Una
settimana prima di Pasqua, i credenti festeggiano la Domenica delle Palme,
giorno in cui ricordano l’entrata di Gesù Cristo a Gerusalemme: entrata
gloriosa e al tempo stesso piena di umiltà. Il popolo lo accoglie come un Re,
con grida di gioia, agitando rami di palme, e l’Evangelo dice: “Tutta la
città era commossa” (Matteo 21, 10). Ma era un Re che non disponeva di
alcun potere se non quello dell’amore, non aveva da dare altro che libertà e
gioia, non richiedeva che quello stesso amore, quella stessa libertà. “Ecco
viene a te il tuo re pieno di dolcezza”(Matteo 21, 5). L’Evangelo cita questo
testo del profeta Zaccaria, questa profezia viene letta durante l’ufficio della
Domenica delle Palme. E precisamente in questo incontro fra l’umiltà e la
regalità, il potere e l’amore, la gloria e la libertà, risiede il senso eterno
di questo avvenimento evangelico e di questa festa che la Chiesa chiama
“Entrata del Signore a Gerusalemme”. Come allora, il mondo attuale esalta
il dominio, la potenza, l’onore, la concorrenza. Allora come oggi ciascuno vuol
regnare sull’altro, comandare, dirigere, esercitare il proprio potere. “I
re delle nazioni – dice Cristo – dominano su di esse da padroni ed
esercitano il potere. Non deve essere così fra voi...” (Matteo 20, 55).
Spesso, riduttivamente, si vuol vedere nella religione in generale, e nel
cristianesimo in particolare, un insieme simultaneo di sete di sottomissione e
di potenza. Nella religione si vede l’abbassamento dell’uomo, una sottomissione
di schiavo di fronte ad un Assoluto terrificante. Dio è percepito come la
proiezione umana dell’asservimento e della tirannia, di tutto ciò che
avvilisce, schiavizza, opprime l’uomo. Si è costruita ed insegnata tutta una
serie di teorie sulla religione e la sua origine, sul modello dello
sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, sui rapporti che lo legano ai
detentori del potere, sul suo carattere di classe. Per questo si collega la
liberazione dell’uomo ad una sua emancipazione nei confronti di questa ebbrezza
religiosa, di questo “oppio” che contribuirebbe a mortificare l’uomo
addormentandolo con la promessa di una ricompensa nell’aldilà, che lo
priverebbe di ogni volontà di lotta, di miglioramento della propria sorte sulla
terra, di liberazione da ogni sfruttamento... Ma che fare di una dottrina, di
una religione, che ci presenta Dio stesso nell’aspetto di un uomo povero e
umile? Quest’uomo, tuttavia, è assolutamente e integralmente libero. Dinanzi
a Dio dunque chiunque detiene un potere trema, freme e cerca di mobilitare
tutte le proprie forze per distruggere, respingere, annientare il terribile
insegnamento sull’amore, la libertà, la verità. Che fare di una religione che
non può in alcun modo stendersi su letto di Procuste delle teorie scientifiche
secondo le quali al cuore di ogni religione dovrebbe necessariamente trovarsi
la paura, la sottomissione cieca, l’asservimento? Ecco che avanza verso
Gerusalemme il Maestro povero, senza casa né tetto, senza un luogo ove posare
il capo. Ecco che Egli manda i suoi discepoli a cercargli un umile animale,
l’asinello da cavalcare, e questo è tutto il suo trionfo, questa la sua gloria!
Ed ecco che viene ad incontrarlo una folla immensa mentre tutta la città
risuona dei saluti tradizionalmente riservati ai re: “Osanna! Benedetto Colui
che viene nel nome del Signore!”. In quel momento egli non ebbe altro potere,
altra regalità: inutili ed assurdi tutti gli ammennicoli del potere umano, le
intimidazioni, le autoglorificazioni. Egli insegnava: “Imparate la verità
e la verità vi renderà liberi”. Tutto il suo insegnamento dimostra che non
esiste potere al mondo capace di spezzare interiormente e di asservire colui
che conosce la verità e che in essa ha acquistato la libertà. Si può
trasformare un intero paese in una prigione ed obbligare i popoli a tremare per
decine di anni. Viene il momento in cui la verità trionfa ed il potere trema.
