Nel Dialogo sul sacerdozio, scritto secondo il modello letterario dei dialoghi platonici, Giovanni Crisostomo nel libro afferma che il sacerdote è colui che ama Cristo, e questo amore viene chiesto dallo stesso Cristo nella persona di Pietro: "E qual maggior guadagno, soggiunsi - scrive l'autore - che l'essere venuti a compiere quelle opere che Cristo stesso disse di essere segni dell'amore verso di lui? E, rivolgendosi al corifeo degli apostoli: Pietro, dice, mi ami tu? E affermandolo questi soggiunse Cristo: Pascola le mie pecore". E aggiunge il Crisostomo molto acutamente: "Dice Cristo infatti: "Pietro mi ami tu più di costoro? Pascola le mie pecore". Poteva per altro dirgli: "Se mi ami, pratica il digiuno, il sonno su nuda terra, le vigilie ininterrotte, assumi la difesa degli oppressi, sii come un padre agli orfani e come un marito alle madri loro"; invece, lasciando da parte tutte queste cose, che dice? "Pascola le mie pecore"". Notiamo qui la centralità del rapporto tra amore a Cristo e servizio e pascolo del gregge. Non che il Crisostomo disprezzi il digiuno, le veglie, il dormire a terra, ma tutto questo è dopo il servizio, il pascolo del gregge. Il sacerdote, il pastore, poi deve saper curare e guarire le malattie del gregge. Tre cose rammenta l'autore: che le malattie tra le pecore sono segrete, cioè di solito nascoste e che bisogna che il pastore abbia l'occhio di scoprirle; che il pastore deve aver conto dell'atteggiamento del malato, e rispettarne la libertà, rammentandogli certamente le conseguenze. Lui, il pastore, può applicare rimedi, medicine, lenitivi, ma, aggiunge Giovanni Crisostomo: "Va bene la facoltà di legare, di interdire l'alimento, di bruciare e tagliare; ma la facoltà di accogliere il rimedio, risiede non in chi porge la medicina, sebbene nell'infermo stesso". Afferma che il pastore deve aver più la pazienza e la persuasione che non la forza: "Soprattutto poi ai cristiani non è permesso di correggere a forza gli errori dei colpevoli. Tali individui debbono essere corretti con la persuasione anziché con la violenza, sono necessari al pastore molto lavoro, molta fortezza e molta tolleranza". Il vescovo di Antiochia insisterà spesso su questa pedagogia necessaria al pastore e nel principio di libertà delle pecore più che dell'imporre; la disciplina deve essere un bisogno, non un peso. Nel libro, che è la parte centrale del testo, troviamo la descrizione della grandezza del sacerdozio cristiano. Esso è sempre un dono di Dio dato per mezzo dello Spirito, e dato a un uomo. Il Crisostomo sottolinea sempre questo equilibrio tra il dono di Dio e la realtà umana, concreta dell'uomo: "Il sacerdozio si compie sulla terra, ma è nell'ordine delle cose celesti; e con ogni ragione, poiché non un uomo, non un angelo, non un arcangelo, né altra forza creata, ma lo stesso Paraclito ordinò quest'ufficio, ispirando quelli che tuttora stanno nella carne a ideare una funzione propria degli angeli". In modo speciale per Giovanni questo dono di Dio viene messo in evidenza nella celebrazione dei sacramenti, e parla concretamente della celebrazione dell'eucaristia, del battesimo e del perdono dei peccati. Descrive in modo molto toccante l'abbassamento, la condiscendenza di Dio, sia nel momento dell'epiclesi, quando il sacerdote davanti ai doni prega e invoca lo Spirito che, come il fuoco invocato da Elia sugli animali offerti (cfr. 1 Re 18, 22-30), scende e santifica i doni; sia pure nel momento in cui i fedeli ricevono nella mano i santi doni, li stringono a sé, li portano fino agli occhi.
Il sacerdote è padre per il gregge in quanto è colui che genera i figli nel battesimo; e qui è interessante notare come il dottore della Chiesa sottolinei questa dimensione del vescovo che genera dei figli nel battesimo: "A loro infatti, a loro fu affidata la generazione spirituale, e il partorire per mezzo del battesimo; per mezzo loro rivestiamo il Cristo, siamo congiunti al Figlio di Dio, e fatti membri di quel beato capo". Il sacerdote infine è colui che perdona i peccati. Nello stesso libro iii, Giovanni Crisostomo fa un elenco dei vizi oppure dei pericoli che possono capitare al sacerdote: la vanagloria - il più funesto, dirà il Crisostomo - la compiacenza per gli sconvenienti dei propri colleghi e il rammarico per i loro successi, disprezzo dei poveri e l'ossequiosità per i ricchi, la perdita della libertà. Diverse volte ancora nel Dialogo il predicatore insisterà in questo poter agire in tutto con libertà. Il sacerdote, poi, non dovrà dimenticare che i suoi difetti si vedono e vigilare, dice l'autore, che nessuno gli possa dare un colpo mortale.
