di Ardian
Dreca
Prima
che i comunisti ne cancellassero la storia, la sua identità cristiana ed
europea si è sempre salvata nel rapporto con l’Occidente. E nella resistenza
all’invasore ottomano. Com’è che l’abbiamo svenduta alla Conferenza islamica?
L’Albania
festeggia quest’anno il suo centenario dell’indipendenza dall’Impero ottomano e
questa è l’occasione giusta per fare un bilancio del percorso plurisecolare del
paese delle aquile verso la libertà.
Nel
Quattrocento fu Giorgio Castriota detto Scanderbeg (1405-1468), a guidare per
25 anni la lotta dei principi albanesi contro gli ottomani di Murad II e poi di
Maometto II il Conquistatore. La sua fama di condottiero valente e di
diplomatico abile varcò i confini dell’Albania e ben presto il Regno di Napoli
lo sostenne energicamente. Anche la Serenissima gli venne in aiuto, rimanendo
però cauta affinché egli non diventasse troppo potente da ostacolare gli
interessi commerciali della Repubblica.
Un
appoggio paterno e incondizionato gli fu dato dai pontefici che regnarono in
quel quarto di secolo. Eugenio IV, Niccolò V, Callisto III e Pio II lo
aiutarono sia direttamente con denaro, sia cercando si sensibilizzare le corti
italiane ed europee sull’importanza della difesa di quel baluardo di
cristianità che era l’Albania. Callisto III usò nei suoi confronti gli
appellativi “defensor fidei” e “athleta Christi”. Con la morte di Scanderbeg il
paese cadde sotto il giogo ottomano, ma la resistenza continuò tra le montagne
impervie dove i suoi connazionali mantenevano vive la fede, la lingua e le
tradizioni etniche. Mentre l’Europa usciva dal Medioevo, l’Albania occupata era
condannata a rimanerci fino agli inizi del XX secolo.
Uno
dei fattori che svolsero un ruolo fondamentale nel forgiare l’identità albanese
fu la Chiesa cattolica. Infatti, il primo documento scritto in albanese è la
formula del battesimo (1462), il primo libro stampato è il Messale (1555) del
prete Giovanni Buzuku, il libro successivo è la Dottrina cristiana (1618) del
sacerdote Pietro Budi, che nel 1621 organizzerà un’insurrezione armata contro
gli ottomani. Anche il primo dizionario latino-albanese (1635) è opera di un
sacerdote, Frang Bardhi. Dopo di lui abbiamo il Cuneus Prophetarum (1685) del
vescovo Pietro Bodgani. La prima grammatica della lingua albanese (1716) e un
dizionario italiano-albanese (1702) sono opera del missionario francescano
Francesco Maria da Lecce. Altri contributi notevoli per la cultura albanese li
troviamo tra gli esuli che ormai si erano stabiliti nell’Italia meridionale.
LA
CURA DELLA CRISTIANITA’.
Dal Seicento la Chiesa di Roma, preoccupata dal terrore crescente e dalla
pressione delle tasse che l’amministrazione ottomana esercitava sui cristiani
albanesi con l’intento di convertirli all’islam, affidò alla Propaganda Fide il
compito di curare i destini della cristianità in quel lembo lacerato dei
Balcani. L’opera immane della Propaganda Fide in Albania, gli effetti del
Kultusprotektorat esercitato da parte dell’Impero sulle popolazioni cristiane
dei territori della Sublime Porta e più tardi gli esiti della pace di
Passarowitz (1718) agevolarono la sopravvivenza dello spirito nazionalistico e
aiutarono la preservazione della fede cristiana. La strada verso la salvezza
passava attraverso la formazione dell’identità nazionale e religiosa degli
albanesi e dipendeva dalla loro capacità di mantenere sempre accesa la fiamma
della libertà. Nel
1703, la Chiesa, allora guidata da Clemente XI, pontefice di origine albanese,
avvertì la necessità di indire un concilio nazionale per rafforzare i
fondamenti della fede cristiana e per rimediare alle necessità del popolo
cristiano in Albania. Un
elemento molto importante che contribuì a fermare l’islamizzazione del paese fu
il diritto consuetudinario albanese, noto anche come il Kanun del principe Lek
Dukagini III (1459-1479). Il Kanun, con i suoi tratti fortemente repubblicani
di matrice romana, ebbe un influsso determinante nella vita della comunità
cattolica del nord, che respinse la sharia islamica non riconoscendo così il
potere giuridico degli occupanti sulla propria patria. Inoltre là dove vigeva
il Kanun si mantenevano in uso i costumi tradizionali popolari e non si usava
il velo islamico anche tra coloro che nel frattempo si erano convertiti
all’islam. Dopo
la Seconda Guerra mondiale, mentre l’Occidente che aveva trionfato sul
nazi-fascismo si godeva i frutti della vittoria, l’Albania insieme al campo
sovietico cadeva in uno dei peggiori incubi della sua storia. Il comunismo
albanese di Enver Hoxha nel suo astio profondo contro la religione cristiana e
nel suo totalitarismo privo di qualsiasi spiritualità, mostrava di unire in sé
l’eredità del dispotismo ottomano con la “barbarie bolscevica” di stampo
leninista. Che il comunismo albanese sia stato di matrice islamica lo dimostra l’accanimento
speciale nei confronti della Chiesa cattolica e dei suoi membri. Ciò che suona
molto strano per un leader comunista come Hoxha, per quarant’anni alla guida
del primo paese nel mondo ateo per costituzione, è che nell’ultima sua opera,
intitolata Appunti sul Medio Oriente, egli inneggi apertamente alla civiltà
arabo-musulmana e alla presunta superiorità del Corano sulla Bibbia.
