domenica 22 aprile 2012

23 Aprile: San Giorgio Megalomartire



Αγίου Γεωργίου


L’esistenza della tomba di san Giorgio è testimoniata tra il 530 e il 670 da tre antichi- scrittori d’itinerari di pellegrinaggi cristiani, in particolare in Terra Santa: Teodosio Perigeta (africano del nord), Antonino, martire di Piacenza, e Adamnano, monaco irlandese, abate di lona o Hy. I documenti del VI e VII secolo, a loro volta, sono correlati a resti archeologici di una basilica cimiteriale risalente all’età dell’imperatore Costantino rinvenuti a Lydda in Palestina e tuttora visibili. Vi è inoltre un’epigrafe greca rinvenuta in Eccaea nella Batanea (regione della Palestina oltre il fiume Giordano, la Basan dell’Antico Testamento) datata dal bollandista Hippolyte Delehaye, al 368, la quale riferisce di una «casa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni», e di una chiesa dedicata al santo qualche decennio dopo la sua morte.
Dalla “passio Georgii” alla leggenda.
Il testo più antico della leggenda di san Giorgio ci è pervenuto da un codice greco del V secolo custodito nella Biblioteca Nazionale di Vienna. L’afflusso dei fedeli alla tomba di San Giorgio a Lydda, all’inizio del V secolo, determinò la stesura di una prima leggendaria Passio, da datare attorno al 916, (tradotta poi in latino dal Lippomano) che influenzò in maniera determinante il Monologo del Metafraste (siamo all’incirca nell’anno 964). Oltre che in latino, la Passio fu tradotta anche in altre lingue mediorientali, quali il copto, l’armeno, l’etiopico e l’arabo, per favorire l’uso liturgico che allora si faceva della vita dei santi. La figura di San Giorgio andò alimentandosi di racconti spesso fantasiosi: dalla prima Passio già citata, e rimaneggiata numerosissime volte nei secoli successivi in Asia, in Africa e in Europa, si pervenne alla leggendaria vita di San Giorgio che oggi conosciamo. Sebbene ci sia discordanza tra i vari estensori della Vita di San Giorgio, si può affermare con sicurezza che il santo nacque in Cappadocia, su quell’altipiano dell’Asia Minore che si estende dal mar Nero alle falde del monte Tauro, verso l’anno 280, da Geronzio, d’origine persiana, e Policronia, della Cappadocia, i quali professavano la fede cristiana. Per rintracciare i primi segni della santità di Giorgio, non si deve attendere l’età giovanile. Infatti, scrive il Metafraste, biografo accreditato del santo: «Il piccolo Giorgio, cristianamente educato alla verace pietà dai suoi genitori, accolse e fecondò nel suo cuore quei semi d ‘eroiche virtù, onde la Chiesa sorgente, tra lotte e trionfi, dalle rovine del paganesimo, a quel tempo abbisognava. . . ». Ancora in giovane età, nel momento in cui sentiva maggiore il bisogno dell’affetto dei genitori, perse il padre. Dopo tale lutto, si spostò con la madre a Lydda o diastoli in Palestina in una tenuta di sua proprietà e li, dopo poco tempo, rimase orfano anche della madre. Trascorsi gli anni dell’adolescenza, Giorgio dovette affrontare il momento della scelta del proprio stato e, nonostante il pericolo dovuto alla sua fede cristiana, decise di arruolarsi nella milizia di Diocleziano. Prima però di entrare nell’esercito si recò a Gerusalemme per visitare i luoghi santi e così rinsaldare, sulle orme benedette di Cristo, la propria fede. Tornato dal pellegrinaggio nella Città santa, Giorgio mise in pratica i dettami evangelici: vendette i suoi beni e distribuì il ricavato ai poveri. Quindi, a vent’anni, si presentò all’imperatore. Ricordandogli il nome e i servigi del padre, Giorgio espresse a Diocleziano il desiderio di entrare a far parte dell’esercito