Il Crisostomo parla più dei vizi che delle virtù dei sacerdoti; comunque ne indica diverse. E, tra le altre, indica la prudenza e soprattutto dice che il sacerdote deve essere intelligente e anche sveglio, cioè saper prevedere e anticipare i problemi, sia degli altri, sia i propri. Quindi, sempre nel libro iii, il santo di Antiochia mette il sacerdote, il pastore, di fronte, in qualche modo al dilemma, tra le virtù ascetiche più preclare e la grandezza di anima che gli è richiesta; in fondo è un paragone, non un'opposizione, tra la vita monastica e la vita pastorale. Giovanni Crisostomo amerà sempre moltissimo la vita monastica e la difenderà e la promuoverà, ma mai la metterà al di sopra della vita pastorale. Sono due realtà diverse. Giovanni tende a non opporre ma a ben differenziare le virtù del monaco da quelle del vescovo, sbilanciandosi verso una chiara simpatia verso quest'ultimo: "Noi vediamo che non è per nulla difficile il disprezzo dei cibi, delle bevande e dei soffici letti, specialmente a coloro che menano una vita rustica e furono allevati così fin dalla tenera età, come anche a molti altri quando la disposizione fisica e la consuetudine ha abituato alla asprezza di queste cose. Ma sopportare l'ingiuria, l'insolenza, i dileggi dagli inferiori e i biasimi dai superiori, è molto difficile".
Lungo i libri iv e v, si sottolinea la necessità che il sacerdote sia un buon predicatore. Il dono della parola è importante per colui che pascola una comunità, cioè per colui che la deve difendere contro gli attacchi delle fiere - le eresie - e Giovanni Crisostomo lo presenta come un'arma di cui il pastore deve essere munito. Quest'arma, il dono e l'uso della parola, ha tre punti fondamentali che il santo sottolinea chiaramente: conoscenza della Sacra scrittura e contatto con essa, e Giovanni cita Paolo: "La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente" (Colossesi 3, 16); conoscenza della realtà teologica, della fede, della sua Chiesa, ed elenca le diverse eresie che hanno toccato e toccano la Chiesa di Antiochia; finalmente avere una base dialettica, cioè una buona formazione anche oratoria. E il luogo, secondo il Crisostomo, dove queste tre basi vengono messe in pratica è l'omelia, la predicazione.
mercoledì 29 giugno 2011
Il Dialogo sul sacerdozio
martedì 21 giugno 2011
In Vaticano, l’84.ma assemblea della Roaco
La Roaco, conclude la nota, esprime un sentito ringraziamento a mons. Leon Lemmens, per anni segretario della Roaco, e recentemente nominato vescovo ausiliare di Bruxelles-Malines, e a mons. Robert L. Stern, che dopo 22 anni di “instancabile servizio” a capo della Catholic Near East Welfare Association e della Pontificia Missione per la Palestina lascia l’incarico.
© www.radiovaticana.org - 21 giugno 2011
lunedì 13 giugno 2011
Dalle Chiese Orientali...
venerdì 10 giugno 2011
Sabato 11 Giugno: Commemorazione di tutti i defunti
Nella tradizione bizantina ci sono due ricorrenze particolari nelle quali si commemorano i defunti: la prima è l'odierna, che cade il sabato antecedente la Pentecoste, mentre la seconda cade il sabato precedente la Domenica del Giudizio (o di Carnevale). Ci sono altri giorni dedicati ai defunti, ma hanno valore solo nelle chiese locali. In antrambe le ricorrenze la Chiesa prega per i cristiani che hanno lasciato questo mondo. Il senso di questa preghiera di intercessione a suffragio dei defunti trova la sua massima esplicazione nella Liturgia, quando la comunità riunita insieme al suo sacerdote prega con queste parole:
Dio degli spiriti e di ogni carne che calpestata la morte hai sopraffatto il demonio ed hai largito la vita al mondo, Tu, o Signore, concedi il riposo anche alle anime dei defunti tuoi servi e ponili nel luogo della luce, della letizia, del refrigerio, dove non è dolore né affanno né gemito. Condona a loro ogni peccato commesso in parole, in opere, in pensiero, quale Dio clemente ed amico degli uomini, poiché non vi è uomo che vive e non pecchi. Tu solo, infatti, o Signore, sei senza peccato: la tua giustizia in eterno e la tua parola è verità.
