splendore dell’Oriente. Nel 1908, celebrando con una liturgia orientale in San Pietro il 1500° anniversario della morte di san Giovanni Crisostomo, egli disse che «Roma intende salvaguardare le usanze nazionali ed ammira gli indiscutibili meriti e le gesta gloriose della grande terra d’Oriente».
Nel pontificato di Benedetto XV furono significativi due avvenimenti: l’erezione della Congregazione per le Chiese orientali (1.5.1917) e la fondazione del Pontificio istituto per gli studi orientali (15.10.1917), con il compito di svolgere anche un lavoro scientifico preparatorio per avvicinare l’Oriente e l’Occidente. L’istituto con le sue ricerche poté portare un contributo essenziale a una maturazione che poi rese possibili le prese di posizione del concilio Vaticano II sull’Oriente.
La risurrezione, chiesa siro-ortodossa a Gerusalemme
(notare gli arabi al posto dei soldati romani) (foto CENSI).
Pio XI mostrò grande apprezzamento per i tesori spirituali dell’Oriente e vivo interesse per il movimento di riunificazione con gli ortodossi, inteso, in linea con i predecessori, come adesione e ritorno dei fratelli separati alla Chiesa cattolica. Oltre a rendere efficiente e vitale il Pontificio istituto orientale, egli fondò per lo studio della teologia e della liturgia delle Chiese orientali il monastero orientale benedettino di Chevetogne, l’istituto Istina di Parigi, e il Pontificio collegio Russicum. Costituì anche una commissione per preparare un nuovo diritto canonico orientale.
Pio XII dedicò molta attenzione alla situazione e alle sofferenze che le Chiese orientali subivano per la persecuzione comunista, scatenata dopo la conquista sovietica dell’Europa orientale. Nell’EnciclicaOrientalis Ecclesiae (9.4.1944) assicura gli orientali che in caso di unione non saranno mai costretti ad abbandonare i riti liturgici e le loro antiche situazioni in favore di quelli latini. Nel 1945 scrisse l’enciclica Orientales omnes Ecclesias per celebrare il 350° anniversario dell’Unione di Brest e nel 1953 la Orientales ecclesiasper denunciare l’oppressione subita dai cattolici orientali da parte del regime sovietico.
Con papa Giovanni XXIII, nei rapporti tra la Chiesa cattolica e gli ortodossi si crea una nuova atmosfera. Egli fonda il Segretariato per l’unione, di cui fu presidente il cardinale Agostino Bea, che aveva già svolto un’attività grandiosa per la riunificazione e godeva anche della fiducia degli orientali non cattolici. Al segretariato il Papa assegna il compito di aiutare gli altri «a trovare più facilmente la via al raggiungimento di quella unione che Gesù ha implorato dal Padre celeste con preghiera insistente». Non parla più di "ritorno", ma di cammino da fare insieme verso l’unità voluta da Cristo.
Il cardinale Achille Silvestrini con il vescovo
di Damasco Isidoro Battikha (foto TAGLIABUE).
Principi per un nuovo cammino
Il Vaticano II pone le basi per un nuovo, positivo cammino. Il decreto sulle Chiese orientali cattoliche sancisce alcuni principi di rilevante importanza:
1. La varietà dei riti non solo non nuoce all’unità, ma la manifesta.
2. I riti godono di pari dignità e nessuno di essi prevale sugli altri.
3. Il Concilio considera il patrimonio ecclesiastico e spirituale delle Chiese orientali come «patrimonio di tutta la Chiesa».
4. Speciale onore deve essere riservato ai patriarchi delle Chiese orientali, ognuno dei quali presiede al suo patriarcato come padre e capo.
5. Alle Chiese orientali cattoliche compete lo speciale ufficio di promuovere l’unità di tutti i cristiani, specialmente orientali; dagli orientali separati che, mossi dalla grazia dello Spirito Santo, vengono all’unità cattolica, «non si esiga più di quanto esige la semplice professione della fede cattolica».
Questo decreto è parallelo e complementare all’altro, Unitatis redintegratio, che dà orientamenti coraggiosi e innovativi per promuovere il dialogo ecumenico.
card. Achille Silvestrini
http://www.stpauls.it/vita06/0508vp/0508vp92.htm
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