lunedì 28 febbraio 2011

Auguri - Xρόνια πολλά





Rivolgiamo i nostri migliori auguri a
S. Santità Bartolomeo I
Patriarca Ecumenico di Costantinopoli
nel suo anniversario di compleanno



Εκφράζουμε τις θερμότερες ευχές μας στην Αυτού Αγιότητα τον Οικουμενικό Πατριάρχη Βαρθολομαίο Α
για την επετειο των γενεθλίων του







S. ATANASIO

Chiesa Cattolica Bizantina - Via del Babuino 149 – 00187 Roma

Sabato 5 marzo 2011 - ore 17,00

nella sala di via dei Greci, 46 Roma

si terrà una conferenza quaresimale su

La “Proiasmeni” nella liturgia bizantina


Relatore Archimandrita Prof. P. Manuel Nin o.s.b.

Moderatore Prof. Domenico Morelli

La S.V. è cordialmente invitata

Il Rettore della Chiesa

Arch. P. Manuel Nin o.s.b.

domenica 27 febbraio 2011

Lettera del Papa in occasione della rinuncia del cardinale Sfeir all'ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti



Il Papa ha accettato a norma del can. 126 § 2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO), la rinuncia all’ufficio di Patriarca di Antiochia dei Maroniti presentata dal cardinale libanese Nasrallah Pierre Sfeir che il prossimo 15 maggio compirà 91 anni. In una lettera al porporato, Benedetto XVI ricorda i suoi 60 anni di sacerdozio, “prova di fedeltà e di amore” per Gesù, e i quasi 50 anni di episcopato, di cui 25 alla guida della Chiesa maronita in un servizio - ha sottolineato - svolto con entusiasmo e docilità, sull’esempio di Maria, “per la maggior gloria di Dio e per il bene dei fedeli”. “Voi – scrive il Papa nella sua lettera – avete cominciato questo nobile ministero di Patriarca di Antiochia dei Maroniti nel tumulto della guerra che ha insanguinato il Libano per troppi anni. Con l’ardente desiderio di pace per il vostro Paese avete guidato questa Chiesa e girato il mondo per confortare il vostro popolo costretto a emigrare. Alla fine – conclude il messaggio del Papa - la pace è tornata, sempre fragile, ma ancora presente” Il cardinale Sfeir è nato a Reyfoun, in diocesi di Sarba dei Maroniti, in Libano, il 15 maggio 1920. È stato ordinato sacerdote il 7 maggio 1950. Nominato curato della Parrocchia di Reyfoun e segretario della diocesi di Damas, ha ricoperto l’incarico dal 1950 al 1956. Nominato segretario del Patriarcato Maronita, ha svolto questo incarico dal 1956 al 1961. Ha insegnato Letteratura e Filosofia Araba e Traduzione presso il Collegio dei Padri Maristi a Jounieh dal 1951 al 1961. Eletto alla Chiesa titolare di Tarso dei Maroniti è nominato vicario generale patriarcale il 19 giugno 1961 e il 16 luglio successivo ha ricevuto l'ordinazione episcopale. È stato nominato amministratore patriarcale presso mons. Antoine Piere Khoraiche, all'epoca arcivescovo di Saida (1974-1975). Poi ha ricevuto la nomina di consigliere della Commissione per la revisione del Diritto Canonico (1980). Nel 1977 è stato nominato rappresentante del presidente dell'Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano per Caritas-Libano e nel 1980 è stato nominato consigliere spirituale dell'Ordine di Malta. È stato eletto Patriarca di Antiochia dei Maroniti il 19 aprile 1986, prendendo possesso del patriarcato il 27 aprile dello stesso anno. Ha partecipato a tre Assemblee Generali del Sinodo dei Vescovi tra il 1986 e il 1994. È stato anche presidente delegato all’Assemblea Speciale per il Libano, presidente dell'Assemblea dei Patriarchi e dei Vescovi Cattolici in Libano, capo del Sinodo della Chiesa Maronita e presidente del Consiglio dei Patriarchi Cattolici d’Oriente. Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale nel Concistoro del 26 novembre 1994.

© www.radiovaticana.org 26 febbraio 2011

L'innografia delle domeniche pre quaresimali nella tradizione bizantina.


