Prot. N. 1338 + BARTOLOMEO PER GRAZIA DI DIO ARCIVESCOVO DI COSTANTINOPOLI - NUOVA ROMA E PATRIARCA ECUMENICO A TUTTO IL PLEROMA DELLA CHIESA GRAZIA, PACE E MISERICORDIA DA CRISTO SALVATORE NATO A BETLEMME Amati Fratelli Concelebranti e Figli benedetti nel Signore, Nel mezzo della oscura atmosfera che ultimamente prevale nel mondo, di una variegata latente crisi economica, sociale, morale, e specialmente spirituale, la quale provoca negli uomini molta frustrazione, molta amarezza, molto sconcerto, molta preoccupazione, molta angoscia, molta delusione e molta paura per il domani, dolce di sente la voce della Chiesa: “Venite, fedeli, eleviamoci divinamente, per contemplare la divina discesa dall’alto a Betlemme, verso di noi visibilmente.” (Idiomelo della Sesta Ora di Natale). Incrollabile fede dei cristiani è che Dio non osserva dall’alto e con indifferenza il cammino dell’uomo creato personalmente da Lui, a sua immagine e somiglianza. Per questo anche la Incarnazione del suo Unigenito Figlio e Logos fu fin dal principio una “Sua Benevolenza”, la sua volontà originale, il suo “volere pre-eterno”. Di assumere lui stesso, come estremo atto d’amore, la natura umana che aveva creato e renderla “partecipante della natura divina” (2Pt. 1,4). E questo prima della caduta di Adamo ed Eva e anche prima della loro creazione. Dopo la caduta di Adamo ed Eva, il “volere pre-eterno” della Incarnazione, ha compreso la Croce, la Passione Immacolata, la Morte vivificante, la Discesa all’Ade, la Resurrezione dopo tre giorni, affinché il peccato che si insinua , che avvelena ogni cosa e la morte, passeggera clandestina della vita, abbiano fine e siano definitivamente bandite e perché l’uomo gioisca interamente della Paterna eredità dell’ eternità. Ma la divina condiscendenza del Natale non si limita solamente alle cose relative alla eternità. Include anche il nostro cammino terreno. Cristo è venuto nel mondo per annunciare il Regno dei Cieli e per introdurci in esso, ma è venuto anche per salvare e guarire il male della umanità. Più volte ha saziato miracolosamente la moltitudine di coloro che hanno ascoltato la Sua Parola, ha sanato i lebbrosi, ha risollevato gli storpi, ha donato la luce ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti; ha liberato gli indemoniati dagli spiriti immondi, ha resuscitato i morti. Ha sostenuto il diritto degli oppressi e dei dimenticati. Ha stigmatizzato la ricchezza illecita, la mancanza di carità verso i poveri, ipocrisia e l”hybris” – l’eccesso nelle relazioni umane; ha dato se stesso come esempio di volontario sacrificio e svuotamento a favore degli altri. Quindi durante questo Natale bisogna fare particolare attenzione a questa dimensione del messaggio della divina incarnazione. Molti nostri simili e correligionari provano una terribile tentazione dalla crisi latente. Sono senza numero gli eserciti dei senza lavoro, i nuovi poveri, dei senza tetto, di giovani con “sogni infranti”. Ma Betlemme si interpreta come “Casa del Pane”. Siamo debitori dunque, fedeli, verso tutti i fratelli nella prova, non solo del “Pane Sovra-essenziale”, cioè del Cristo, che si trova, avvolto in fasce, nella umile mangiatoia di Betlemme, ma anche del quotidiano pane materiale della sopravvivenza e di tutto “il necessario per il corpo” (Gc. 2,16). E’ l’ora della attuazione pratica del Vangelo, con elevato senso di responsabilità. L’ora nella quale si sente più intensamente ed in modo più pressante l’esortazione apostolica; “Mostrami la tua fede attraverso le tue opere” (Gc, 2, 18). Il momento, cioè la occasione di “elevarci con ispirazione divina”, all’altezza della virtù regale dell’Amore, che ci rende prossimi a Dio. Annunciando queste cose dalla santa e martire cattedra della Chiesa dei Poveri di Cristo, ai figli del Patriarcato Ecumenico, ovunque nel mondo, invochiamo su tutto la divina condiscendenza, la infinita misericordia, la pace e la grazia dell’Unigenito Figlio e Logos di Dio, incarnato per noi per opera dello Spirito Santo e da Maria Vergine, al Quale siano la gloria, la potenza, l’onore e la adorazione, insieme al Padre e allo Spirito, nei secoli dei secoli. Amen. Dato al Fanar, Natale 2010 + Il Patriarca di Costantinopoli Fervente intercessore presso Dio per voi tutti |
martedì 21 dicembre 2010
Messaggio natalizio 2010 del Patriarca Bartolomeo
lunedì 20 dicembre 2010
Adamo ed Eva alla grotta del nuovo bambino
