sabato 2 marzo 2013

Crocifissi insieme a Colui che per noi è stato crocifisso


 L’umile lavoratore diventato umile pastore.
           
La liturgia bizantina, nella settimana che precede l’inizio della Quaresima, canta questo tropario: “Digiunando dai cibi, anima mia, senza purificarti dalle passioni, invano ti rallegri per l’astinenza, perché se essa non diviene per te occasione di correzione, sei in odio a Dio come menzognera e ti rendi simile ai ­perfidi demoni che non si cibano mai. Non rendere dunque inutile il digiuno peccando, ma rimani irremovibi­le sotto gli impulsi sregolati, facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere croci­fissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso, gridando a lui: Ricòrdati di me Signore, quando verrai nel tuo regno”.È un testo che spiega il vero senso del digiuno cristiano e alla fine il tropario presenta il ruolo centrale della croce di Cristo nella vita dei cristiani: “crocifissi insieme a Colui che per noi è stato crocifisso”. Non ho potuto non accostare questo testo alle parole di Benedetto XVI nell’ultima udienza del suo pontificato: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.
Quando il 19 aprile 2005 Benedetto XVI, da poco eletto alla sede di Pietro nella Chiesa di Roma, si presentò al suo popolo nella loggia della basilica vaticana, si definì come “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. Dopo quasi otto anni di quotidiano umile lavoro, spesso strenua fatica, lo vediamo consegnare la vigna arata, potata, curata con amore sponsale ad un altro che dovrà continuarne la coltivazione. Nel pastore –e perché no?- nell’agricoltore Benedetto XVI abbiamo visto quell’amoroso servizio che il profeta Isaia canta per la sua vigna: “Voglio cantare per il mio diletto un cantico d'amore alla sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna su un colle ubertoso.Egli la vangò, la liberò dai sassi e la piantò di viti eccellenti, in mezzo ad essa costruì una torre e vi scavò anche un tino; attese poi che facesse uva, invece produsse uva aspra” Is 5,1-4). Cristo stesso nel vangelo usa questa immagine della vigna per parlare dell'’amore di Dio verso il suo popolo. Come se l’umile lavoratore Joseph Ratzinger, diventato per volontà di Dio ed il voto umano l’umile pastore Benedetto XVI, non avesse voluto fare altro e niente di meno, che vivere in se stesso, incarnare nel suo ministero pastorale, il canto del profeta sulla sua amata vigna. Umile lavoratore diventato umile pastore. Lungo il suo pontificato Benedetto XVI ha voluto in qualche modo sparire, farsi piccolo, farsi discreto, ma non per ostensione ma per mostrare Colui che è il vero pastore, incarnato, fattosi uomo per noi. Dall'inizio alla fine del suo ministero pastorale non ha voluto parlare di se stesso, bensì come umile pastore parlare dell'’unico Pastore. Già nella liturgia di inizio di pontificato non volle né presentarsi, né proporre dei programmi, ma presentare il Pastore, colui a chi lui stesso e tutti i simboli di quella liturgia facevano riferimento, e perciò da buon mistagogo ne spiegò la simbologia.
Quando il 1 maggio 2011, domenica di san Tommaso, Giovanni Paolo II per la benevolenza di Dio e per l’autorità apostolica del suo successore nella sede romana, II entrò nell’albo dei beati, la folla accorse di nuovo tra le braccia di piazza San Pietro, quel colonnato che come il grembo di una madre accoglie i figli. E in quei giorni di maggio colpì direi l’umiltà, la discrezione, la presenza quasi silenziosa di Benedetto XVI, come se di forma naturale e convinta avesse voluto mettersi da parte, all’ombra, per lasciar che fosse il predecessore ed amico che riprendesse il suo posto. La vigilia della beatificazione, in quel circo massimo romano gremito di giovani, Benedetto XVI da Castelgandolfo, ancora una volta discreto quasi nascosto guidò, come pastore della diocesi romana, la preghiera conclusiva di quella lunga vigilia. Pero la domenica a piazza San Pietro lui fu veramente il liturgo, che invocò il Nome della Santa Trinità all’inizio della liturgia, che proclamò davanti alla Chiesa e al mondo la santità del nuovo beato, che commentò la Parola di Dio, e sui doni presentati invocò lo Spirito Santo affinché diventassero il Corpo e il Sangue di Cristo. In una celebrazione liturgica concelebrata coi patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche ed i padri cardinali, conclusasi con la sua preghiera silenziosa e discreta davanti alla bara del suo predecessore beato Giovanni Paolo II. Umile pastore fino alla conclusione del suo pontificato, del suo umile servizio alla Chiesa Cattolica. Dopo aver annunciato in modo dimesso, e usando una lingua forse in molti non più capita, che voleva continuare a portare il peso della croce di Cristo, ma in modo molto diverso, e nelle settimane che hanno susseguito questo annuncio non ha parlato di se stesso bensì umile pastore ha continuato ad annunciare il vero Pastore. Nel suo ultimo incontro con i fedeli in quella piazza San Pietro dalle braccia protese, Pietro ha abbracciato la Chiesa e la Chiesa ha abbracciato Pietro. E nella sua catechesi, ancora una volta discreta ed umile e per questo grande, il pastore –l’umile lavoratore- con la sua parola ha curato con amore per ultima volta la sua amata vigna. E lo ha fatto nel ringraziamento a Dio che guida sempre la Chiesa, nella grande fiducia che il Vangelo è l’unica forza della Chiesa. Convinto che il Signore l’ha guidato nei giorni di sole e di gioia e nei giorni di foschia e di sofferenza; nei giorni in cui il mare è stato sereno e la barca solcava senza difficoltà, e nei giorni in cui le onde l’hanno sbattuta e sembrava che il Signore dormiva. Ma lui, il Signore c’era e c’è, e questa è la nostra fede. Convinti che Dio ci ama e ha dato il suo Figlio per noi. E Benedetto XVI ha ringraziato ancora tante persone che fedelmente hanno collaborato con lui, con spirito di fede e di umiltà; per fare della Chiesa non una organizzazione ma un corpo vivo, comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Cristo che ci unisce tutti. In un amore, ha ancora ricordato Benedetto XVI che delle volte porta a scelte difficili, sempre per il bene della Chiesa. Consapevolezza certa che dal momento della sua accettazione come successore di Pietro nella chiesa di Roma lui, il Papa, non apparteneva più a se stesso bensì a tutti e per sempre nell’abbraccio vicendevole di cui piazza San Pietro in questa ultima udienza è diventata tipo e testimone. Quindi il vignaiolo, il pastore, alla fine diremmo riprende il ruolo di teologo e spiega il mistero della croce, di cui lui non scende bensì rimane in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Le parole di Benedetto XVI: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”, ci portano a quelle del tropario iniziale: “… facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere croci­fissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso”. Dal 28 febbraio Benedetto XVI non scende dalla croce ma il suo nascondimento illumina Colui che per noi è appeso alla croce. Nella liturgia bizantina, durante la lettura del vangelo al vespro del Venerdì Santo, l’immagine del crocifisso viene deposta dalla croce, avvolta in un lenzuolo e sepolta sotto l’altare che diventa la tomba da cui sgorga la risurrezione e la vita. In mezzo alla navata comunque rimane sempre, a vista di tutti la croce di Cristo. Benedetto XVI si fa umile, sparisce, lasciando pero in mezzo alla Chiesa la croce vivificante di nostro Signore Gesù Cristo, che è sempre per noi cristiani l’albero della vita che ci porta all’incontro con l’unico vero Pastore della Chiesa.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma

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