imperiale, e fu arruolato. Nel tempo durante il quale prestava servizio militare, ebbe ad affrontare la lotta contro il drago nelle vicinanze della città di Berito. Ma proprio durante il regno di quell’imperatore scoppiò una delle più gravi persecuzioni contro i cristiani. Anche in un tale clima di terrore Giorgio non esitò a professare esplicitamente la sua fede in Cristo. L’editto imperiale che ordinava la persecuzione dei cristiani era arrivato nelle province orientali e fu promulgato anche a Nicomedia. Giunto in quella città il giorno stesso della divulgazione di tale ordine, il giovane non solo non ebbe dei ripensamenti, ma rafforzò con decisione la propria adesione a Cristo, anzi, notando la grande costernazione dei suoi fratelli nella fede, maturò nel suo animo un atto ardito e generoso: lacerare di fronte a tutti il documento imperiale. Così, il giorno dopo, mise in esecuzione il gesto provocatorio, e, senza aspettare di essere arrestato dai soldati, si presentò spontaneamente davanti al tiranno che si trovava nel senato. Intervenne allora il console Magnesio, che, fatto immediatamente arrestare l’irruente militare, si provò con adulazioni e minacce a fargli rinnegare la fede, senza ottenere alcun esito. Visto vano ogni tentativo, Diocleziano ordinò che Giorgio fosse spinto verso la prigione, pungolato dalle lance dei miliziani, ma le punte delle armi — narra la tradizione - si ripiegavano su se stesse come fossero dì sottilissimo piombo, senza arrecare nessuna ferita sul corpo del giovane cristiano. Così il prigioniero, incatenato e senza cibo, fu lasciato languire a lungo nel carcere sotterraneo, dove lo attendevano altre sevizie: gli fu infatti messo sul corpo, disteso sul pavimento, un enorme masso di pietra che, premendogli il petto, gli toglieva quasi il respiro, ma egli affrontò con forza la prova fino al giorno seguente, senza emettere neppure un gemito. Fu allora sottoposto al supplizio dei flagelli e, successivamente, gettato in una fossa riempita di calce bollente ove fu lasciato per tre giorni; ma ne uscì indenne, come nella vicenda biblica dei tre adolescenti tra le fiamme della fornace di Babilonia. Sembrava che le torture e le violenze che venivano praticate con raffinata crudeltà sul corpo di Giorgio, anziché fiaccarne la fede, la rendessero più forte. Diocleziano, convinto che le torture dovessero ormai aver piegato la sua capacità di resistere, lo convocò alla sua presenza e gli rinnovò minacce e promesse; ma non ne ottenne che lo stesso risultato, perché il giovane si rifiutò con sdegno di sacrificare agli dei di Roma. Allora, accecato dall’ira, l’imperatore fece legare nudo il ribelle ad un disco di legno munito di lamine rotanti su un ripiano di legno che gli avrebbero lacerato le carni, ma, appena la ruota incominciò a girare, come inceppata da una forza invisibile, si ruppe e andò in frantumi. Prodigiosamente sciolto dalle catene che lo tenevano avvinto allo strumento del supplizio, Giorgio levò un inno di grazie al Signore che viene in soccorso ai suoi eletti e li salva. Convinto tuttavia che la forza del cristiano, come quella del valoroso patriota, non consiste nel fuggire il nemico che avanza minaccioso, ma nell’affrontarlo con coraggio, il giovane soldato decise di confrontarsi di nuovo con l’imperatore e lo incontrò nel tempio d’Apollo. Il tiranno non si aspettava certo di vedersi comparire davanti quell’indomito soldato, il quale andava alzando la voce per denunciare la vanità degli idoli “che hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono, hanno bocca e non parlano”. Fattolo nuovamente arrestare, Diocleziano, al