…dammi tu una parola, o Parola del Padre…


Le Chiese orientali nelle settimane che precedono l'inizio della grande Quaresima hanno delle domeniche che in modo pedagogico e mistagogico allo stesso tempo introducono alle grandi tematiche spirituali che dopo la Quaresima svilupperà. Le Chiese di tradizione siriaca hanno il periodo chiamato "dei niniviti" in cui, prendendo spunto dal libro del profeta Giona, lo propongono come modello di conversione. Anche nella tradizione latina esisteva un periodo simile con le domeniche di septuagesima, sexagesima e quinquagesima. Le Chiese di tradizione bizantina, in questo periodo hanno quattro domeniche in cui la liturgia propone delle pericope evangeliche che introducono i fedeli ai diversi aspetti spirituali vissuti poi nella Quaresima. In queste righe vogliamo leggere il canone (composizione poetica cantata nel mattutino) di queste quattro domeniche. La prima delle domeniche si chiama del Fariseo e del Pubblicano, dalla pericope di Lc 18,10-14. Nell'ufficiatura del mattutino, il canone di questa domenica è attribuito a Giuseppe di Nicomedia (IX sceolo). Dall'inizio l'autore fa notare come le parabole di Cristo sono tutte un'esortazione del Signore stesso alla conversione: "Il Cristo, inducendo tutti con le sue parabole a corregge­re la propria vita, solleva il pubblicano dalla sua umilia­zione, umiliando il fariseo che si era innalza­to". Cristo stesso è modello di umiltà nella sua incarnazione: "Perfetta via di elevazione ha reso il Verbo l’umil­tà, umiliando se stesso sino ad assumere forma di servo. Sempre guidandoci alla divina elevazione, il Salva­to­re e Sovrano, come mezzo per elevarci, ci ha indicato l’umiltà: egli ha infatti lavato con le proprie mani i piedi dei discepo­li". Tutto il testo liturgico è una esortazione all'umiltà presentata come la prima delle virtù con cui iniziare il periodo dei digiuni: "Vedendo che dall’umiliazione viene una ricompensa che eleva, mentre dall’innalzarsi, una tremenda caduta, emula quanto ha di bello il pubblicano e detesta la malizia farisaica. Dalla temerità vien svuotato ogni bene, mentre dall’umiltà vien purificato ogni male: abbracciamola dunque, o fedeli…". Il canone è pervaso dal movimento tra l'alterigia che abbassa e l'umiltà che innalza: "L'umiltà ha sollevato il pubblicano che, mesto e confuso per i suoi peccati, gridava al Creatore il suo ‘Sii propizio’. L’alterigia ha invece fatto decadere dalla giu­stizia lo sciagurato fariseo millantato­re: emuliamo dunque il bene, astenendoci dal male… Imitiamo il pubblicano dunque, tutti noi che siamo caduti nelle profondità del male; gridiamo al Salvatore dal profondo del cuore…". La seconda delle domeniche prende il nome di domenica del Figliol prodigo, dalla pericope di Lc 15,11-32. Il canone del mattutino è attribuito a Giuseppe l'Innografo (+886). A partire dalla parabola del Figliol prodigo, il canone sottolinea la misericordia e l'amore di Dio che accoglie come padre il peccatore che ritorna a lui: "La divina ricchezza che un tempo mi avevi dato, l’ho malamente dissipata: mi sono allontanato da te, vivendo da dissoluto, o Padre pietoso: accogli dunque anche me convertito… Apri dunque le tue braccia paterne, e accogli anche me, Signore, come il figliol prodigo…". Cristo stesso, in diverse strofe viene presentato come padre che accoglie nella misericordia: "Totalmente uscito da me stesso… accoglimi, o Cristo, come il figliol prodigo… Aprendo compassionevole le braccia, accoglimi, o Cristo, ora che torno dalla regione lontana del peccato e delle passioni". La misericordia di Cristo viene elargita anche per le preghiere e l'intercessione dei santi per il peccatore: "Per le preghiere degli apostoli, o Signore, dei profeti, dei monaci, dei martiri venerabili e dei giusti, perdonami tutte le colpe con le quali ho mosso a sdegno la tua bontà, o Cristo: affinché a te io inneggi e a te io renda gloria per tutti i