"Il movimento di amore tra il Padre e il Figlio nello
Spirito ha percorso la nostra storia; Cristo ci attira a Sé per poterci salvare
(cfr Gv 12,32). Al centro della fede si trova la confessione di Gesù, Figlio di
Dio, nato da donna, che ci introduce, per il dono dello Spirito Santo, nella
figliolanza adottiva (cfr Gal 4,4-6)". -Lumen Fidei
“Cristo luce del
mondo!” è l'invocazione con cui il diacono squarcia le tenebre della notte di
Pasqua, portando processionalmente il cero pasquale tra l'assemblea orante; ed
è questo lo stesso incipit con cui papa Francesco inizia il magistero del suo
pontificato.
“Lumen Fidei” è la
prima enciclica di papa Francesco, che si avvale di una bozza elaborata da
Benedetto XVI messa a disposizione del successore. «Egli aveva già quasi
completato una prima stesura di Lettera enciclica sulla fede. Gliene sono
profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso
lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi» [LF n. 7].
In effetti l'enciclica
chiude la trilogia ratzingeriana sulla carità [Deus Caritas Est] e la speranza
[Spe Salvi] trattando per l'appunto della virtù teologale della fede.
La Lumen Fidei è
divisa in quattro capitoli preceduti e seguiti da una conclusione. Nel primo
capitolo papa Francesco parla della fede come ascolto della Parola di Dio, la
fede è presentata come questione concreta, è confidenza: «La fede è legata
all’ascolto. Abramo non vede Dio, ma sente la sua voce. In questo modo la fede
assume un carattere personale. Dio risulta così non il Dio di un luogo, e
neanche il Dio legato a un tempo sacro specifico, ma il Dio di una persona, il
Dio appunto di Abramo, Isacco e Giacobbe, capace di entrare in contatto con
l’uomo e di stabilire con lui un’alleanza. La fede è la risposta a una Parola
che interpella personalmente, a un Tu che ci chiama per nome». [n.8] Il
secondo capitolo affronta il legame tra fede e verità, la fede è questione di
verità perchè dice una relazione autentica: «Richiamare la connessione della
fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di
verità in cui viviamo. Nella cultura contemporanea si tende spesso ad accettare
come verità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l’uomo riesce a
costruire e misurare con la sua scienza, vero perché funziona, e così rende più
comoda e agevole la vita. Questa sembra oggi l’unica verità certa, l’unica
condivisibile con altri, l’unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme.
Dall’altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo, che consistono
nell’essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide
solo per l’individuo e che non possono essere proposte agli altri con la
pretesa di servire il bene comune. La verità grande, la verità che spiega
l’insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto. Non è stata
forse questa - ci si domanda - la verità pretesa dai grandi totalitarismi del
secolo scorso, una verità che imponeva la propria concezione globale per
schiacciare la storia concreta del singolo? Rimane allora solo un relativismo
in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su
Dio, non interessa più. È logico, in questa prospettiva, che si voglia togliere
la connessione della religione con la verità, perché questo nesso sarebbe alla
radice del fanatismo, che vuole sopraffare chi non condivide la propria
credenza. Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro
mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di
memoria, di memoria profonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in
questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro "io" piccolo e
limitato. È una domanda sull’origine di tutto, alla cui luce si può vedere la
meta e così anche il senso della strada comune».[n.25]
Il terzo capitolo
affronta il tema dell'evangelizzazione, la fede nella società: «L’unità della
Chiesa, nel tempo e nello spazio, è collegata all’unità della fede: « Un solo
corpo e un solo spirito […] una sola fede» (Ef 4, 4-5). Oggi può sembrare
realizzabile un’unione degli uomini in un impegno comune, nel volersi bene, nel
condividere una stessa sorte, in una meta comune. Ma ci risulta molto difficile
concepire un’unità nella stessa verità. Ci sembra che un’unione del genere si
opponga alla libertà del pensiero e all’autonomia del soggetto. L’esperienza
dell’amore ci dice invece che proprio nell’amore è possibile avere una visione
comune, che in esso impariamo a vedere la realtà con gli occhi dell’altro, e
che ciò non ci impoverisce, ma arricchisce il nostro sguardo. L’amore vero, a
misura dell’amore divino, esige la verità e nello sguardo comune della verità,
che è Gesù Cristo, diventa saldo e profondo. Questa è anche la gioia della
fede, l’unità di visione in un solo corpo e in un solo spirito. In questo senso
san Leone Magno poteva affermare: « Se la fede non è una, non è fede ». Qual è
il segreto di questa unità? La fede è "una", in primo luogo, per
l’unità del Dio conosciuto e confessato. Tutti gli articoli di fede si
riferiscono a Lui, sono vie per conoscere il suo essere e il suo agire, e per
questo possiedono un’unità superiore a qualsiasi altra che possiamo costruire
con il nostro pensiero, possiedono l’unità che ci arricchisce, perché si
comunica a noi e ci rende "uno"». [n.47] Il quarto capitolo
parla del legame tra fede e bene comune: « Proprio grazie alla sua connessione
con l’amore (cfr Gal 5,6), la luce della fede si pone al servizio concreto
della giustizia, del diritto e della pace. La fede nasce dall’incontro con
l’amore originario di Dio in cui appare il senso e la bontà della nostra vita;
questa viene illuminata nella misura in cui entra nel dinamismo aperto da
quest’amore, in quanto diventa cioè cammino e pratica verso la pienezza
dell’amore. La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle
relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di
arricchire la vita comune. La fede non allontana dal mondo e non risulta
estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei. Senza un amore
affidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini». [n.51] Questa
enciclica mette a tema la questione della modernità proprio a partire dalla sua
stessa radice: l'illuminismo, ed è nell'ottica di una critica all'illuminismo
che tale enciclica, per lo meno nel suo impianto filosofico va inquadrata. È
proprio a partire dall'Illuminismo che si è assistito al paradosso per cui la
fede è stata travisata fino a diventare il luogo dell'oscurità; eppure
Adorno-Horkheimer hanno delineato bene nella Dialettica dell'Illuminismo l'esito
nefasto di questa impostazione: «L'illuminismo, nel senso più ampio di pensiero
in continuo progresso, ha perseguito da sempre l'obiettivo di togliere agli
uomini la paura e di renderli padroni. Ma la terra interamente illuminata
splende all'insegna di trionfale sventura. Il programma dell'Illuminismo era
liberare il mondo dalla magia. Esso si proponeva di dissolvere i miti e di
rovesciare l'immaginazione con la scienza. […] Ma la credulità, l'avversione al
dubbio, l'avventatezza nelle risposte, lo sfoggio di cultura, la paura di
contraddire, l'interesse personale, l'indolenza nelle ricerche, il feticismo
verbale, la tendenza a fermarsi alle conoscenze parziali: tutto ciò e altre
cose hanno vietato le felici nozze dell'intelletto umano con la natura delle
cose, per accoppiarlo invece a concetti vani e ad esperimenti disordinati». Max
Horkheimer-Theodor W. Adorno Dialettica dell' Illuminismo, Piccola Biblioteca
Einaudi: 1969, 11. Lo sguardo di papa Francesco è proteso fin dalla sua
prima enciclica su orizzonti alti, che colmano di eternità il presente, che
invitano gli uomini ad alzare lo sguardo. Papa Bergoglio si conferma gesuita
fin nel midollo, uomo capace di scrutare i segni dei tempi e di indicare la
via. Facciamo tesoro di questo dono, condividendo queste parole con i nostri
fratelli.