venerdì 2 marzo 2012

Gli Inni sul Digiuno di sant’Efrem di Nisibi.


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Oggi digiuna la nostra bocca e digiuna anche il nostro cuore.

La traduzione italiana degli Inni sul digiuno di sant'Efrem il Siro apparsa nel 2011, ci offre l'occasione di approfondire alcuni aspetti dell'opera del diacono siro assai importanti per poter capire la teologia, la liturgia, la spiritualità di una Chiesa orientale nella seconda metà del IV secolo. La collezione di Inni sul digiuno di Efrem di Nisibi è composta da una decina di testi poetici, con una sorta di appendice che contiene altri quattro inni, di autenticità più dubbiosa.

Tutti gli Inni di questa raccolta hanno una chiara unità tematica che fa di essi quasi un unicum nell'opera efremiana: il loro nucleo ispiratore comune è costituito infatti dal digiuno, considerato, quest'ultimo, sotto angolature diverse. Anzitutto Efrem mette in rilievo il modello del digiunante, Cristo stesso, che lo ha osservato per quaranta giorni nel deserto: “Questo è il digiuno del Primogenito, l’inizio dei suoi trionfi. Rallegriamoci della sua venuta! Con il digiuno, infatti, egli ottenne la vittoria, sebbene in ogni modo potesse ottenerla. A noi mostrò la forza che è celata nel digiuno, che vince tutto. Con esso, infatti, si sconfigge colui che, con il frutto, sconfisse Adamo: pure con avidità l’inghiottì! Benedetto sia il Primogenito, che eresse il muro del suo grande digiuno attorno alla nostra debolezza”. Il digiuno di Cristo nel deserto viene così collegato con quello dei cristiani nel periodo che precede la celebrazione della vittoria di Cristo sulla morte e la sua risurrezione.

Nei diversi inni, Efrem predilige come esempi di digiunanti molti personaggi dell'Antico Testamento. Essi sono presentati sia come modelli per i cristiani sia come figure e precursori di Cristo stesso. Nello stesso tempo, per esaltare il digiuno come un “frutto bello”, che può tuttavia diventare guasto se non è praticato con la più sincera ispirazione, l'autore si serve anche di immagini tratte dalla natura che lo circonda: “Osserva la natura, nel caso in cui siano stati contaminati frutti allettanti in qualcosa infetto! Il nostro senso ne prova disgusto, (anche) una volta che siano stati ben lavati”. Oppure, allo stesso scopo esortativo, Efrem si avvale anche di immagini proprie della realtà quotidiana della vita: “Benedetto colui che ci donò un’immagine, in cui, se ben guardiamo, si trova lo specchio per la nostra invisibile unità. Vediamola, miei fratelli, nei simboli delle cose visibili. Osserviamo il caglio: se è immesso nel latte liquido, non cola più la sua liquidità, poiché si rapprende insieme alla forza coagulante. Benedetto sia colui che ci donò l’amore, che innesta una forza invisibile nella nostra debolezza”. Nei testi di Efrem scorre dunque tutta una serie di bellissime immagini che ci mostrano la sua capacità di guardare e penetrare a fondo il mondo creato, la sua capacità di vedere i simboli che in esso si nascondono e di cui servirsi come saggi ammaestramenti: “Esaminate (gli effetti) della carne su un volatile! Se ne mangia una grande quantità essa fiacca la sua ala appesantendola, ed esso non può volare, come in precedenza. Se l’aquila che (vola) più (in) alto di tutti è stata troppo vorace, non può più librarsi nell’aria nel modo di (prima). Poiché un (organismo) leggero, con (la carne), aumenta il suo peso, quanto più uno pesante, che ne mangia, sarà appesantito”.

In questi Inni Efrem presenta il digiuno come vittoria di Cristo su colui che vinse a sua volta Adamo col frutto dell'albero. Il digiuno di Cristo stesso nel deserto precederà la sua vittoria contro il nemico: “Questo è il digiuno a causa del quale l’avidità dimise i popoli sulla cima del monte. Rivestito (dei) digiuni egli vinse l’Avido, che s’era rivestito (del) cibo della stirpe di Adamo. Il capo dei vittoriosi ci diede la sua arma e fu elevato alle altezze per divenire osservatore (attento delle nostre battaglie). Chi non correrà all’armi con cui Dio ottenne la vittoria? È vergognoso, miei fratelli, soccombere con l’arma, che vinse e rese vittorioso tutto il creato!”. Il digiuno quindi è l'arma con cui il Signore stesso ottenne la vittoria contro il nemico. La vittoria ottenuta col digiuno deve rendere l'uomo attento a non cadere di nuovo nelle mani del nemico che, con astuzia, getta le sue trappole e tende a sua volta le sue armi: “Non date credito, o semplici, all’Ingannatore, che deruba i digiunanti! Infatti, chi vede astenersi dal pane, (l’Ingannatore) lo riempie di collera; a chi vede in preghiera insinua un pensiero dopo l’altro e, furtivamente, gli sottrae dal cuore la preghiera della sua bocca. Nostro Signore, donaci l’occhio (in grado) di vedere come (quegli) derubi la verità con frode”.