secoli". L'autore mette in un parallelo quasi contrastante la povertà di Cristo nel suo uscire dal seno paterno per la sua incarnazione, e quella del figliol prodigo nel suo allontanarsi dalla casa paterna: "Gemi dunque, infelicissima anima mia, e grida a Cristo: O tu che volontariamente per me ti sei fatto povero, arricchiscimi, Signore, ora che sono divenu­to povero di ogni opera buona, con abbondanza di beni, perché tu solo sei buono e pieno di misericordia". La terza delle domeniche si chiama del Giudizio finale, dalla pericope di Mt 25,31-46. Le odi del mattutino sono composte da Teodoro Studita (IX sec.), e in modo molto insistente e ripetitivo mettono in evidenza da una parte l'immagine quasi paurosa del giorno del giudizio, e dall'altra la richiesta di misericordia e di perdono presso Dio: "Tremo pensando al giorno tremendo della tua arcana parusia, con timore già vedo questo giorno in cui ti siederai per giudicare i vivi e i morti, o mio Dio onnipotente… Quando verrai, o Dio, con miriadi e migliaia di celesti principati angelici, concedi anche a me infelice, o Cristo, di venirti incontro sulle nubi… Possa anch’io misero udire la tua voce desiderata che chiama i tuoi santi alla gioia…" La quarta delle domeniche invece viene chiamata dei Latticini, dal fatto che indica l'inizio del grande digiuno, con l'astinenza anche dei latticini. Si legge la pericope Mt 6,14-21. Il canone del mattutino è un testo anonimo, e si sofferma nella contemplazione dell'espulsione di Adamo ed Eva dal paradiso e del loro cammino di ritorno ad esso, cammino che diventa tipo ed immagine di quello quaresimale verso la Pasqua di Cristo. È sempre Adamo che parla in prima persona, piangendo il proprio peccato ed evocando le delizie del paradiso da cui è stato allontanato: "Su, misera anima mia, piangi ciò che hai fatto, ricordando oggi come nell’Eden ti sei lasciata spogliare e sei stata perciò cacciata dalle delizie e dalla gioia senza fine". Lungo il canone, l'Eden è sempre cantato come dono dell'amore e della condiscendenza di Dio verso l'uomo: "Per il tuo grande amore e la tua pietà, o Artefice del creato e Creatore di tutti, dalla polvere un tempo mi desti la vita, e poi mi comandasti di cantarti insieme ai tuoi angeliPer la tua sovrabbondante bontà, o Artefice e Signore, tu pianti in Eden il delizioso paradiso, per farmi godere dei suoi frutti splendidi…". Diverse delle odi personificano il paradiso che assieme ad Adamo piange con delle lacrime di pentimento, ed il suono delle sue foglie diventa preghiera: "Prato beato, alberi da Dio piantati, soavità del paradi­so, su di me dalle foglie, come da occhi, stillate lacrime perché sono nudo ed estraniato dalla gloria di Dio…. Non ti vedo piú, non godo piú del tuo soavissimo e divino fulgore, o paradiso preziosissimoPartecipa, o paradiso, al dolore del padrone divenuto povero, e col fruscio delle tue foglie supplica il Creatore che non mi chiuda fuori. O misericordioso, abbi misericordia di colui che ha prevaricato!" Infine il testo si conclude con un parallelo tra l'Eden chiuso dopo il peccato di Adamo ed il costato aperto di Cristo sulla croce: "Vedo il cherubino con la spada di fuoco che ha avuto l’ordine di custodire l’ingresso dell’Eden inaccessibile a tutti i trasgressori, ma tu, o Salvatore, togli per me ogni ostacolo... Confido nell’abbondanza della tua misericordia, o Cristo Salvatore, e nel sangue del tuo fianco divino, col quale hai santificato la natura dei mortali e hai aperto a quanti ti servono, o buono, le porte del paradi­so, chiuse un tempo da Adamo…". Tutto il testo è pervaso dalla piena fiducia nella misericordia divina: "Guida di sapienza, elargitore di prudenza, educatore degli stolti e protettore dei poveri, conferma, amma­estra il mio cuore,… dammi tu una parola, o Parola del Padre, poiché, ecco, io non trattengo le mie labbra dal gridare: O misericordioso, abbi misericor­dia di colui che ha prevaricato!"