Allora bisogna ancora mobilitare degli schiavi perché gridino: “Crocifiggeteli,
annientateli, chiudete la bocca a questi criminali”. Che fare in questo mondo
ove prima o poi la parola, la poesia, il pensiero sono più forti di tutti gli
“apparati”, di tutti i “poteri”... È tutto questo che ci riporta la Domenica
delle Palme, è questa libertà che costituisce l’essenziale di questa festa. Ci
dicono che la religione svia tutti i nostri interessi verso l’aldilà... ma il
Regno della libertà dell’amore e della verità si è levato sulla nostra terra.
Il Cristo è entrato in una città di questo mondo, ad accoglierlo ed acclamarlo
era gente di quaggiù. Egli ha insegnato che bisogna essere liberi qui ed
adesso, che adesso bisogna amare, che bisogna vincere ogni paura con l’amore,
che l’uomo realizza la propria eternità in questo mondo creato da Dio, colmo
della bellezza di Dio, e al quale Dio ha conferito un significato. Ed ogni
volta che nell’ufficio della vigilia, nella veglia della Domenica delle Palme,
nel momento solenne e gioioso in cui i fedeli che riempiono la chiesa levano le
palme nella luce dei ceri, nel momento in cui risuona di nuovo l’acclamazione
“Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”, in quel momento non
si commemora solo ciò che è avvenuto un tempo in un paese lontano... No!
Essi sono là ora e fanno giuramento di fedeltà al solo Re e all’unico Regno,
essi promettono di essere fedeli alla libertà, alla verità, all’amore che Egli
ha annunciato. O, più semplicemente essi riaffermano e annunciano la libertà
divina dell’uomo. Tutto il resto non esiste e non può soggiogare che nella
misura in cui non si oppone a questa libertà, a questo amore, a questa verità.
Sì, io mi sottometto ad ogni legge di questo mondo meno che a quella che nega
questa libertà... E a chi mi dirà che è la legge del potere legittimo io
risponderò che tutte le leggi e tutti i poteri sono tali solo nella misura in
cui essi stessi sono sotto la legge della libertà, dell’amore, della verità. La
Domenica delle Palme è la festa della liberazione, la festa del Regno di Dio,
venuto in tutta la sua forza, come annuncia l’Evangelo. Certo, noi sappiamo che
dopo la luce e la gioia di questo giorno ci immergeremo nella tristezza e nelle
tenebre della Grande e Santa Settimana. Il potere non perdonerà e non
dimenticherà il trionfo di Cristo. Lo condannerà a morte, farà di tutto per
estirpare fino all’ultima particella di questo terribile insegnamento.
Quest’appello alla libertà, all’amore, alla verità è insopportabile per il
potere. La Domenica delle Palme è “anticipazione della Croce“ come proclama uno
dei canti di questa festa. Ma noi sappiamo già che dal profondo del Venerdì
Santo sulla strada del Golgota, in cammino verso la sofferenza e la
crocifissione ci giungono le parole di Cristo: “Padre, l’ora è venuta:
glorifica il Figlio affinché il Figlio ti glorifichi” (Giovanni 17, 1-2)
da Alexander Schmemann, in “Le Messager Orthodoxe”, III-IV 1984; trad. J.
K.
APOLITIKION
Τὴν κοινὴν Ἀνάστασιν, πρὸ τοῦ σοῦ Πάθους πιστούμενος, ἐκ νεκρῶν ἤγειρας τὸν Λάζαρον Χριστὲ ὁ Θεός· ὅθεν καὶ ἡμεῖς ὡς οἱ Παῖδες, τὰ τῆς νίκης σύμβολα φέροντες, σοὶ τῷ Νικητῇ τοῦ θανάτου βοῶμεν· Ὡσαννὰ ἐν τοῖς ὑψίστοις, εὐλογημένος ὁ ἐρχόμενος, ἐν ὀνόματι Κυρίου.
Per
confermare la comune risurrezione, prima della tua passione, hai risuscitato
Lazzaro, o Cristo Dio, onde anche noi, come i fanciulli, portando i simboli
della vittoria, a Te, vincitore della morte, gridiamo: Osanna nel più alto dei
cieli, benedetto Colui che viene nel nome del Signore.
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