martedì 20 novembre 2012


I N V I T O

il pontificio collegio greco e
la comunità bizantina di s. atanasio di roma

Nella ricorrenza del centenario dell’Indipendenza dell’Albania
Organizzano

Sabato 24 novembre 2012 - ore 17,00 - via dei Greci 46
una conferenza su
"L'Indipendenza dell'Albania e i Bektashi"
 Relatrice:  Prof.ssa Vittoria Luisa Guidetti
Moderatore:  Prof. Domenico Morelli

  Domenica 25 novembre 2012 - ore 10,30
Chiesa di S. Atanasio via del Babuino, 149
La celebrazione della Divina Liturgia in lingua albanese
sarà presieduta dal Papàs Angelo Prestigiacomo

La S.V. è cordialmente invitata

giovedì 15 novembre 2012

PRETI SPOSATI E PRETI CELIBI: DUE VOLTI DI UN’UNICA VOCAZIONE.


Matrimonio e ordine sacro nel sacerdote sposato:
un’‹‹unica vocazione in due momenti›.



Papas Nicola Cuccia, parroco della Chiesa S. Nicolò dei Greci di palermo,
 sacerdote Uxorato dell'Eparchia di Piana degli Albanesi ( Pa)


Si è tenuto proprio tre giorni or sono, martedi 13 Novembre, a Roma,  presso la “Domus Australia” una Boutique Guest House istituita dalla Chiesa Cattolica d’Australia al fine di garantire un luogo dove poter dimorare per pellegrini australiani in visita a Roma, sita in via Cernaia 14/b, il seminario dal titolo “THE CHRYSOSTOM SEMINAR. Married Priests: Optional celibacy in the Eastern Catholic Churches, past and present”( Preti sposati. Il celibato opzionale nelle Chiese orientali cattoliche: passato e presente). L’evento -secondo quanto hanno riferito gli organizzatori- ha avuto luogo per definire e discutere il problema delle chiese cattoliche orientali statunitensi sulle quali vige l’obbligo di mantenere, per i sacerdoti nativi degli USA, il celibato come prassi obbligatoria; obbligo peraltro ribadito nell’ultima visita ad limina dei vescovi cattolici degli Stati Uniti.
In questa occasione si ha avuto l’opportunità (come dettata da titolo) di discutere sulla presenza della tradizione del clero uxorato all’interno della chiesa cattolica, come pure di analizzare i diversi aspetti e le diverse questioni ad esso connessi.
Tra i relatori chiamati ad intervenire, in tutto cinque, anche il Don Basilio Petrà, professore ordinario di Teologia morale alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze) e professore invitato di Morale patristica greca e Morale delle Chiese Ortodosse in varie istituzioni romane, il quale ha affrontato la tematica intitolata “Preti sposati: una divina vocazione”. È proprio la relazione del Padre Petrà che, in questa sede, vogliamo ripercorrere.
È stato possibile scorgere, nella relazione del prof. Petrà, un excursus contenente due momenti principali: partendo da due essenziali constatazioni (ovvero che “la Chiesa nella sua cattolicità ha sempre affermato che il sacerdozio ministeriale uxorato è un vero e valido sacerdozio” e che “l’ordinazione sacerdotale scaturisce da una chiamata della chiesa che vede nel fedele i segni della divina chiamata”), si è giunti ad affermare anzitutto la sostanziale identità nella “struttura di elezione ministeriale tanto per i candidati al sacerdozio celibatario, quanto per i candidati al sacerdozio uxorato” e, in secondo luogo, a poter considerare (nel sacerdozio uxorato) la vita matrimoniale “non come vocazione in concorrenza e competizione con quella sacerdotale”, ma - come afferma Don Basilio- “come una sola vocazione in due momenti, il secondo del quale (il sacerdozio), include il primo (il matrimonio) ampliandone ed approfondendone alcune direzioni di senso”.
E così, fa notare il Professore, relativamente alla prima constatazione, neppure studiosi che, storicamente, hanno sferrato attacchi contro la disciplina del clero uxorato, hanno osato contestare il fatto della verità del sacerdozio dei sacerdoti sposati. Da notare che anche il concilio Vaticano II, nella Presbyterorum ordinis 16 ha formalmente negato che il celibato sia parte costitutiva del vero sacerdozio sicché quanto contenuto nel suddetto documento, al n. 2 (“i presbiteri in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della chiesa”) può ritenersi legittimamente valido anche per i sacerdoti uxorati.