P. Manuel Nin, P. Collegio Greco, Roma

sabato 26 febbraio 2011



Chi mi offre come sacrificio il ringraziamento, mi glorifica, e a chi regola bene il suo comportamento, io farò vedere la salvezza di Dio (Sal 50,23)

L’uomo nasce di un atto d’amore reciproco benedetto da Dio Padre, destinato ad un percorso d’amore verso i suoi confratelli, cercando di vivere secondo la parola di Dio, non soltanto secondo la parola ma secondo i fatti.

Tutti i cristiani sono i figli amati da Dio e dai genitori che li hanno generati, per cui ognuno di noi è obbligato ha tener conto dei propri cari, non come peso ma come ringraziamento per tutto quello che hanno fatto per ognuno di noi, e per averci messi al mondo. Se dobbiamo comportarci così con i nostri genitori, allora come dovremmo comportarci con il nostro Creatore?

Una domanda chiave per la vita di ogni cristiano e soprattutto per noi come seminaristi, preti e vescovi, servitori del popolo di Dio affidato ad ognuno di noi. Come possiamo ringraziare Dio per tutto che ha fatto per tutti e per ognuno di noi?

Secondo la parola divina lo possiamo fare vivendo un solo atto, che è l’amore. Cristo ci ha dato una parola chiave che è la nostra carta d’identità tra la gente dicendo: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,34-35). Un grande comandamento ed è una grande richiesta, perché ognuno di noi oggigiorno tiene alla sua dignità (diaconale, presbiterale, episcopale…) e dimentica la salvezza delle anime affidate a lui con l’imposizione delle mani dell’ordinante che rappresenta i santi discepoli, ricevendo lo Spirito Santo che sarà la sua guida nella vita spirituale ed sacramentale. Allora abbiamo tanto da fare ogni giorno verso noi stessi e verso i nostri fratelli, provando di vivere in pace interna in primo luogo, rafforzandola colla preghiera personale «Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa» (Mt 6,6), che sarà riflessa nel nostro comportamento quotidiano e così cerchiamo di vivere in secondo luogo la pace esterna con i nostri fratelli, in collegio, in episcopio o in curia. Ma dobbiamo renderci conto che tutto parte da lì dentro, dal pensiero nostro verso noi stessi, dalla nostro modo di vita in camera e dopo con gli altri.

Allora ringraziare Dio è un lungo percorso quasi per tutta la vita. Perché pure quando muore l’uomo, muore per un scopo d’amore, per tornare alla Casa paterna dove sarà così leggero perché non avrà niente addosso da portare con se che i suoi azioni, perché tutto è vanità, perché «I giorni dei nostri anni arrivano a settant'anni; o, per i più forti, a ottant'anni; e quel che ne fa l'orgoglio, non è che travaglio e vanità; perché passa presto, e noi ce ne voliamo via» (Sal 90,10). Per questo in quanto stiamo all’inizio della Grande Quaresima, mettiamoci un attimino a guardare noi stessi, ognuno nella propria camera da soli col nostro Dio ringraziandolo per tutto ciò che abbiamo avuto fin’ora, chiedendogli perdono, così che possa guidarci lo Spirito Santo per poter vivere in pace interna ed esterna questo momento di preghiera, sperando che alla fine ci dia la grazia di poter godere la sua resurrezione non solo a livello spirituale ma anche e soprattutto a livello comunitario amandoci gli uni gli altri, cercando di vivere come i discepoli al servizio con umiltà fino alla morte per la salvezza di tutti.

«Così parla il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto, il digiuno del quinto, il digiuno del settimo e il digiuno del decimo mese diventeranno per la casa di Giuda una gioia, un gaudio, feste d'esultanza; amate dunque la verità e la pace». (Zac 8,19)

di Michel Skaf, alunno P.C.G.

giovedì 24 febbraio 2011

24 Febbraio: Primo e secondo ritrovamento del venerando capo del santo profeta e precursore Giovanni Battista



Due monaci, attorno alla metà del IV secolo, si recarono in pellegrinaggio a Gerusalemme in visita al Santo Sepolcro. Qui, dopo un'apparizione, nella casa di Erode ritrovarono il capo del Precursore. Dalle loro mani il capo passò in possesso di un vasaio che lo venerò con zelo e lo portò nella città di Emesa. Sentendosi oramai prossimo alla morte il vasaio lasciò la preziosa reliquia alla sorella perché la custodisse. Dopo la morte della donna molte persone, nel tempo, entrarono in possesso della reliquia, fino ad Eustachio, un sacerdote e monaco eretico, che ne sfruttò i miracoli per sostenere la sua eresia e guadagnarne denaro. Per questo motivo gli Ortodossi lo scacciarono dalla grotta in cui viveva, ma il capo del Precursore, all'insaputa di tutti, vi rimase nascosto. Qui restò fino al tempo degli Imperatori Valentiniano e Marciano (450-457), quando, dopo diverse manifestazioni miracolose, venne ritrovata l'urna contenente il santo capo. Consegnato a Uranio, Vescovo di Emesa, il capo del Precursore operò molti miracoli e guarigioni.







