domenica 15 marzo 2015

Quarta Domenica di Quaresima: di San Giovanni Climaco



                Icona di San Giovanni Climaco e la Scala del Paradiso



Domenica di San Giovanni Climaco



Meglio integrate nella Quaresima sono le commemorazioni di san Giovanni Climaco, la quarta domenica, e di santa Maria Egiziaca, la quinta domenica. In questi due santi la Chiesa vede gli araldi e i testimoni massimi dell’ascetismo cristiano: san Giovanni è colui che ha espresso i principi dell’ascetismo nei suoi scritti, santa Maria nella sua vita. La loro commemorazione durante la seconda metà della Quaresima mira evidentemente a incoraggiare e ispirare i credenti impegnati nella lotta mediante lo sforzo spirituale quaresimale. Poiché, però, l’ascetismo è da praticare e non soltanto da commemorare, la commemorazione di questi due santi è in vista del nostro sforzo personale di Quaresima. Consideriamolo come una indicazione generale di quanto la Chiesa desidera che noi facciamo durante la Quaresima: sforzarci di arricchire spiritualmente e intellettualmente il nostro mondo interiore, leggere e meditare su quelle cose che maggiormente ci possono aiutare a ritrovare il nostro mondo interiore e la sua gioia. Di questa gioia, della vera vocazione dell’uomo, quella che si realizza al di dentro e non al di fuori, il “mondo moderno” non ci dà oggi neppure la più pallida idea; eppure, senza questa gioia, senza la comprensione della Quaresima come un viaggio nelle profondità della nostra umanità, la Quaresima perde tutto il suo significato. Noi non viviamo in una società ortodossa e perciò non è possibile creare un “clima” di Quaresima a livello sociale. Quaresima o non Quaresima, il mondo che ci circonda e di cui siamo parte integrante non cambia. Di conseguenza, questa situazione esige da noi un nuovo sforzo di ripensare il rapporto religioso che esiste necessariamente fra l’esterno e l’interno. Il dramma spirituale del secolarismo è che esso ci conduce a un’autentica “schizofrenia” religiosa, che divide la nostra vita in due parti: la parte religiosa e la parte secolare, tra loro sempre meno interdipendenti. Bisogna quindi fare uno sforzo spirituale per trasportare i costumi e i richiami ereditati dalla tradizione, che costituiscono i mezzi del nostro sforzo quaresimale. Si potrebbe prendere in considerazione questo sforzo sotto un duplice punto di vista: anzitutto quello della vita familiare, poi quello della vita extra-familiare. Nella concezione ortodossa, la casa e la famiglia costituiscono l’ambito primo e più importante della vita cristiana, il luogo della applicazione dei principi cristiani all’esistenza quotidiana. È certamente la casa, sono lo stile e lo spirito della vita di famiglia, e non la scuola e neppure la chiesa, che modellano la nostra fondamentale visione del mondo, che formano in noi quell’orientamento di fondo di cui possiamo non essere neppure coscienti per lungo tempo, ma che, in definitiva, diventeranno un fattore decisivo. Senza dubbio, tutti saranno d’accordo nel riconoscere che lo stile della vita di famiglia è stato radicalmente trasformato dalla radio e dalla televisione. Oggi questi mass-media permeano l’intera nostra vita. Non c’è bisogno di “andar fuori” per “essere fuori”! Il mondo intero è in permanenza qui, alla mia portata. E, a poco a poco, l’esperienza elementare di vivere in un mondo interiore, l’esperienza della bellezza di tale “interiorità” scompaiono semplicemente dalla nostra cultura moderna. Se non è la televisione, è la musica. La musica ha cessato di essere qualcosa che si ascolta; essa sta diventando una specie di sottofondo per ogni momento. Di fatto, questo bisogno continuo di musica rivela l’incapacità dell’uomo moderno di godere del silenzio, di intenderlo non come qualcosa