SECOLARIZZAZIONE. Da due decadi il regime comunista
è caduto e con esso sembrava tramontasse un’era di miserie morali e materiali,
ma purtroppo gli albanesi dall’inizio hanno avuto un malinteso con la libertà,
la quale si confondeva con la possibilità di spostarsi nello spazio e con il
fare ciò che pare e piace. Il crollo dello Stato nel 1997, la vocazione
totalitaria di Sali Berisha, la mancata rotazione dei politici albanesi e la
non attuazione delle riforme richieste da Bruxelles hanno fatto sì che il
piccolo paese balcanico rimanesse in una posizione incerta riguardo ai tempi
necessari per entrare nella Comunità europea.
Possiamo
dire che l’Albania è inseguita da un “passato che non vuole passare”; alla sua
testa si trova ancora un ex membro del partito comunista di Enver Hoxha che non
ha mai avuto buoni rapporti con il pluralismo politico. La tanto conclamata
amicizia con gli Stati Uniti e la bramata entrata nella Nato non hanno impedito
a Berisha di continuare a mantenere l’Albania all’interno della Conferenza
islamica, ai lavori della quale i suoi ministri partecipano approvando
risoluzioni e documenti contro lo Stato di Israele e contro gli Stati Uniti
d’America. La partecipazione a tale organismo non è giustificata né dalla
storia del paese, sempre in lotta con l’Impero ottomano, né dalla società
multireligiosa albanese dove l’islam non è più religione di maggioranza
assoluta. I
dati che riportano l’islam al 70 per cento della popolazione, seguito da
ortodossi e cattolici rispettivamente al 20 e al 10 per cento, risalgono alla
fine degli anni Trenta. Non dobbiamo dimenticare che, oltre alle dinamiche
dello sviluppo demografico, in Albania ha avuto un forte influsso sulla
composizione religiosa del paese la politica dell’ateismo di Stato degli anni
della dittatura. In quasi cinquant’anni in Albania si è verificato il fenomeno
della non credenza e dell’indifferenza religiosa che secondo gli studi
sociologici ha toccato più da vicino la società musulmana. Inoltre, nell’ultimo
periodo abbiamo l’opera di proselitismo dei protestanti e di sette religiose
che hanno fatto molti adepti. L’anno scorso, su insistenza della Comunità
europea, dopo parecchi tentennamenti, ha avuto luogo un censimento generale
della popolazione che comprendeva anche la dichiarazione volontaria della
propria appartenenza religiosa. Il risultato di tale censimento, compiuto da
un’agenzia controllata dal governo, a distanza di quasi un anno non viene
ancora reso pubblico.
CATTOLICI
MESSI DA PARTE.
Oggi i cattolici non
sono rappresentati nella vita pubblica e politica del paese, mentre dal 2005,
anno della vittoria del Partito democratico, è aumentata notevolmente la
pressione dell’integralismo islamico sia nel Kosovo sia in Albania. Il più
grande scrittore albanese, Ismail Kadare, candidato al premio Nobel da diversi
anni, continua a ribadire con forza l’appartenenza del suo popolo alla migliore
tradizione europea e soprattutto all’umanesimo cristiano. Noi, scrive Kadare,
entriamo di diritto nella famiglia europea dei popoli, grazie alla nostra
tradizione cattolica e alla nostra identità europea. Tutto ciò che ci divide
dall’Europa è contro i nostri interessi nazionali e contro il nostro futuro.
L’autore di questo
articolo Ardian Ndreca è docente di Storia della filosofia moderna presso la
Pontificia Università Urbaniana, dove dirige l’Istituto di ricerca della non
credenza e delle culture (Isa). È inoltre editore della rivista cattolica
albanese Hylli i Dritës, fondata nel 1913 dal poeta nazionale padre Giorgio
Fishta. Tra le opere di Ndreca pubblicate in lingua italiana ricordiamo
Mediazione o paradosso? Kierkegaard contra Hegel (Bonomi, Pavia 2000), La
soggettività in Kierkegaard (UUP 2005), Lessico di filosofia della storia (UUP
2012).