Le tradizioni liturgiche orientali, molto spesso con forme letterarie belle e nello stesso tempo contrastanti, ci propongono la contemplazione del mistero della nostra fede. Romano il Melode, teologo e poeta bizantino del vi secolo, nel suo primo kontàkion come ritornello ripete le parole "nuovo bambino, il Dio prima dei secoli" che riassumono il mistero celebrato: il Dio eterno, esistente prima dei secoli, diventa nuovo nel bambino neonato. La tradizione bizantina, celebrando la "nascita secondo la carne del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo" accosta, sia nell'iconografia che nell'eucologia, la celebrazione del Natale a quella della Pasqua. L'icona del Natale nel bambino fasciato messo in un sepolcro vuole prefigurare già il sepolcro dove il Signore, di nuovo fasciato, verrà messo il Venerdì Santo per risuscitarne glorioso all'alba di Pasqua. I testi della liturgia con immagini molto profonde e vivaci ci propongono così tutto il mistero della nostra salvezza. Nelle settimane precedenti il Natale, la liturgia bizantina in bellissimi tropari ci ha fatto pregustare tutto il mistero dell'Incarnazione: l'attesa fiduciosa e la povertà della grotta, prefigurazione della miseria dell'umanità che accoglie il Verbo di Dio; e ancora, tutta la serie di figure e personaggi che si affacciano nella vita liturgica di questi giorni: i profeti Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Daniele e i Tre Fanciulli; Betlemme, quasi personificata e collegata con l'Eden; Isaia che si rallegra, Maria, la Madre di Dio presentata come "agnella", cioè colei che porta in seno Cristo, l'Agnello di Dio; infine, nelle due domeniche che precedono il Natale, i Progenitori di Dio da Adamo fino a Giuseppe, cioè la lunga serie di figure che hanno atteso il Cristo e che ci ricordano il fatto che anche noi siamo parte di una storia e di una umanità che l'accolgono nella veglia fiduciosa, ma anche nel buio, nel dubbio e nel peccato. Nel secondo dei kontàkia Romano il Melode narra la visita di Adamo ed Eva alla grotta del neonato. Il canto di Maria all'orecchio del bambino sveglia Eva dal sonno eterno ed essa persuade Adamo di recarsi nella grotta per capire cosa sia quel canto. Nel dialogo tra Eva e Adamo svegliati ormai dal loro sonno la donna gli annuncia la buona notizia: "Ascoltami, sono la tua sposa: io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. Considera i prodigi, guarda l'ignara di nozze che guarisce la nostra piaga con il frutto del suo parto. Il serpente una volta mi sorprese e si rallegrò, ma al vedere ora la mia discendenza fuggirà strisciando". La nascita verginale di Cristo diventa guarigione, salvezza per il genere umano ferito dal peccato. E le risponde Adamo: "Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Scorgo un nuovo, diverso paradiso: la Vergine che porta in grembo l'albero di vita, lo stesso albero sacro che custodivano i cherubini per impedirci di toccarlo. Ebbene, guardando crescere questo intoccabile albero, ho avvertito, o mia sposa, il soffio vivificante che fa di me, polvere e fango immoti, un essere animato. Adesso, rinvigorito dal suo profumo, voglio andare dove cresce il frutto della nostra vita, dalla Piena di grazia". Il risveglio di Adamo è una prefigurazione, in quanto viene collocato nella primavera, cioè nel contesto pasquale in cui sarà definitivamente riportato in paradiso. E questo è anche cambiato, rinnovato: "Scorgo un nuovo, diverso paradiso", che altro non è se non il grembo della Vergine che porta il nuovo albero della vita."Sono sopraffatto dall'amore che sento per l'uomo" risponde il Creatore. "Io, o ancella e madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l'abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia. Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l'amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare". All'udire queste parole Maria grida: "O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!". Ma egli risponde: "Non piangere Madre, su ciò che non sai: se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro, a favore dei quali mi implori, periranno, o Piena di grazia". Un Dio il quale "non chiede altro che di poter salvare". Questa è la realtà, l'unica realtà che celebriamo in questi giorni nella nostra fede cristiana: l'amore di Dio per gli uomini manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. E viviamo questa realtà in tutta la nostra vita come cristiani. Come cristiani nel condividere - e forse anche nel mettere in contrasto la nostra fede - con un mondo segnato fortemente dall'individualismo, dall'oblio dell'altro, dall'ignoranza degli altri; una fede che dovrà predicare un Dio che è dono gratuito, che perdona, che ama, e perché ama si sacrifica per gli altri e non chiede altro che poter salvare. Lui "nuovo bambino, il Dio prima dei secoli".