mercoledì 16 febbraio 2011

Sinodo dei vescovi della Chiesa Ortodossa Russa



Dal 2 al 4 febbraio si è svolta la sessione ordinaria del Sinodo dei vescovi della Chiesa Ortodossa Russa, quasi in parallelo a quella del Sinodo permanente della Chiesa Cattolica Italiana.
I due organismi hanno un valore ecclesiologico analogo, anche se il Sinodo ortodosso (o “la” Sinodo al femminile, come amano sottolineare gli orientali, per esaltare la coincidenza tra collegialità e natura della Chiesa) si considera il vertice della struttura ecclesiastica, mentre quello cattolico è subordinato al governo del Papa e della Sede Apostolica. In entrambi i casi i vescovi hanno provveduto a dare risposte concrete alle necessità delle chiese locali e delle varie strutture pastorali, con le loro esigenze materiali e spirituali, le nomine e le definizioni funzionali necessarie allo svolgimento delle attività della Chiesa nella propria nazione o “territorio canonico”.
C’è in effetti una grande sintonia nelle espressioni ordinarie della vita della Chiesa, in Oriente come in Occidente; la Chiesa Cattolica ha ormai digerito le massicce dosi di “sinodalismo” imposte dal Concilio Vaticano II, e al di là della esposizione mediatica, il ruolo del papato romano viene sistematicamente declinato e coordinato secondo il ritmo della gestione collegiale delle Chiese nazionali e continentali. D’altra parte, la Chiesa Ortodossa ha rapidamente assunto negli ultimi venti anni, ormai libera dall’oppressione di regimi ideologicamente avversari, tutta una serie di modalità di azione ed espressione tipiche delle Chiese occidentali: una dottrina sociale legata alle vicende dell’attualità, una gestione delle strutture ecclesiastiche più moderna ed efficiente, e soprattutto una concezione della comunione ecclesiale fortemente identificata nelle figure primaziali (patriarca, metropolita, vescovo diocesano). Potremmo dire semplificando che la Chiesa Cattolica è diventata più “ortodossa”, mentre le Chiese Ortodosse hanno oggi un aspetto più “cattolico”.
Dimostrare questa tesi richiederebbe una lunga analisi, ma l’impressione può essere confermata dalla citazione delle parole del patriarca di Mosca Kirill, in chiusura del Sinodo russo: “La comunione (sobornost’) presuppone la partecipazione di un’ampia cerchia di persone, ma allo stesso tempo la custodia indefessa della verticale gerarchica dell’autorità nella Chiesa. È l’unione di queste due componenti a formare quella forza che aiuta la Chiesa, superando tutte le avversità e le peripezie storiche, ad esistere ormai da due millenni”. L’insistenza del Patriarca sulla comunione/sobornost’, secondo una classica definizione russa, si comprende infatti alla luce della seconda categoria, quella della “verticale dell’autorità” (espressione preferita del presidente Putin per definire la democrazia russa), per dare alla Chiesa la sua “forza”, cioè la capacità di conservarsi nella storia e di influire sugli eventi sociali e politici. La celebrazione della sopravvivenza della Chiesa ha un particolare significato alla luce degli eventi della storia russa del XX secolo, e insiste su un concetto particolarmente caro al patriarca di Mosca: la Chiesa deve essere coinvolta nella formazione delle strutture sociali. Questo concetto, cavallo di battaglia della Chiesa latina in tutto il secondo millennio cristiano, viene ora rilanciato dai russi come risposta alle sfide del terzo millennio; la differenza starebbe nella capacità orientale di essere presente nel mondo senza prevaricare il potere laico, come invece hanno fatto i cattolici nella storia d’Europa.
Non sappiamo dire quanto le altre Chiese ortodosse siano effettivamente allineate sulle posizioni del Patriarcato di Mosca, che si pone come punto di massima convergenza tra le tradizioni orientali e occidentali. Mentre il papa Benedetto XVI, il cardinale Bagnasco e i vescovi italiani richiamano la necessità di una condotta morale irreprensibile per chi opera responsabilmente nella gestione della cosa pubblica, il patriarca Kirill con i suoi collaboratori propongono un codice morale più rigoroso nella vita della società russa, fino a richiedere un “codice d’abbigliamento” che freni la deriva libertina dell’immagine di chi ha responsabilità pubbliche, e in generale della vita della popolazione. È l’ecumenismo della globalizzazione.