I sacerdoti uxorati, pertanto, non solo “sono capaci di porre atti sacramentali validi” ma “la chiesa, ordinando preti sposati, riconosce l’origine divina della loro chiamata, una vocazione confermata dal discernimento ecclesiale” afferma il nostro relatore. E se, come disse Paolo VI in un testo che costituirà la nota 66 della Presbyterorum ordinis 11, nella vocazione al sacerdozio ministeriale è da mettere in rilievo la confluenza tra la diretta iniziativa divina (voce divina) e iniziativa divina indiretta (voce della chiesa), allora si dà la stessa struttura di elezione ministeriale tanto per i candidati al sacerdozio celibatario, quanto per i candidati al sacerdozio uxorato. Innanzitutto, sostiene il Padre Basilio, “è evidente che anche nel caso del sacerdozio uxorato si dà la santa vocatio sacerdotale, proprio come quella dei preti celibi”; in secondo luogo, essendo medesima la struttura di elezione dei chiamati allo stesso ministero, altrettanto medesima sarà l’ampiezza di vocazione. A tal rigurado, egli infatti afferma: “la vocazione divina al sacerdozio celibe coinvolge tutta la realtà umana del celibe (corpo, anima, relazioni familiari prossime e lontane, relazioni sociali in generale) allo stesso modo in cui coinvolge tutta la realtà umana del chiamato al sacerdozio uxorato (corpo, anima, spirito, relazioni familiari prossime e lontane, relazioni in generale). Come la vocazione del celibe è originariamente collegata -nel disegno di Dio- con tutta la realtà relazionale che costituisce il contesto della sua  nascita, crescita, maturazione, scelte di vita, vissuto sacerdotale, così allo stesso modo si dà la vocazione dell'uxorato. Come la vocazione del celibe sorge con la persona nel seno materno (per così dire), così la vocazione dell'uxorato nasce nel seno materno e nasce includendo le due vocazioni ex parte Dei”.
A questo punto, Don Basilio fa notare che, nel sacerdote sposato, la sua vita matrimoniale “non è una sorta di vocazione in concorrenza o competizione con quella sacerdotale, come sembrano pensare molti -anche collocati in autorità- . Così continua affermando: ‹Dio -io credo- non rivolge due chiamate concorrenziali alla stessa persona. E credo anche che non si tratti di due chiamate -ambedue divine- indipendenti e parallele›. Ovviamente gli oggetti delle due vocazioni sono diversi e perciò esse non si identificano. Tuttavia, fa notare il nostro relatore, esse hanno molti punti di contatto: “ sono vocazioni sacramentali (matrimonio, ordine); ambedue sono vocazioni che hanno un rapporto con l'amore di Cristo per la Chiesa: il matrimonio è segno/partecipazione all'amore del Cristo sposo offerto per la sua Chiesa, l'ordine costituisce il sacerdote come segno della persona di Cristo capo e pastore della Chiesa, un pastore che nutre la Chiesa con la sua parola, con la sua azione, con la sua vita, una vita donata fino alla morte; ambedue generano un sacerdozio fecondo: il matrimonio costituisce nel sacerdozio nuziale e genitoriale, l'ordine costituisce in una reale paternità 'spiritualmente' generativa in rapporto alla propria comunità. Questi punti di contatto aiutano a intuire come queste due vocazioni non solo non debbano essere viste in concorrenza o parallele, ma possono essere viste nel fedele a ciò chiamato come una sola vocazione in due momenti il secondo del quale include il primo” sicché l’ordinazione non toglie il matrimonio sacramentale, ma rafforza alcuni dei suoi elementi costitutivi (apertura, donazione, comunicazione, ecclesialità e ministerialità), elementi propri del matrimonio, proprio come sottolinea la Familiaris consortio. 


