sabato 26 febbraio 2011



Chi mi offre come sacrificio il ringraziamento, mi glorifica, e a chi regola bene il suo comportamento, io farò vedere la salvezza di Dio (Sal 50,23)

L’uomo nasce di un atto d’amore reciproco benedetto da Dio Padre, destinato ad un percorso d’amore verso i suoi confratelli, cercando di vivere secondo la parola di Dio, non soltanto secondo la parola ma secondo i fatti.

Tutti i cristiani sono i figli amati da Dio e dai genitori che li hanno generati, per cui ognuno di noi è obbligato ha tener conto dei propri cari, non come peso ma come ringraziamento per tutto quello che hanno fatto per ognuno di noi, e per averci messi al mondo. Se dobbiamo comportarci così con i nostri genitori, allora come dovremmo comportarci con il nostro Creatore?

Una domanda chiave per la vita di ogni cristiano e soprattutto per noi come seminaristi, preti e vescovi, servitori del popolo di Dio affidato ad ognuno di noi. Come possiamo ringraziare Dio per tutto che ha fatto per tutti e per ognuno di noi?

Secondo la parola divina lo possiamo fare vivendo un solo atto, che è l’amore. Cristo ci ha dato una parola chiave che è la nostra carta d’identità tra la gente dicendo: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Un grande comandamento ed è una grande richiesta, perché ognuno di noi oggigiorno tiene alla sua dignità (diaconale, presbiterale, episcopale…) e dimentica la salvezza delle anime affidate a lui con l’imposizione delle mani dell’ordinante che rappresenta i santi discepoli, ricevendo lo Spirito Santo che sarà la sua guida nella vita spirituale ed sacramentale. Allora abbiamo tanto da fare ogni giorno verso noi stessi e verso i nostri fratelli, provando di vivere in pace interna in primo luogo, rafforzandola colla preghiera personale «Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa» (Mt 6,6), che sarà riflessa nel nostro comportamento quotidiano e così cerchiamo di vivere in secondo luogo la pace esterna con i nostri fratelli, in collegio, in episcopio o in curia. Ma dobbiamo renderci conto che tutto parte da lì dentro, dal pensiero nostro verso noi stessi, dalla nostro modo di vita in camera e dopo con gli altri.

Allora ringraziare Dio è un lungo percorso quasi per tutta la vita. Perché pure quando muore l’uomo, muore per un scopo d’amore, per tornare alla Casa paterna dove sarà così leggero perché non avrà niente addosso da portare con se che i suoi azioni, perché tutto è vanità, perché «I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni; o, per i più forti, a ottant'anni; e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità; perché passa presto, e noi ce ne voliamo via» (Sal 90,10). Per questo in quanto stiamo all’inizio della Grande Quaresima, mettiamoci un attimino a guardare noi stessi, ognuno nella propria camera da soli col nostro Dio ringraziandolo per tutto ciò che abbiamo avuto fin’ora, chiedendogli perdono, così che possa guidarci lo Spirito Santo per poter vivere in pace interna ed esterna questo momento di preghiera, sperando che alla fine ci dia la grazia di poter godere la sua resurrezione non solo a livello spirituale ma anche e soprattutto a livello comunitario amandoci gli uni gli altri, cercando di vivere come i discepoli al servizio con umiltà fino alla morte per la salvezza di tutti.

«Così parla il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto, il digiuno del quinto, il digiuno del settimo e il digiuno del decimo mese diventeranno per la casa di Giuda una gioia, un gaudio, feste d'esultanza; amate dunque la verità e la pace». (Zac 8,19)

di Michel Skaf, alunno P.C.G.

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