Il cardinale Sandri: nel nuovo Egitto i cristiani possano contribuire alla ricerca del bene comune




In Egitto, dopo le dimissioni di Hosni Mubarak, ha preso avvio una nuova fase politica. E’ stata formata una Commissione incaricata di emendare la Costituzione ed il Consiglio supremo delle Forze armate ha sciolto il Parlamento. Il maresciallo Huseein Tantawi ha assunto la rappresentanza del Paese. Il periodo di transizione dovrebbe portare, a settembre, all’appuntamento con le urne. Ma quale significato e valore possono avere questi profondi cambiamenti per la comunità cristiana d’Egitto? Gudrun Sailer lo ha chiesto al cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali:

R. – Queste svolte possono determinare delle situazioni di difficoltà, ma possono anche rappresentare fermenti di speranza per una situazione nuova, ancora non del tutto definita, ma che può far presagire speranze per il popolo e per la nazione. La Chiesa copta ortodossa ha circa 8-10 milioni di fedeli, mentre la nostra Chiesa copta cattolica rappresenta una piccola minoranza, composta da circa 200-250 mila fedeli. Il Santo Padre stesso ha voluto onorare questa Chiesa nominando cardinale il patriarca Naguib. Per la Chiesa copta, sia ortodossa che cattolica, questa svolta rappresenta un momento di grande importanza, poiché permette ai copti ortodossi di poter esprimere la propria parola come cristiani e ai nostri copti cattolici come cattolici, nella speranza che tutto questo porti alla tranquillità, alla convivenza, alla ricerca del bene comune per tutti gli egiziani, così da poter costituire una società che sia degna dell’uomo, più giusta e che dia a tutti l’opportunità di poter partecipare alla vita pubblica.

D. – Parlando di bene comune: sono in corso i primi tentativi di rinnovare la Costituzione egiziana, cosa indispensabile per porre fine alla discriminazione delle minoranze, fra cui i cristiani in primis. Secondo lei, saranno gradite e saranno udite le opinioni dei copti in merito?

R. – Penso che certamente dovrebbero essere ascoltati e spero anche che queste opinioni siano gradite. Spero anche che nella Costituzione vengano posti quei principi fondamentali che riguardano la dignità dell’uomo e della donna; la libertà di tutti; la convivenza civile nel rispetto degli altri e nel rispetto della legge.

D. – Purtroppo c’è anche chi teme che in Egitto possa esserci un nuovo Iraq: una situazione relativamente tranquilla e stabile seguita, dopo la svolta politica, dalla persecuzione e dall’esodo dei cristiani. Che cosa si può fare per prevenire questa situazione?

R. – Certamente non è auspicabile che si possa ripetere un nuovo Iraq e quindi una nuova situazione che porti poi all’esodo dei cristiani, all’esodo di coloro che non vengono riconosciuti come cittadini uguali agli altri. Nel caso dell’Iraq, questa insicurezza ha portato a questo esodo, a questa partenza che – diciamo – impoverisce la nazione. La nazione, senza i cristiani, non è più la stessa: e questo lo dicono gli stessi musulmani, perché nella storia dell’Iraq c’è questo “marchio” della presenza cristiana. Io mi auguro che non succeda lo stesso in Egitto! Spero anzi che la saggezza che hanno gli egiziani - e che hanno dimostrato anche durante le manifestazioni, che si sono svolte in modo pacifico, nelle quali hanno espresso questo desiderio di cambiamento - sia illuminante per i passi futuri e riesca a portare ad un grande Egitto, così come è stato per tutta la sua storia. L’Egitto è chiamato ad essere una grande nazione in Africa, anche nel rapporto con i vicini. Spero possa essere soprattutto una patria nella quale tutti possano vivere vedendo rispettati i propri diritti fondamentali, la propria libertà, la democrazia e il rispetto degli altri.

D. – Negli ultimi anni la situazione dei copti in Egitto sembra addirittura peggiorata in termini di attacchi terroristici. La svolta attuale sarà in grado di invertire la radicalizzazione della popolazione egiziana?

