domenica 4 agosto 2013

La festa della Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina.


Trasfigurazione Monastero del Sinai, s. VI


Oggi la natura umana riacquista tutta la sua bellezza

       La festa della Trasfigurazione è una delle dodici Grandi feste del calendario bizantino; ha un giorno di pre festa il 5 agosto, ed un’ottava che si conclude il 13 dello stesso mese. L’iconografia della festa riprende la narrazione evangelica mettendo il Signore trasfigurato al centro dell’icona, avvolto di luce; Mosè ed Elia ai lati e sotto i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che non osano quasi a guardare la luce abbagliante che viene dal Signore. L’ufficiatura bizantina al vespro delle grandi feste ha due momenti che in qualche modo le caratterizzano: la litì e l’artoclasia. La litì –parola che significa “supplica”- è la processione e le litanie che si svolgono nel vespro dopo le letture bibliche e i tropari che le seguono; si svolge nella navata della chiesa, davanti all’iconostasi, e si conclude con l’artoclasia, cioè la frazione e distribuzione del pane, benedetto assieme all’olio e al vino. Nella festa della Trasfigurazione del Signore troviamo durante la litì un lungo tropario, anonimo, che riassume tutta la teologia della festa. Si tratta di una vera e propria mistagogia, per la Chiesa che lo canta, de mistero celebrato, cioè Cristo glorioso trasfigurato sul Tabor di fronte ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni, alla presenza dei profeti Mosè ed Elia. Diamo il testo del tropario diviso in diverse parti, per facilitarne il commento, benché abbia in se stesso un’unità quasi inscindibile.
“Il Cristo, splendore anteriore al sole, mentre ancora era corporalmente sulla terra, compiendo divinamente prima della croce tutto ciò che attiene alla tremenda economia, oggi sul monte Tabor misticamente mostra l’immagine della Trinità”. La prima parte del tropario situa la scena della Trasfigurazione dandone già un’interpretazione teologica. Due aspetti sono importanti: la Trasfigurazione di Cristo avviene prima della sua croce ed in qualche modo per i discepoli la prepara; quindi essa è una teofania trinitaria. Diversi dei tropari del vespro infatti mettono in evidenza questo “prima della sua croce…”. La Trasfigurazione del Signore, la manifestazione della sua divinità, prepara e sorregge i discepoli per l’altra grande manifestazione, quella della sua umanità sul Calvario.
“Conducendo infatti con sé in disparte i tre discepoli prescelti, Pietro, Giacomo e Giovanni, nasconde un poco la carne assunta e si trasfigura davanti a loro, manifestando la dignità della bellezza archetipa, seppure non nel suo pieno fulgore: l’ha infatti manifestata per dare loro piena certezza, ma non totalmente, per risparmiarli, perché a causa della visione non perdessero la vita, ed essa si adattasse piuttosto alle possibilità dei loro occhi corporali”. La seconda parte del tropario colloca la presenza dei tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni sul Tabor. La Trasfigurazione sarà per loro un intravedere la natura divina del Verbo incarnato; la carne che il Verbo ha assunto –e il tropario adopera qua un linguaggio cristologico fortemente alessandrino-, viene messa quasi tra parentesi per mostrare a Pietro, Giacomo e Giovanni la bellezza della natura divina. Quasi che nel tropario la Trasfigurazione fosse messa in contrasto con quella manifestazione piena della natura più umana che mai del Verbo nell’orto di Getsemanì, sempre davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Nel Tabor, la visione è comunque velata, parziale, come lo fu quella di Mosè sul Sinai.
“Parimenti prese il Cristo anche i sommi tra i profeti, Mosè ed Elia, come testimoni della sua divinità, perché attestassero che egli è verace irradiazione dell’essenza del Padre, colui che regna sui vivi e sui morti. Perciò anche la nube come tenda li avvolse, e attraverso la nube risuonò dall’alto la voce del Padre che confermava la loro testimonianza, dicendo: Questi è colui che, senza mutamento, dal seno, prima della stella mattutina, ho generato, il mio Figlio diletto; è colui che ho mandato a salvare quanti vengono battezzati nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo e con fede confessano che è indivisibile l’unico potere della Deità: ascoltatelo!”. La terza parte del tropario si sofferma nella presenza di Mosè e di Elia sul Tabor che diventa quindi un nuovo Sinai. Il testo è una parafrasi di Es 24 –la nube che avvolge il monte durante la teofania- ed Es 33 –la voce di Dio dal Sinai-, e che sono versetti letti nelle letture fatte immediatamente prima durante il vespro della festa. Mosè ed Elia diventano testimoni della divinità di Cristo: “verace irradiazione dell’essenza del Padre, colui che regna sui vivi e sui morti”, quasi una parafrasi della professione di fede “luce da luce”. La voce del Padre dall’alto del Tabor diventa quindi una professione di fede di tutta la Chiesa, nel Dio uno e trino; nel Figlio mandato per la salvezza di tutti gli uomini.
“Tu dunque, o Cristo Dio amico degli uomini, rischiara anche noi con la luce della tua gloria inaccessibile, e rendici degni eredi, tu che sei piú che buono, del regno che non ha fine”. Il testo si conclude con una preghiera a Cristo, che verrà ripresa nel tropario proprio della festa: “Ti sei trasfigurato sul monte, o Cristo Dio, facendo vedere ai tuoi discepoli la tua gloria, per quanto lo potevano. Fa’ risplendere anche su noi peccatori la tua eterna luce, per l’intercessione della Madre-di-Dio, o datore di luce: gloria a te”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma


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