colmo della rabbia, comandò che a quell’impudente provocatore fosse fatta trangugiare una pozione di veleno, che però non recò alcun danno al prigioniero. Alla vista di tali prodigi, due tribuni - Anatolio e Protoleone, convinti e persuasi della grandezza della fede cristiana, si convertirono e, dichiaratisi pubblicamente discepoli di Cristo, subirono immediatamente la pena capitale. Perfino l’imperatrice Alessandra, moglie del tiranno, commossa dalle scene cui aveva assistito, non poté trattenersi dal dichiarare la sua simpatia per la fede cristiana, per cui fu condannata a morte; ma prima ancora di essere condotta al luogo del supplizio s’accasciò al suolo e spirò. L’imperatore continuava ad essere succube delle malie e dei consigli del mago Atanasio, dal quale fu spinto a sottoporre Giorgio ad una prova incredibile, quella di resuscitare un morto. In un frangente tanto difficile il giovane soldato non si perse d’animo, ma pose la sua speranza unicamente nella potenza del Signore che è vicino a chi lo invoca. Portato davanti ad una tomba scoperchiata dove giaceva un cadavere in avanzato stato di decomposizione, Giorgio alzò gli occhi al cielo e, dopo aver pregato, comandò al morto di tornare in vita. Questi, tra la meraviglia di tutti, si levò dal sepolcro e si prostrò ai suoi piedi confessando la propria fede in Gesù, imitato dal mago che aveva suggerito la sfida. Solo l’imperatore Diocleziano rimase irremovibile, pur in presenza di tanti e straordinari prodigi di cui era stato testimone in prima persona; anzi, preso da una rabbia che montava, diede l’ordine che Giorgio e tutti coloro che avessero aderito a Cristo fossero giustiziati. Giorgio, quindi, fu decapitato. Era l’anno 303 d.C.
San Giorgio e il drago, ovvero la “Leggenda Aurea”
La leggenda della fanciulla libérata dal drago per opera di San Giorgio è molto più tardiva rispetto alle altre; sorse in ambiente orientale e divenne popolarissima in Occidente attraverso la Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, arcivescovo di Genova, della seconda metà del XIII secolo. Si raccontava che il drago, un mostro del luogo che terrorizzava un intero paese, avvelenasse con il suo alito tutti quelli che gli si avvicinavano. La popolazione, per tenerlo tranquillo, gli offriva in pasto due pecore. Quando però gli ovini presero a scarseggiare, gli animali furono sostituiti da vittime umane scelte a caso tra la popolazione del villaggio. Un giorno la sorte designò quale macabra offerta della giornata la figlia del re. Il padre tentò di salvarla mettendo a disposizione per il riscatto il proprio patrimonio e perfino la metà del suo regno, ma il popolo, costretto a scegliere i figli per il sacrificio di tutti i giorni, si ribellò all’idea di un privilegio così odioso che avrebbe risparmiato la principessa, mentre tutti gli altri giovani venivano sacrificati senza pietà. Anche la figlia del re quindi dovette rassegnarsi ad andare incontro al proprio crudele destino. Ora avvenne che proprio durante tale circostanza il cavaliere Giorgio passasse casualmente da quelle parti. Venuto a conoscenza dell’amara vicenda, si offrì generosamente di affrontare l’orribile drago. Dopo averlo trafitto con la lancia e averlo ridotto all’impotenza, lo catturò e lo immobilizzò con la cintura della principessa. Poi lo trascinò in città. Alla vista del mostro al guinzaglio dell’eroe, il popolo ebbe paura, ma Giorgio tranquillizzò tutti esortandoli nel frattempo ad abbracciare la fede cristiana. Tutta la gente, assieme al proprio monarca, ne accolse l’invito. Dopo che Giorgio ebbe ucciso il drago, ben quindicimila