R. – Io penso che le autorità che prenderanno in carico la nazione in questo periodo di transizione, così come quelle che poi verranno, cercheranno - come loro stessi hanno già promesso – di proteggere e difendere tutti gli abitanti del Paese, in particolare i cristiani, dall’insicurezza, dagli attacchi o dalle persecuzioni che possano essere commesse contro di loro e che si sono manifestate anche nei recenti attacchi soprattutto contra la Chiesa copta di Alessandria e che hanno portato tanta sofferenza ai copti ortodossi e a tutti noi che siamo fratelli nella fede in Gesù Cristo. Pertanto io spero che le autorità di questo momento di transizione e le autorità future riescano a garantire a tutti i cittadini - e soprattutto alle minoranze che possono maggiormente soffrire per questa insicurezza e per questi attacchi – sicurezza e questo non per motivi di privilegio, ma soprattutto perché sono tutti cittadini egiziani e possono offrire la loro collaborazione, tutto il loro patrimonio di ricchezza, di dottrina e di vita a questa grande nazione che è l’Egitto. (mg)

© www.radiovaticana.org - 14 febbraio 2011


sabato 12 febbraio 2011

Rinuncia dell’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, cardinale Lubomyr Husar

S.Eminenza Lubomyr Husar degli Ucraini


Il Papa ha accettato, a norma del can. 126 § 2 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali (CCEO), la rinuncia del cardinale Lubomyr Husar all’ufficio di arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč (Ucraina). L’amministratore della Chiesa arcivescovile maggiore sarà mons. Ihor Vozniak, arcivescovo di Lviv degli Ucraini, al quale spetterà la convocazione del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Greco Cattolica Ucraina per l’elezione dell’arcivescovo maggiore.



domenica 6 febbraio 2011

La Riforma Liturgica Bizantina di Thomas Pott


Nella prima parte di questo lavoro, Thomas Pott dimostra che la riforma liturgica voluta, a differenza di organico, lo sviluppo spontaneo di una tradizione liturgica, non è una novità nel rito bizantino. Nel secondo, egli esamina quattro esempi di riforma, descrive il contesto culturale e religioso di ciascuno, e si concentra sul fondamento teologico sottostante ogni caso: 1) la riforma Studita guidati da San Teodoro e dei suoi successori a partire dalla fine del secolo ottavo , 2) lo sviluppo del triduo pasquale dall '8 al 13 ° secolo, 3) lo sviluppo della protesi dal 11 ° al 14 ° secolo, e infine 4) tre riforme 17 ° secolo tra cattolici ruteni, tra gli ortodossi di Kiev sotto il Metropolita Moghila Pietro, ed a Mosca sotto il Patriarca Nikon. Gli studenti di liturgia troveranno presentazioni chiare e utili di diversi periodi chiave dello sviluppo liturgico bizantino. Di importanza ancora maggiore è la discussione sulla natura stessa della riforma liturgica. Le linee guida che Pott sviluppa per classificare e valutare i vari tipi di riforma sono particolarmente utili e possono essere applicate anche alle riforme in tutte le tradizioni cristiane orientali e occidentali.

Thomas Pott, un monaco del monastero della Esaltazione della Santa Croce in Chevetogne (Belgio), è professore di Teologia liturgica di Sant 'Anselmo Università e presso il Pontificio Istituto Orientale a Roma.

Paul Meyendorff, traduttore e curatore della serie, è il p. Alexander Schmemann Professore di Teologia Liturgica di San Vladimir ortodossa Theological Seminary.

dal sito: www.svspress.com

venerdì 4 febbraio 2011

Eventi


Pontificio Istituto Orientale

Cattedra di Teologia Orientale
Sir Daniel & Countess Bernardine Murphy Donohue
Conferenza pubblica
del
Rev. Prof. John BEHR

Communion and Synodality

24 febbraio 2011, ore 16:00
nell'Aula Magna dell'Istituto

martedì 1 febbraio 2011

Mercoledì 2 Febbraio: Presentazione di Nostro Signore Gesù Cristo al Tempio.

Υπαπαντής του Χριστού

La festa dell'Ypapantì, o dell'Incontro di Nostro Signore, Dio e Salvatore Gesù Cristo, ha avuto origine a Gerusalemme. Da qui la festa si è diffusa in tutta la Chiesa. Nella Chiesa d'Occidente è stata mantenuta la solenne processione e la benedizione delle candele, come avveniva a Gerusalemme nel IV secolo, da cui il nome Candelora.