Poiché tu sei la risurrezione, la vita, e il riposo dei defunti tuoi servi, o Cristo Dio nostro, e a te rendiamo gloria, assieme all’eterno tuo Padre, e al santissimo, buono e vivificante Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli, Amìn.
Tropari
Ὁ βάθει σοφίας φιλανθρώπως πάντα οἰκονομῶν, καὶ τὸ συμφέρον πᾶσιν ἀπονέμων μόνε Δημιουργέ, ἀνάπαυσον Κύριε τὰς ψυχὰς τῶν δούλων σου· ἐν σοὶ γὰρ τὴν ἐλπίδα ἀνέθεντο, τῷ ποιητῇ καὶ πλάστῃ καὶ Θεῷ ἡμῶν.
Te che, con profonda sapienza, amorosamente tutto governi e distribuisci a ciascuno ciò che gli è utile, o solo Creatore, concedi il riposo, o Signore alle anime dei tuoi servi, poiché hanno riposto la loro speranza in Te, Creatore e fattore e Dio nostro.
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Σὲ καὶ τεῖχος, καὶ λιμένα ἔχομεν, καὶ πρέσβιν εὐπρόσδεκτον, πρὸς ὃν ἔτεκες Θεόν, Θεοτόκε ἀνύμφευτε, τῶν πιστῶν ἡ σωτηρία.
Te abbiamo qual difesa e riparo e interceditrice ben accetta presso Dio, che hai generato, o Deipara, sposa inviolata, salvezza dei fedeli.
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Mετὰ τῶν Ἁγίων ἀνάπαυσον Χριστέ, τὰς ψυχὰς τῶν δούλων σου, ἔνθα οὐκ ἔστι πόνος, οὐ λύπη, οὐ στεναγμός, ἀλλὰ ζωὴ ἀτελεύτητος.
Assieme ai tuoi santi fa’ che riposino, o Cristo, le anime dei tuoi servi, là dove non vi è affanno, né dolore, né gemito, ma vita sempiterna
mercoledì 8 giugno 2011
Mons. Padovese: Le celebrazioni a Iskenderun e a Tarso
Domenica 5 giugno, solennità dell’Ascensione, a Iskenderun, la Chiesa cattolica turca si riunirà per ricordare il primo anniversario della morte di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico di Anatolia, ucciso il 3 giugno 2010, dal suo autista, Murat Altun. A celebrare, alla presenza di rappresentanti dell’ordine dei Cappuccini, della diocesi di Milano e di Congregazioni vaticane, saranno il nunzio apostolico, mons. Antonio Lucibello, e il presidente della Conferenza episcopale turca, mons. Ruggero Franceschini, che di mons. Padovese ricopre la carica in attesa del successore nominato dalla Santa Sede. Si tratta dell’evento centrale nel quadro di una serie di iniziative volte a ricordare la figura del religioso cappuccino, profondamente legato alla Turchia, al suo popolo, devoto al dialogo interreligioso che ricercò in ogni momento del suo servizio pastorale. Mons. Padovese si prodigò molto, prima, durante e dopo l’Anno Paolino (2008-2009), nel cercare di ottenere dalle autorità turche la chiesa-museo di san Paolo a Tarso come luogo permanente di culto.
Particolarmente significativa è una cerimonia, domani nella chiesa-museo di san Paolo a Tarso, nella quale verranno accesi dei lumi, in ricordo di mons. Padovese, da parte di rappresentanti dell’ambasciata di Turchia a Berlino che lo scorso marzo avevano ricevuto la visita della comunità delle suore “Figlie della Chiesa” di Tarso. Ora la visita viene ricambiata nel nome del vicario ucciso. Con i lumi verranno lette delle intenzioni di preghiera e di dialogo interreligioso. Le stesse religiose, inoltre, confermano al SIR il trend positivo dei pellegrinaggi a Tarso: “è una grande gioia per noi accogliere così tanti pellegrini che da marzo, ormai, ininterrottamente, giungono qui alla chiesa di san Paolo per pregare. Tutti ricordano mons. Padovese che ci guarda e vigila dall’alto. Ogni giorno arrivano gruppi e questa presenza la consideriamo un frutto del grande lavoro di mons. Luigi”.