sabato 2 marzo 2013

Triodion - Grande Quaresima





Terza Domenica dei Digiuni

Domenica della Adorazione della Croce

Nel cuore della Quaresima, nella sua domenica centrale, la Chiesa offre alla adorazione dei fedeli la santa e vivificante Croce ornata a festa di fiori. Alla vigilia di questo giorno, dopo la grande dossologia, la croce viene portata in solenne processione al centro della chiesa e lì resta per l’intera settimana, durante la quale essa è venerata con un rito particolare, dopo ogni servizio liturgico. È da notare che il tema della croce, che predomina nell’innologia di questa domenica, è sviluppato in termini non di sofferenza, bensì di vittoria e di gioia. Inoltre i temi musicali (hirmoi) del Canone della domenica sono tratti dall’ufficio pasquale – “Giorno della Resurrezione” – e il Canone è una parafrasi di quello di Pasqua. Il significato di tutto questo è chiaro: siamo a metà Quaresima. Da un lato, lo sforzo fisico e spirituale, se è stato serio e sostenuto, comincia a farsi sentire, il suo peso si fa più gravoso, la nostra fatica più evidente. Abbiamo bisogno di aiuto e d’incoraggiamento. E d’altro lato, dopo aver sostenuto questa fatica e scalato la montana fino a questo punto, cominciamo a intravedere la fine del nostro pellegrinaggio, e i bagliori della Pasqua si fanno più intensi. La Quaresima è la nostra auto-crocifissione, la nostra esperienza per quanto limitata, del comandamento di Cristo che abbiamo ascoltato nella lettura evangelica di questa domenica: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Marco 8, 34). Ma non possiamo prendere la nostra croce e seguire Cristo se non abbiamo la sua croce, quella di cui egli si è caricato per salvarci. È la sua croce, e non la nostra, che ci salva. È la sua croce che, non soltanto dà un senso alle altre croci, ma dà loro anche forza. Questo ci è spiegato nel Synaxarion della Domenica della Croce: “In questa Domenica, la terza di Quaresima, celebriamo la venerazione della croce preziosa e vivificante, e per questa ragione: poiché durante i quaranta giorni di digiuno noi in qualche modo crocifiggiamo noi stessi... e diventiamo tristi e abbattuti e scoraggiati, ecco che ci viene presentata la croce che dà vita, per ristorarci e rassicurarci, per ricordarci la passione di nostro Signore e per confortarci... noi siamo come quelli che percorrono un sentiero lungo e aspro e sono affaticati; vedendo un bell’albero con molte foglie, si siedono alla sua ombra per un momento e poi, come ringiovaniti, continuano il loro viaggio. Così, oggi, in questo tempo di digiuno, di cammino difficile e di sforzo, la croce che dà vita fu piantata in mezzo a noi dai santi Padri per procurarci riposo e ristoro, per renderci leggeri e coraggiosi in vista del compito che resta da fare... O, per dare un altro esempio: quando sta per venire un re, dapprima appaiono il suo stendardo e i suoi emblemi, poi viene lui in persona, pieno di allegrezza e di giubilo per la vittoria, riempiendo di gioia tutti i suoi sudditi; allo stesso modo, nostro Signore Gesù Cristo, che sta per mostrarci la sua vittoria sulla morte e apparire a noi nella gloria del giorno della resurrezione, ci invia prima il suo scettro, l’emblema regale, la croce che dà la vita, che ci riempie di gioia e ci rende pronti a incontrare, per quanto ci è possibile, il Re stesso e a render gloria alla sua vittoria... Tutto questo nel bel mezzo della Quaresima, che è come una sorgente amara, a motivo delle lacrime, a motivo anche degli sforzi e dello scoraggiamento che comporta... Ma Cristo conforta noi che siamo come in un deserto, finché ci condurrà alla Gerusalemme spirituale attraverso la sua resurrezione... poiché la croce è detta l’Albero della Vita, è l’albero che fu piantato nel paradiso; per questo motivo i nostri Padri l’hanno piantata nel mezzo della santa Quaresima, ricordandoci ad un tempo la beatitudine di Adamo e come egli ne fu privato, ricordandoci anche che, comunicando a quest’albero, noi non moriamo più, ma siamo tenuti in vita...”.

da A. Schmemann, Great Lent, St. Vladimir’s Seminary Press 1974



Crocifissi insieme a Colui che per noi è stato crocifisso


 L’umile lavoratore diventato umile pastore.
           