di negativo, come una pura assenza, bensì proprio come una presenza, come la condizione di ogni vera presenza. Se il cristiano di una volta viveva per gran parte del suo tempo in un mondo silenzioso che gli dava ampia possibilità di concentrazione e di vita interiore, il cristiano di oggi deve fare uno sforzo particolare per recuperare questa dimensione essenziale del silenzio, che sola può metterci in contatto con le realtà superiori. Il problema della radio e della televisione durante la Quaresima non è perciò un problema marginale; sotto molti aspetti, è anzi una questione di vita o di morte spirituale. Dobbiamo renderci conto che è impossibile dividere la nostra vita fra la “radiosa tristezza” della Quaresima e “l’ultima novità” televisiva. Queste due esperienze sono incompatibili, e una delle due alla fine uccide l’altra. Ed è molto probabile, a meno di uno sforzo particolare, che “l’ultima novità” abbia maggiori possibilità di prevalere nei confronti della “radiosa tristezza” che non viceversa. Una prima “pratica” da suggerire, quindi, è quella di ridurre drasticamente l’uso della radio e della televisione durante la Quaresima. Non osiamo sperare a questo punto un digiuno “totale”, ma solamente un digiuno “ascetico” che, come sappiamo, significa innanzitutto un cambiamento e una riduzione della dieta. Non vi è nulla di male, ad esempio, se si continua a seguire le notizie e se si scelgono programmi seri e interessanti, che possono dare un arricchimento intellettuale o spirituale. Ciò che deve cessare durante la Quaresima è “l’abbandonarsi” alla televisione; questo atteggiamento trasforma l’uomo in un vegetale in poltrona, incollato allo schermo e passivamente ricettivo di quanto gli viene propinato. Il silenzio creato dall’assenza dei rumori del mondo diffusi dai mass-media dev’essere riempito con qualcosa di positivo. Se la preghiera nutre la nostra anima, anche il nostro intelletto ha bisogno di nutrimento, perché è proprio l’intelletto dell’uomo che viene oggi distrutto dal martellamento incessante della televisione, della radio, dei giornali, delle riviste, ecc... Oltre allo sforzo puramente spirituale, occorre allora anche uno sforzo intellettuale. Non è necessario che i libri da leggere in questo periodo siano tutti libri religiosi, non tutti sono chiamati ad essere teologi. Eppure quanta “teologia” implicita si nasconde in certi capolavori della letteratura! E tutto ciò che arricchisce il nostro intelletto, tutto ciò che è frutto dell’autentica creatività umana, è benedetto dalla Chiesa, e, se ben usato, acquista un valore spirituale. In secondo luogo, la Quaresima è un tempo propizio per misurare il carattere incredibilmente superficiale dei nostri rapporti con gli uomini, con le cose e con il lavoro. Quaresima è il tempo della ricerca del significato: il significato del mio rapporto con gli altri ; il significato dell’amicizia; il significato della mia responsabilità. Non c’è lavoro, non c’è vocazione che non possano essere “trasformati”, sia pure in parte, in termini non di maggior efficienza o di migliore organizzazione, ma di quelli di valore umano. È di nuovo uno sforzo di “interiorizzazione” di tutte le nostre relazioni che ci viene richiesto qui, poiché siamo esseri liberi, diventati (molto spesso senza saperlo) prigionieri di sistemi che progressivamente disumanizzano il mondo. E se la nostra fede ha qualche significato, deve essere in rapporto con la vita in tutta la sua complessità. Migliaia di persone pensano che i cambiamenti necessari vengono solo dall’esterno, dalle rivoluzioni e dal mutamento delle condizioni esteriori. Tocca a noi cristiani dimostrare che, in realtà, ogni cosa viene dall’interno, dalla fede e dalla vita in accordo con la fede. Quando la Chiesa penetrò