di Archimandrita Nin Manel
mercoledì 15 dicembre 2010
Incarnazione: nuova creazione
“Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la trasgressione, divenendo preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente Artefice di nuovo lo plasma”.
Così canta la prima ode del canone di Cosma di Gerusalemme, vescovo di Maiuma (sec. VII-VIII), che si usa tuttora nell’Orthros di Natale. Il canone è una composizione poetica di 9 odi inserita generalmente al mattutino della liturgia bizantina e, in forme poetiche, commenta il mistero celebrato e ne spiega., a modo di mistagogia, il significato. La prima ode oltre all’irmoscomprende tre tropari. Nel canone di Natale l’innografo presenta il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio e l’effetto di redenzione e di rinnovamento nell’uomo, descrivendo l’evento come una nuova creazione – lo plasma di nuovo - in relazione alla creazione dei progenitori Adamo ed Eva. L’uomo era stato fatto “ad immagine di Dio” (primo tropario); era poi “decaduto dalle altezze divine” divenendo “preda della corruzione” a causa della “trasgressione”. Il Creatore, “vedendo perdersi l’uomo” - che egli aveva fatto con le sue mani e il suo soffio - “piegati i cieli discende in terra e ne assume tutta la sostanza umana dalla Vergine pura”. Egli Dio vero da Dio vero, si fa uomo “prendendo veramente carne”. (secondo tropario). Egli è vero Dio quindi e vero uomo. L’uomo “era perito per la trasgressione”, ed era decaduto in uno stato di corruzione. L’uomo “andava perdendosi”. Il male non aveva agito una volta per sempre, ma manteneva il suo deleterio influsso su ogni generazione, in un dinamico processo di perdizione. Ma Dio non poteva vedere che l’opera delle sue mani e il suo progetto creativo andasse alla malora. “Il Cristo Dio, Sapienza,, Verbo, Potenza, Figlio e Splendore del Padre, restando nascosto a tutte le potenze ultramontane e terrestri, fatto uomo, ci ha riacquistati”. Eravamo opera sua e ci ha recuperati, ci ha riscattati, ci ha redenti, ci ha riacquistati al prezzo del suo sangue. Ci ha giustificati. “Il Sapiente Artefice di nuovo lo plasma”, di nuovo crea l’uomo. E lo avvia per sentieri raddrizzati per le vie del cielo. Un secondo irmos giambico del giorno spiega: “Nascendo volontariamente dalla Vergine, apre per noi un sentiero praticabile per i cieli”. I tropari del giorno orientano l’uomo, fatta nuova creatura, all’incontro salvifico con Dio usando varie forme poetiche.”Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi” (irmos della prima ode). Il canone di Cosma ha il seguente acrostico, che costituisce un kerygma e una professione di fede:“Cristo fatto mortale, rimane qual era Dio”. E ogni tropario si conclude con una formula che dopo ogni tropario il popolo ripeteva come artificio didattico di apprendimento: “Perché si è glorificato”. Il Verbo di Dio nella sua epifania, nella sua opera di salvezza “si è glorificato”, ha manifestato la su potenza, sapienza e benevolenza vero l’umanità. La sua gloria.
Archimandrita Eleuterio F. Fortino
lunedì 13 dicembre 2010
Chirotonia Diaconale
domenica 12 dicembre 2010
venerdì 10 dicembre 2010
Il kontakion Η Παρθένος σήμερον
Oggi la Vergine si dirige verso la grotta per dare a luce ineffabilmente il Verbo che è prima dei secoli. Rallegrati terra tutta, glorifica con gli angeli e i pastori, avendo udito che il Dio che è prima dei secoli ha voluto apparire come tenero bambino.
di P. Manel Nin, Rettore P.C.Greco