La liturgia bizantina, nella settimana che precede l’inizio della Quaresima, canta questo tropario: “Digiunando dai cibi, anima mia, senza purificarti dalle passioni, invano ti rallegri per l’astinenza, perché se essa non diviene per te occasione di correzione, sei in odio a Dio come menzognera e ti rendi simile ai ­perfidi demoni che non si cibano mai. Non rendere dunque inutile il digiuno peccando, ma rimani irremovibi­le sotto gli impulsi sregolati, facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere croci­fissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso, gridando a lui: Ricòrdati di me Signore, quando verrai nel tuo regno”.È un testo che spiega il vero senso del digiuno cristiano e alla fine il tropario presenta il ruolo centrale della croce di Cristo nella vita dei cristiani: “crocifissi insieme a Colui che per noi è stato crocifisso”. Non ho potuto non accostare questo testo alle parole di Benedetto XVI nell’ultima udienza del suo pontificato: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso. Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio”.
Quando il 19 aprile 2005 Benedetto XVI, da poco eletto alla sede di Pietro nella Chiesa di Roma, si presentò al suo popolo nella loggia della basilica vaticana, si definì come “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. Dopo quasi otto anni di quotidiano umile lavoro, spesso strenua fatica, lo vediamo consegnare la vigna arata, potata, curata con amore sponsale ad un altro che dovrà continuarne la coltivazione. Nel pastore –e perché no?- nell’agricoltore Benedetto XVI abbiamo visto quell’amoroso servizio che il profeta Isaia canta per la sua vigna: “Voglio cantare per il mio diletto un cantico d'amore alla sua vigna. Il mio diletto possedeva una vigna su un colle ubertoso.Egli la vangò, la liberò dai sassi e la piantò di viti eccellenti, in mezzo ad essa costruì una torre e vi scavò anche un tino; attese poi che facesse uva, invece produsse uva aspra” Is 5,1-4). Cristo stesso nel vangelo usa questa immagine della vigna per parlare dell'’amore di Dio verso il suo popolo. Come se l’umile lavoratore Joseph Ratzinger, diventato per volontà di Dio ed il voto umano l’umile pastore Benedetto XVI, non avesse voluto fare altro e niente di meno, che vivere in se stesso, incarnare nel suo ministero pastorale, il canto del profeta sulla sua amata vigna. Umile lavoratore diventato umile pastore. Lungo il suo pontificato Benedetto XVI ha voluto in qualche modo sparire, farsi piccolo, farsi discreto, ma non per ostensione ma per mostrare Colui che è il vero pastore, incarnato, fattosi uomo per noi. Dall'inizio alla fine del suo ministero pastorale non ha voluto parlare di se stesso, bensì come umile pastore parlare dell'’unico Pastore. Già nella liturgia di inizio di pontificato non volle né presentarsi, né proporre dei programmi, ma presentare il Pastore, colui a chi lui stesso e tutti i simboli di quella liturgia facevano riferimento, e perciò da buon mistagogo ne spiegò la simbologia.
Quando il 1 maggio 2011, domenica di san Tommaso, Giovanni Paolo II per la benevolenza di Dio e per l’autorità apostolica del suo successore nella sede romana, II entrò nell’albo dei beati, la folla accorse di nuovo tra le braccia di piazza San Pietro, quel colonnato che come il grembo di una madre accoglie i figli. E in quei giorni di maggio colpì direi l’umiltà, la discrezione, la presenza quasi silenziosa di Benedetto XVI, come se di forma naturale e convinta avesse voluto mettersi da parte, all’ombra, per lasciar che fosse il predecessore ed amico che riprendesse il suo posto. La vigilia della beatificazione, in quel circo massimo romano gremito di giovani, Benedetto XVI da Castelgandolfo, ancora una volta discreto quasi nascosto guidò, come pastore della diocesi romana, la preghiera conclusiva di quella lunga vigilia. Pero la domenica a piazza San Pietro lui fu veramente il liturgo, che invocò il Nome della Santa Trinità all’inizio della liturgia, che proclamò davanti alla Chiesa e al mondo la santità del nuovo beato, che commentò la Parola di Dio, e sui doni presentati invocò lo Spirito Santo affinché diventassero il Corpo e il Sangue di Cristo. In una celebrazione liturgica concelebrata coi patriarchi delle Chiese Orientali cattoliche ed i padri cardinali, conclusasi con la sua preghiera silenziosa e discreta davanti alla bara del suo predecessore beato Giovanni Paolo II. Umile pastore fino alla conclusione del suo pontificato, del suo umile servizio alla Chiesa Cattolica. Dopo aver annunciato in modo dimesso, e usando una lingua forse in molti non più capita, che voleva continuare a portare il peso della croce di Cristo, ma in modo molto diverso, e nelle settimane che hanno susseguito questo annuncio non ha parlato di se stesso bensì umile pastore ha continuato ad annunciare il vero Pastore. Nel suo ultimo incontro con i fedeli in quella piazza San Pietro dalle braccia protese, Pietro ha abbracciato la Chiesa e la Chiesa ha abbracciato Pietro. E nella sua catechesi, ancora una volta discreta ed umile e per questo grande, il pastore –l’umile lavoratore- con la sua parola ha curato con amore per ultima volta la sua amata vigna. E lo ha fatto nel ringraziamento a Dio che guida sempre la Chiesa, nella grande fiducia che il Vangelo è l’unica forza della Chiesa. Convinto che il Signore l’ha guidato nei giorni di sole e di gioia e nei giorni di foschia e di sofferenza; nei giorni in cui il mare è stato sereno e la barca solcava senza difficoltà, e nei giorni in cui le onde l’hanno sbattuta e sembrava che il Signore dormiva. Ma lui, il Signore c’era e c’è, e questa è la nostra fede. Convinti che Dio ci ama e ha dato il suo Figlio per noi. E Benedetto XVI ha ringraziato ancora tante persone che fedelmente hanno collaborato con lui, con spirito di fede e di umiltà; per fare della Chiesa non una organizzazione ma un corpo vivo, comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Cristo che ci unisce tutti. In un amore, ha ancora ricordato Benedetto XVI che delle volte porta a scelte difficili, sempre per il bene della Chiesa. Consapevolezza certa che dal momento della sua accettazione come successore di Pietro nella chiesa di Roma lui, il Papa, non apparteneva più a se stesso bensì a tutti e per sempre nell’abbraccio vicendevole di cui piazza San Pietro in questa ultima udienza è diventata tipo e testimone. Quindi il vignaiolo, il pastore, alla fine diremmo riprende il ruolo di teologo e spiega il mistero della croce, di cui lui non scende bensì rimane in modo nuovo presso il Signore crocifisso. Le parole di Benedetto XVI: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”, ci portano a quelle del tropario iniziale: “… facendo conto di stare presso il Salvatore crocifisso, o meglio di essere croci­fissa insieme a Colui che per te è stato crocifisso”. Dal 28 febbraio Benedetto XVI non scende dalla croce ma il suo nascondimento illumina Colui che per noi è appeso alla croce. Nella liturgia bizantina, durante la lettura del vangelo al vespro del Venerdì Santo, l’immagine del crocifisso viene deposta dalla croce, avvolta in un lenzuolo e sepolta sotto l’altare che diventa la tomba da cui sgorga la risurrezione e la vita. In mezzo alla navata comunque rimane sempre, a vista di tutti la croce di Cristo. Benedetto XVI si fa umile, sparisce, lasciando pero in mezzo alla Chiesa la croce vivificante di nostro Signore Gesù Cristo, che è sempre per noi cristiani l’albero della vita che ci porta all’incontro con l’unico vero Pastore della Chiesa.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma

giovedì 28 febbraio 2013

Riflessione...


Il ragazzo non può lasciare suo padre perché, se lo lasciasse, suo padre morirebbe
(Gen. 44,22)  

Tutto il mondo sta parlando della dimissione del Santo Padre, che ha proclamato in pubblico che si ritirerà in un monastero dentro le mura vaticane, per dedicarsi alla preghiera, un atto umilissimo della sua parte, e nello stesso momento è una nuova chiamata a ognuno di noi di ritirarsi nella preghiera almeno una volta nella nostra vita. Ha scelto il momento giusto per lui, cercando sempre di pensare al bene comune di tutti i suoi figli, come padre saggio e maestro umile.
Ci accompagnerà nella sua preghiera, come anche lo dovremmo accompagnare nella nostra, è il nostro padre che si è umiliato per poter darci il meglio come cristiani, il gregge affidato alla sua cura, e come essere umani, gregge che ci ha dato Gesù la sua parola per proclamarla a essi.
È vero padre, che ha rispettato l’età la situazione odierna e le esigenze del suo gregge, vedendo che la sua salute non lo permetterà a portare a termine il suo mandato, ha pregato il Signore e con l’aiuto dello Spirito Santo, ha concluso il suo mandato su questa Sede, ma lo compierà nella preghiera in un altro modo cercando sempre il bene del gregge affidato a Romano Pontefice.