Questa festa, che chiude il ciclo della Natività secondo la carne di Nostro Signore, ci ricorda che il quarantesimo giorno dopo la nascita del suo figlio primogenito, Maria lo portò nel Tempio, secondo quanto prescritto dalla Legge mosaica, per offrirlo al Signore e per riscattarlo attraverso il sacrificio di una coppia di tortore o di colombi (Lc 2,22-37). In questa occasione colui che in precedenza aveva dato la Legge a Mosè si sottomette ai precetti della Legge, per testimoniare come, per amore degli uomini, si sia fatto uno di loro. Inoltre l'offerta di Gesù al Padre, compiuta nel Tempio, prelude alla sua offerta sacrificale sulla croce. Questo momento rappresenta anche la prima manifestazione di Gesù al suo popolo attraverso la persona di Simeone, ecco perché la festa si chiama "Ypapantì-Incontro".

Simeone, uomo ormai anziano, era da lungo tempo in attesa della salvezza di Dio, ma, per rivelazione divina, sapeva che non sarebbe morto fino a quando non avesse visto il Messia. Quel giorno, guidato dallo Spirito Santo, si recò al Tempio e quando vide Gesù, riconoscendolo, disse:

Ora lascia, o Sovrano, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele” (Lc. 2,25-31).



Antifone:

Εξηρεύξατο η καρδία μου λόγον αγαθόν, λέγω εγώ τα έργα μου τω βασιλεί.
Effonde il mio cuore una soave parola, canto i miei versi al re.


Περίζωσαι την ρομφαίαν σου επί τον μηρόν σου, Δυνατέ, τη ωραιότητί σου και τω κάλλει σου.Σώσον ημάς Υιέ Θεού, ο εν αγκάλαις του δικαίου Συμέών βασταχθείς, ψάλλοντάς σοι Αλληλούια

Cingiti la tua spada al fianco, o Fortissimo, del tuo splendore e della tua maestà. O Figlio di Dio, che sei stato portato tra le braccia del giusto Simeone, salva noiche a te cantiamo: Alliluia.


Ακουσον, θύγατερ, καί ίδε, και κλίνον τό ούς σου, και επιλάθου του λαού σου, καί τού οίκου του πατρός σου

Ascolta, o figlia, guarda e china il tuo orecchio, e dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre.


Apolitikion:

Χαίρε, Κεχαριτωμένη Θεοτόκε παρθένε εκ σου γαρ ανέτειλεν ο ήλιος της δικαιοσύνης, Χριστός ο Θεός ημών, φωτίζων τους εν σκότει. Ευφραίνου και συ, πρεσβύτα δίκαιε, δεξάμενος εν αγκάλαις τον ελευθερωτήν των ψυχών ημών χαριζόμενον ημίν και την ανάστασιν.

Salve, o piena di grazia, Madre di Dio e Vergine, poiché da te spuntò il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, illuminante coloro che giacevano nelle tenebre. Rallegrati anche tu, giusto Vegliardo, che hai ricevuto tra le braccia il Redentore delle anime nostre, che ci dona anche la Resurrezione.


Kondakion:

Ο μήτραν παρθενικήν αγιάσας τω τόκω σου, και χείρας του Συμεών ευλογήσας, ως έπρεπε, προφθάσας και νυν, έσωσας ημάς, Χριστέ ο Θεός. Αλλ’ ειρήνευσον εν πολέμοις το πολίτευμα, και κραταίωσον βασιλείς, ους ηγάπησας, ο μόνος φιλάνθρωπος.

Tu che hai santificato con la tua nascita il seno della Vergine ed hai benedetto come conveniva le mani di Simeone, sei venuto e hai salvato anche noi, Cristo Dio. Conserva nella pace il tuo popolo e rendi forte coloro che ci governano, o solo amico degli uomini.



Megalinarion

Θεοτόκε η ελπίς, πάντων των Χριστιανών, Σκέπε, φρούρει, φύλαττε, τους ελπίζοντας εις σε. Εν νόμω σκιά και γράμματι, τύπον κατίδωμεν οι πιστοί’ πάν άρσεν το την μήτραν διανοίγον, άγιον θεω’ διό πρωτότοκον Λόγον, Πατρός Ανάρχου Υιόν, πρωτοτοκούμενον Μητρί, απειράνδρω μεγαλύνωμεν

Madre di Dio, speranza di tutti i cristiani, proteggi, difendi, custodisci coloro che sperano in te. Nella legge, ombra e lettera, noi credenti abbiamo visto la figura: ogni primogenito maschio sarà consacrato a Dio; perciò noi magnifichiamo il Verbo primogenito, il Figlio del Padre eterno, divenuto primogenito della Madre ignara di nozze.


Απολυτίκιον Υπαπαντής