nel mondo greco-romano, non denunciò la schiavitù, non chiamò alla rivoluzione furono la sua fede, la sua nuova visione dell’uomo e della vita a rendere progressivamente impossibile la schiavitù. Un solo “santo” e santo significa qui molto semplicemente un uomo che prende sul serio la sua fede a ogni istante farà di più per cambiare il mondo che mille programmi scritti a tavolino. Il santo è l’unico vero rivoluzionario in questo mondo. Infine, la Quaresima è il tempo in cui dobbiamo controllare il nostro parlare. Il nostro mondo è incredibilmente “verboso” e noi siamo costantemente sommersi da parole che hanno perso il loro significato e, quindi, la loro forza. Il cristianesimo rivela la sacralità della parola, vero dono fatto da Dio all’uomo. È per questa ragione che il nostro parlare è dotato di un potere tremendo, sia positivo che negativo, ed è per questa ragione che saremo giudicati sulle nostre parole: “Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Matteo 12, 36-37). Controllare il proprio parlare vuol dire recuperarne la serietà e la sacralità, vuol dire comprendere che talvolta una battuta “innocente” da noi pronunciata senza neppure riflettere può avere effetti disastrosi, può essere “l’ultima goccia” che getta un uomo nel fondo della disperazione e della distruzione. Ma la parola può anche essere una testimonianza. Una conversazione fortuita avuta con una collega di lavoro può trasmettere una visione della vita o un atteggiamento verso gli altri o verso il lavoro di più che non una bella predica. Questa conversazione può gettare il seme di una domanda, di un possibile approccio diverso alla vita, del desiderio di conoscere di più. Non abbiamo neppure l’idea fino a qual punto, di fatto, noi c’influenziamo costantemente a vicenda con le nostre parole, con la “tonalità” stessa della nostra personalità. E, in definitiva, gli uomini vengono convertiti a Dio non perché qualcuno è stato in grado di fornire spiegazioni brillanti, ma perché essi hanno visto in lui quella luce, quella gioia, quella profondità, quella serietà e quell’amore che, soli, rivelano la presenza e la potenza di Dio nel mondo. Se dunque la Quaresima è per l’uomo la riscoperta della propria fede, essa è per lui anche la riscoperta della vita, del suo significato divino, della sua profondità sacra. È astenendoci dal cibo che noi riscopriamo la sua dolcezza e reimpariamo a riceverlo da Dio con gioia e gratitudine. È astenendoci dalla musica e dal divertimento, dalle conversazioni e dagli incontri superficiali che noi riscopriamo il valore ultimo delle relazioni umane, del lavoro dell’uomo, della sua arte. E noi riscopriamo tutto questo per il semplice motivo che riscopriamo Dio stesso, che ritorniamo a Lui e, in Lui, a tutto ciò che Egli ci ha dato nel suo infinito amore e nella sua misericordia. E, perciò, la notte di Pasqua cantiamo: “Oggi tutte le cose sono riempite di luce: il cielo la terra e gli inferi. Tutta la creazione celebra la risurrezione di Cristo; il lui è il suo fondamento”. Non deluderci in questa nostra speranza, o Amico degli uomini!


da A. Schmemann, Great Lent, St. Vladimir’s Seminary Press 1974



KONDAKION

Τῇ ὑπερμάχῳ στρατηγῷ τὰ νικητήρια, ὡς λυτρωθεῖσα τῶν δεινῶν εὐχαριστήρια, ἀναγράφω σοι ἡ Πόλις σου Θεοτόκε· Ἀλλ' ὡς ἔχουσα τὸ κράτος ἀπροσμάχητον, ἐκ παντοίων με κινδύνων ἐλευθέρωσον, ἵνα κράζω σοι· Χαῖρε νύμφη ἀνύμφευτε.



A te che, qual condottiera, per me combattesti, innalzo l’inno della vittoria; a te porgo i dovuti ringraziamenti io che sono la tua città, o Madre di Dio. Tu, per la invincibile tua potenza, liberami da ogni sorta di pericoli, affinché possa a te gridare: salve, o sposa sempre vergine.




Coro del Pontificio Collegio Greco


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