 «L'ho fatto davanti al Signore che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi principe d'Israele, del popolo del Signore; sì, davanti al Signore ho fatto festa. Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò umile ai miei occhi; ma da quelle serve di cui parli, proprio da loro, sarò onorato!» (2Sam 6,21-22).   

In diritto canonico la chiameranno Sede Vacante, ma in teologia la chiameremo Sede Piena di Speranza, d’Amore e dello Spirito Santo, che unendo la nostra preghiera con quella dei padri sinodali, arriveremo assieme ad avere il Padre, il Pastore il Vicario di Cristo, che renderà questa Sede Pienissima d’amore paterno e fraternità illimitata verso tutti.  «A causa della vostra poca fede; perché in verità io vi dico: se avete fede quanto un granello di senape, potrete dire a questo monte: "Passa da qui a là", e passerà; e niente vi sarà impossibile» (Mt 17, 22). Abbiate Fede in Dio nostro creatore, e siate sicuri che è stato, è e sarà sempre con noi, tramite la sua Chiesa, la sua parola, e il suo vicario, che seguendo i passi di Mosè e ascoltando il consiglio del suo suocero farebbe il miglio per tutti.

Ascolta la mia voce; io ti darò un consiglio, e Dio sia con te: sii tu il rappresentante del popolo davanti a Dio, e porta a Dio le loro cause.  Insegna loro i decreti e le leggi, mostra loro la via per la quale devono camminare e quello che devono fare;  ma scegli fra tutto il popolo degli uomini capaci e timorati di Dio: degli uomini fidati, che detestino il guadagno illecito; e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine.  Essi dovranno amministrare la giustizia al popolo in ogni circostanza. Essi riferiscano a te su ogni questione di grande importanza, ma ogni piccolo affare lo decidano loro. Così alleggerirai il tuo carico, ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questo, e se Dio te lo conferma, tu potrai resistere; anche tutto questo popolo arriverà felicemente al luogo che gli è destinato» (Es 18: 19,23).

Un augurio di vita santa al Santo Padre, e una preghiera del fin fondo del nostro cuore ai padri sinodali che siano accompagnati del Santo Spirito per poter scegliere il successore di Pietro, il Vicario di Cristo e il Vero Fratello di tutti cristiani e musulmani, cercando sempre il bene della chiesa e la pace del mondo. Amen. 

Michel Skaf, alunno P.C.G.  



Apostolica Sedes Vacans

Alle ore 20.00 di questa sera, come stabilito dallo stesso Benedetto XVI, inizia la sede vacante. Il papa non sarà più a capo della Chiesa, anche se continuerà a pregare instancabilmente per essa. La Sede Petrina rimarrà vacante sino all'elezione del nuovo Pontefice






domenica 24 febbraio 2013


Il digiuno

Tra la notte ed il giorno. La nascita di un’alba nuova
Ogni anno passato. Come un giorno. Diventa quaranta. Per quarant’anni
Passando dalla schiavitù alla libertà
Nella notte una colonna di fuoco, e di giorno una colonna di nuvole.
Dal fondo dalle nuvole mi ha chiamato e mi ha convocato. Con il digiuno sono tornato
Con il fuoco verso la Luce
E l’alleanza sta nelle mie mani e tramite me per tutti.
Io Creatura creata dal nulla, devo seguire i passi del  nato dall’eternità
Per poter superare le tentazioni che mi circondano, e devo respingerle tramite il digiuno permanente per tutto il mio soggiorno in questo corpo mortale
Eccomi mi svelo e non mi velo (copro la faccia), mi ha fatto vedere il Suo Volto
Per poter vedere tramite Lui chi mi ha chiamato e mi ha convocato
Per portare la Parola dell’alleanza digiunando e oltrepassando la via del Golgota
Per essere purificato dalle dissolutezze di questo mondo mortale.
E cosi non ci sarà più notte e giorno, ma Fuoco e Luce,
in cui non vedo che Il Creatore nelle sue creature, e l’Incarnato nei suoi prediletti,
e lo Spirito nei suoi figli.
È risorto l’Incarnato per farmi rinascere puro.
Allora lasciatemi libero per liberarmi dalla mia prigione, per lodare con la nuova alba
Dio la Luce eterna senza tramonto.