uomini ricevettero il battesimo. Per sé il cavaliere non domandò nessun privilegio né alcuna ricompensa. Solo chiese al re di provvedere alle chiese, di onorare i sacerdoti e di praticare la carità verso i poveri. La leggenda di San Giorgio vittorioso sul drago era sorta al tempo delle crociate a causa di una falsa interpretazione di un’immagine dell’imperatore Costantino rinvenuta a Costantinopoli. In quella effigie il primo imperatore cristiano era ritratto nell’atto di schiacciare con il piede la testa di un drago. La fantasia popolare, forse ancora imbevuta delle leggende pagane (Perseo che uccide il mostro per liberare Andromeda), rielaborò ed arricchì il racconto che si diffuse ben presto anche in altre nazioni dell’Oriente. Secondo tale erronea interpretazione, Giorgio divenne cavaliere, e la sua figura in sella ad un cavallo venne a far parte dell’iconografia classica del santo.
I panegirici, i sacramentari e le preghiere liturgiche bizantine
Sono numerosi gli scrittori sacri che si sono occupati di San Giorgio, a partire dai Padri della Chiesa san Basilio, sant’Ambrogio e san Giovanni Crisostomo nei primi secoli dell’era cristiana dopo di loro, prima del Mille, il papa san Gregorio Magno, sant’Andrea di Creta e san Beda il Venerabile. Dopo l’anno Mille altre grandi personalità della Chiesa si ispirarono alla figura di San Giorgio e ne tesserono dei panegirici, elogiandone la fede e il martirio; tra di essi sono da ricordare, tra i secoli XI e XV, il vescovo Zaccaria, san Pier Damiani, san Vincenzo Ferreri e san Lorenzo Giustiniani. Anche il grande filosofo scolastico san Tommaso d’Aquino scrisse un sermone su di lui. Nel corso dei secoli schiere di predicatori, illustri o anonimi, nelle loro omelie continuarono a riferirsi al grande eroe della fede cristiana. In merito qui di seguito si fa cenno a sacramentari e ad alcuni panegirici tra i più significativi tenuti in onore del santo da predicatori nel periodo medievale, e giunti a noi attraverso documenti redatti in latino e riproposti in lingua italiana.
Da un panegirico di S. Andrea di Creta († 740)
Sant’Andrea di Creta, Padre della Chiesa Orientale, così tesse le lodi di San Giorgio in un suo panegirico: La memoria del nostro campione non solo ci ricorda per eccellenza la passione del Signore, giungendo a noi gradita per il suo atletico combattimento e bella per i fulgori primaverili, bensì partecipa assai largamente della gioia che ridonda delle più grandi solennità divine. Giorgio io dico, che nel nome significò maturanza divina e maturando mostrò in sé grazia rispondente al nome... Giorgio fu grande agricoltore di divine ispirazioni; egli, orticello divino, nel quale fu lavorata la grazia della fede e per tutti compiuti i numerosi miracoli. Costui, come rosa di mezzo alle spine, ebbe allora a nascere; e cresceva, di mezzo al lezzo dell’idolatri a, come giglio odoroso di fede. Ebbe a sorgere come un cipresso di mezzo ad un roveto, o come un ulivo che nereggia nel deserto, o come palma che raddolcisce i frutti già amari, o come luna piena che manda raggi in notte assai fosca, o come fiaccola in dense tenebre, o come stella del mattino di mezzo alle nuvole oscure per coloro che vanno raminghi nel mare, o come sole che vibra lieto splendore di mezzo ad una densa nebbia...”.

dal sito web: www.chiesasangiorgioalbanese.it



Απολυτίκιον Αγίου Γεωργίου



Ως των αιχμαλωτων ελευθερωτης,
και των πτωχων υπερασπιστης,
ασθενουντων ιατρος, βασιλεων υπερμαχος,
Τροπαιοφορε Μεγαλομαρτυς Γεωργιε,
πρεσβευε Χριστω τω Θεω,
σωθηναι τας ψυχας ημων.


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