Il digiuno ancora è presentato da Efrem come vittoria che porta il cristiano alla purificazione e alla visione di Dio; qui troviamo un tema caro a Efrem e agli autori siriaci a lui posteriori, quello della purezza di cuore che conduce, quale culmine d’un cammino di elevazione spirituale, alla visione di Dio. Questo è il gradino più alto che l'uomo può attingere: “Questo è il digiuno che eleva in alto: sorse dal Primogenito per elevare in alto i piccoli. Per chi è accorto il digiuno è motivo di gioia, vedendo quanto sia stato elevato in alto. Il digiuno purifica invisibilmente l’anima, perché possa contemplare Dio ed elevarsi alla sua visione…”. Nello stesso tempo, però, Efrem non esita a biasimare il digiuno compiuto nell'ignoranza, perché non porta alla “visione” ma alla “cecità” chi lo pratica, fino ad uccidere il vero Agnello pasquale: “Venite, ricordiamo, digiunando, cosa fecero gli stolti durante i loro digiuni! (…) A Pasqua uccisero il Signore della Pasqua. Nella festa immolarono il Signore delle feste. (…) leggevano senza capire e spiegavano senza percepirne (il senso)! Lessero nelle Scritture; (lo) appesero sul legno. Le figure nei libri; la verità sul legno. Crocifissero l’Agnello di verità e (lo) appesero (…) (Lo) avevano crocifisso i ciechi, che si accesero d’invidia e, disorientati, errarono. (…) In mezzo ai crocifissori visibili stava una comunità spirituale, invisibilmente”. Inoltre Efrem, offre una bella lettura simbolico-mistagogica dei fatti anticotestamentari letti alla luce del Nuovo Testamento: “Mosè stava (là) con le sue braccia stese e il suo bastone sul petto. Stupore sulla cima del monte: steso il braccio e il bastone innalzato, come sul Golgota. Un loro testimone esclamò a loro riguardo: questo simbolo ha vinto Amalek. L’alleanza di Mosè, infatti, era come uno specchio: essa rifletteva nostro Signore. O verità che, anche ai ciechi, gridò: Qui sono io! I ciechi, avendola toccata, videro la luce; i vedenti, avendola scrutata, divennero ciechi, poiché crocifissero la luce”.

Il digiuno è maestro, oppure allenatore nella lotta: “Questo è il digiuno istruttore, che insegna all’atleta le mosse della lotta. Accostatelo, praticate(lo), apprendete il combattimento accorto. Ecco, egli ci ordinò che la nostra bocca digiunasse e digiunasse anche il nostro cuore. Non digiuniamo dal pane (se) nutriamo pensieri…”. Diverse volte, in questi inni, Efrem mette in guardia di fronte al falso digiuno, all'ipocrisia di chi ostenta esteriormente di digiunare, mentre il suo cuore è attaccato al male che non si vede: “L’Isaia eloquente si fece predicatore per biasimare i digiunanti: Grida e proclama! L’orecchio chiuso non si apre che al suono dell’argento! Non digiunare, mentre divori (i beni del)l’orfano! Non vestire l’abito di sacco, mentre spogli la vedova! Non piegare il tuo collo, mentre soggioghi degli esseri nati liberi! Un digiuno, che fa gemere e opprime, rende manifesti gli idoli che si celano in una tale prepotenza”.

In questi inni Efrem sembra quasi ricorrere a una forma di personificazione del digiuno; in esso, egli si riferisce ovviamente al digiuno come a una pratica ascetica, ma di certo pensa anche al Digiunante per eccellenza, Cristo stesso che è Colui che salva, arricchisce, libera, abbellisce, dà la vera gioia.

P. Manuel Nin - Pontificio Collegio Greco, Roma


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