Padre Abdallah Skaf


domenica 17 febbraio 2013

Il discorso di Benedetto XVI durante il penultimo Angelus.






BENEDETTO XVI

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 17 febbraio 2013

Cari fratelli e sorelle!
mercoledì scorso, con il tradizionale Rito delle Ceneri, siamo entrati nella Quaresima, tempo di conversione e di penitenza in preparazione alla Pasqua. La Chiesa, che è madre e maestra, chiama tutti i suoi membri a rinnovarsi nello spirito, a ri-orientarsi decisamente verso Dio, rinnegando l’orgoglio e l’egoismo per vivere nell’amore. In questo Anno della fede la Quaresima è un tempo favorevole per riscoprire la fede in Dio come criterio-base della nostra vita e della vita della Chiesa. Ciò comporta sempre una lotta, un combattimento spirituale, perché lo spirito del male naturalmente si oppone alla nostra santificazione e cerca di farci deviare dalla via di Dio. Per questo, nella prima domenica di Quaresima, viene proclamato ogni anno il Vangelo delle tentazioni di Gesù nel deserto.
Gesù infatti, dopo aver ricevuto l’“investitura” come Messia – “Unto” di Spirito Santo – al battesimo nel Giordano, fu condotto dallo stesso Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Al momento di iniziare il suo ministero pubblico, Gesù dovette smascherare e respingere le false immagini di Messia che il tentatore gli proponeva. Ma queste tentazioni sono anche false immagini dell’uomo, che in ogni tempo insidiano la coscienza, travestendosi da proposte convenienti ed efficaci, addirittura buone. Gli evangelisti Matteo e Luca presentano tre tentazioni di Gesù, diversificandosi in parte solo per l’ordine. Il loro nucleo centrale consiste sempre nello strumentalizzare Dio per i propri interessi, dando più importanza al successo o ai beni materiali. Il tentatore è subdolo: non spinge direttamente verso il male, ma verso un falso bene, facendo credere che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari. In questo modo, Dio diventa secondario, si riduce a un mezzo, in definitiva diventa irreale, non conta più, svanisce. In ultima analisi, nelle tentazioni è in gioco la fede, perché è in gioco Dio. Nei momenti decisivi della vita, ma, a ben vedere, in ogni momento, siamo di fronte a un bivio: vogliamo seguire l’io o Dio? L’interesse individuale oppure il vero Bene, ciò che realmente è bene?
Come ci insegnano i Padri della Chiesa, le tentazioni fanno parte della “discesa” di Gesù nella nostra condizione umana, nell’abisso del peccato e delle sue conseguenze. Una “discesa” che Gesù ha percorso sino alla fine, sino alla morte di croce e agli inferi dell’estrema lontananza da Dio. In questo modo, Egli è la mano che Dio ha teso all’uomo, alla pecorella smarrita, per riportarla in salvo. Come insegna sant’Agostino, Gesù ha preso da noi le tentazioni, per donare a noi la sua vittoria (cfr Enarr. in Psalmos, 60,3: PL 36, 724). Non abbiamo dunque paura di affrontare anche noi il combattimento contro lo spirito del male: l’importante è che lo facciamo con Lui, con Cristo, il Vincitore. E per stare con Lui rivolgiamoci alla Madre, Maria: invochiamola con fiducia filiale nell’ora della prova, e lei ci farà sentire la potente presenza del suo Figlio divino, per respingere le tentazioni con la Parola di Cristo, e così rimettere Dio al centro della nostra vita.

testo: www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/angelus/2013/documents/hf_ben-xvi_ang_20130217_it.html


venerdì 1 febbraio 2013

La Madre di Dio nella festa dell'Incontro del Signore





Oggi Maria diventa il trono terrestre di Dio. 

La presenza della Madre di Dio nelle tradizioni liturgiche dell'Oriente cristiano è importante ed ha un ruolo che è legato al suo posto nel mistero della salvezza. Con il nome di “theotokion”, dal titolo “Theotokos” (Madre di Dio) dato a Maria, si indicano nelle liturgie orientali, specialmente in quella bizantina, quei testi liturgici che parlano del mistero della maternità divina di Maria, del suo ruolo nel mistero dell'Incarnazione del Verbo di Dio. In questi testi, che si trovano sia nell’ufficiatura delle grandi feste sia in quella dei giorni feriali, troviamo sviluppata e cantata in forma poetica tutta una vera e propria riflessione di carattere cristologico e mariologico, ambedue strettamente collegate. Iniziando dalla festa dell'Incontro del Signore il giorno 2 febbraio, vogliamo mettere in risalto l’immagine e la figura di Maria delineata in questi “theotokia”. Nella festa odierna la figura della Madre di Dio è presente in quasi tutti i tropari, in quanto lei ha un ruolo centrale nella festa, a cominciare dalla scena evangelica di Lc 2,22ss.
In primo luogo troviamo l’immagine di Maria come colei che porta Cristo; il ruolo di Maria nella festa odierna è quasi incentrato in questo portare, reggere il Verbo di Dio incarnato, che viene a sua volta ricevuto e accolto da Simeone: “L’Antico di giorni, divenuto bambino nella carne, è portato al santuario dalla Madre Vergine… Simeone, acco­gliendolo con gioia, diceva: Ora lascia, o Sovrano, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, o Signore”. Diversi dei tropari della festa del 2 febbraio quindi riprendono il testo di Daniele 7,9 in cui si parla del vegliardo, dell'Antico dei giorni, un versetto che i Padri e la liturgia stessa hanno letto sempre in chiave cristologica: “L’Antico di giorni, che un tempo sul Sinai ha dato a Mosè la legge, oggi si mostra bambino…”. Colui che la visione del profeta vede come un vegliardo “Antico dei giorni” adesso appare “Bambino nuovo” ai due vegliardi nel tempio.
La Vergine Maria è presentata poi come colei da chi il Verbo di Dio nella sua incarnazione assume la natura umana: “È bambino per me l’Antico di giorni; il Dio puris­simo si sottopone alle purificazioni, per confermare che è realmente la mia carne quella che dalla Vergine ha assunto… Simeone, iniziato ai misteri, riconosce Dio stesso, apparso nella carne…”. In tutta l’ufficiatura della festa, Maria è associata pienamente al mistero dell'Incarnazione del Verbo di Dio che si fa uomo per riparare la rovina sopraggiunta dalla caduta di Adamo: “Cristo è apparso, facendosi bam­bi­no dal­la Vergine, senza mutamento… Il celeste coro degli angeli celesti, sporgendosi verso la terra, vede giunto al tempio, portato come bambino da Madre ignara d’uomo, il primo­genito di ogni creatura…”.
Il mistero della Madre di Dio nella festa odierna è ancora messo in evidenza dal doppio movimento che va dall’accogliere il Verbo di Dio all’offrirlo all’umanità che ne aspetta la redenzione; Maria è presentata nella sua verginità (ripetutamente con la frase “ignara di nozze”) e nella sua divina maternità: “La Madre ignara di nozze, portando al tempio colui che prima dei secoli dal Padre è rifulso, e alla fine dei tem­pi, da grembo verginale, presentava colui che sul monte Sinai aveva dato la Legge, e ora ubbidiva al comando della Legge, al giusto e anziano sacerdote, che esultò acclamando: Dio è costui, al Padre coeterno, e Redentore delle anime nostre… La Madre-di-Dio Maria, recando tra le braccia colui che è portato sui carri dei cherubini ed è celebrato con canti dai serafini, da lei senza nozze incarnato, metteva nelle mani del vecchio sacerdote il datore della Legge che compiva l’ordine della Legge…”. Come conseguenza di questa offerta da parte di Maria, l’anziano Simeone la canta come carro e trono terrestre che porta Dio: “Comprendendo il divino vegliardo la gloria che già un tempo si era manifestata al profeta, vedendo il Verbo tenuto tra le mani dalla Madre, esclamava: O venerabile, gioisci! Perché, come un trono, tu porti Dio, Sovrano della luce senza tramonto e della pace… Inchinandosi il vegliardo e abbracciando i piedi dell’ignara di nozze e Madre-di-Dio, disse: Tu porti il fuoco, o pura: tremo nell’abbracciare come bambino Dio, Sovrano della luce senza tramonto…”. In diversi tropari della festa ne consegue allora la lettura cristologica del testo di Is 6,6, con l’immagine del carbone ardente che purifica coloro che lo toccano: “È purificato Isaia, ricevendo il carbone ardente del sera­fino, gridava il vegliardo alla Madre-di-Dio; e tu con le tue mani, come con molle, mi illumini dandomi colui che porti, il Sovrano della luce senza tramonto…”.
Infine è nell’ultima delle odi del mattutino, quando la liturgia canta il cantico della Madre di Dio (Magnificat) che si riprendono, quasi in modo riassuntivo, i diversi aspetti del ruolo di Maria nel mistero della nostra salvezza. In primo luogo il mistero della sua verginità: “Incomprensibile per gli angeli e gli uomini è quanto si compie in te, o Madre Vergine pura…”. L’incarnazione del Verbo di Dio che la fa portatrice di Dio per gli uomini: “Tu sei, o Maria, le mistiche molle, perché hai con­cepito in seno il Cristo, carbone ardente… Senza mutamento secondo l’ipòstasi, in te, Genitrice di Dio, si unisce senza seme alla carne, e si fa bambino il Verbo; e tu, portandolo tra le braccia come trono di che­rubini, lo presenti ora a Dio Padre, e il vecchio Simeone l’ac­coglie con gioia”. Maria ancora che partorisce veramente il Verbo di Dio incarnato: “Per i neonati di un tempo, c’era una coppia di tortore o di piccoli di colomba: compiendo ora la figura col loro servizio, ecco il divino vegliardo e la casta Anna profetessa che magnificano, al suo entrare nel tempio, colui che è stato partorito dalla Vergine ed è unigenito Figlio del Padre”. Infine Maria diventa colei che è custode ed intercessore per i cristiani, per tutta la Chiesa: “Madre-di-Dio, speranza di tutti i cristiani, proteggi e cu­stodisci quanti sperano in te, e su di essi vigila”. In questa festa è tutta la Chiesa che, assieme a Maria gioisce per il sole di giustizia che da lei sorge per illuminare gli uomini.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma


lunedì 21 gennaio 2013

Settimana di Preghiera per L'unità dei Cristiani





BASILICA DI S. MARIA IN VIA LATA
memoria storica dell’Apostolo Paolo
Via del Corso, 306 – 00186 Roma – Tel. 06.6780.926

Dal 18 al 25 gennaio 2013 – Ore 20.00

È tradizione collaudata da oltre trent’anni che nella Basilica di S. Maria in Via Lata, dove ha sede il Centro Eucaristico Ecumenico delle Suore Figlie della Chiesa, alle ore 20.00 dei giorni 18-25 gennaio si celebri solennemente la Santa Messa nei vari riti cattolici orientali con la partecipazione dei Collegi Pontifici di Roma, per dare il dovuto risalto alla «Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani». La Divina Liturgia sarà celebrata in vari riti. Tutti sono invitati a partecipare a questa «Settimana di preghiera», tempo propizio per una più profonda reciproca conoscenza fra le Chiese e le Comunità ecclesiali, momento singolare per vivere il mistero della Chiesa «una, santa, cattolica e apostolica», nell’unità della fede e nella varietà dei riti con i quali la fede viene celebrata.

Venerdì 18  Rito Armeno Pont. Collegio Armeno
Sabato 19 Rito Siro-maronita Ordine Maronita della B.M.V.
Domenica 20 Rito Romano Presiede:  Mons. Matteo Zuppi 
Lunedì 21 Siro-malabarese Pont. Collegio Damasceno
Martedì 22 Rito Bizantino-romeno Pont. Collegio Romeno
Mercoledì 23 Rito Bizantino-greco Pont. Collegio GrecoRito 
Giovedì 24Rito Bizantino-ucraino Pont. Basiliani di S. Giosafat
Venerdì 25 Rito Etiopico Pont. Collegio Etiopico


A cura del Centro Eucaristico Ecumenico
di Santa Maria in Via Lata
In collaborazione col Centro di Cultura Mariana