Miklos Verdes,  Eparchia greco-cattolica Ungherese,
celebra il  matrimonio  prima di ricevere l'ordine del diaconato.
Nella dottrina della chiesa, infatti, la famiglia è considerata luogo in cui si esprime la chiesa, una chiesa domestica i cui coniugi sono ministri di un sacramento che li colloca già al servizio di Dio e della chiesa, perché sono appunto chiesa che si realizza nella comunione familiare. Particolarmente toccante l’esempio citato dal prof. Petrà relativamente alle famiglie missionarie: “Oggi si consegna il crocifisso alle famiglie missionarie che vanno nelle missioni al servizio della chiesa. La Chiesa benedice le famiglie che lasciano la loro terra, decidono di sradicare i loro figli portandoli in altre terre, aprendoli ad un futuro totalmente diverso da quello che avrebbero potuto avere nella terra dei loro avi per annunciare il vangelo. Dunque mai come oggi diventa possibile comprendere come il matrimonio e la vita familiare non solo non contraddicono il ministero sacerdotale ma trovano in esso un modo in cui attuare anche il senso cristiano del  matrimonio, un matrimonio aperto al servizio della chiesa e del vangelo”. Ovviamente, tale armonia, non è di facile attuazione, esattamente come non è di facile attuazione la vita cristiana in generale e quella del sacerdozio celibatario.
Anche il Papa Benedetto XVI, in qualche modo, in Ecclesia in Medio Oriente 48 riconosce tale armonia. Egli infatti, dopo aver ricordato “il dono inestimabile” del celibato sacerdotale, ricorda il ministero dei presbiteri sposati che sono una componente antica delle tradizioni orientali. “Vorrei rivolgere il mio incoraggiamento anche a questi presbiteri che, con le loro famiglie, sono chiamati alla santità nel fedele esercizio del loro ministero e nelle loro condizioni di vita a volte difficili” e, al n. 45 così afferma “A tutti [celibi e uxorati] ribadisco che la bellezza della vostra vita sacerdotale susciterà senza dubbio nuove vocazioni che toccherà a voi coltivare”.
E così, giunto al termine del suo intervento, il nostro relatore ci ha condotti, attraverso un magistrale e paideutico percorso, a notare come nel sacerdozio uxorato sia presente un’unica vocazione divina che si scandisce in due momenti. Con queste parole, il Prof. Petrà conclude il suo acuto intervento: “permettetemi di fare un'osservazione generale su gran parte della letteratura celibataria messa in atto negli ultimi anni da vari centri teologici: se leggete tale letteratura vi apparirà chiaro subito un fatto, cioè che essa è elaborata a partire dal convincimento assiomatico che il sacerdozio celibatario sia l'unico sacerdozio esattamente e perfettamente corrispondente al valore simbolico/teologico del sacerdozio ministeriale, per qualcuno anche al significato ontologico dell'ordinazione. Non sorprende che gli autori di tale letteratura trovino alla fine proprio quello da cui partono. In realtà, la riflessione dovrebbe partire diversamente, cioè dalla cattolicità della Chiesa, del suo vissuto e della sua prassi; assumere  innanzitutto questa realtà e su di essa costruire una teologia del sacerdozio, capace cioè di dare ragione adeguata delle sue diverse forme, tutte fatte proprie dalla Chiesa, cioè, per noi, tutte scaturenti dal cuore di Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvati”.



di Mirko D'Angelo, alunno P.C.G.

martedì 13 novembre 2012

Omelia sul Sacerdozio di san Giovanni Crisostomo.





L’omelia di San Giovanni Crisostomo sul sacerdozio è la prima predicata da Giovanni come prete ad Antiochia. È un testo che ha degli aspetti molto validi per noi, seminaristi, studenti, preti, monaci, nelle nostre situazioni ecclesiali odierne; aspetti validi per quanto riguarda la forma -vedere e sentire come un Padre della Chiesa faceva un’omelia- ci serve sempre di esempio; aspetti validi per quanto riguarda il contenuto -cosa ci insegna a noi, nel xxi secolo un autore del iv secolo. Faccio, in primo luogo, un brevissimo cenno sull’au­tore, poi una presentazione dell’Omelia sul Sacerdozio, e quindi cercherò di rilevare alcuni degli aspetti più importanti cui accenna­vo.

Autore.

Originario di Antiochia di Siria, nato nella metà del IV sec., Giovanni ricevete una buona formazione letteraria e cristia­na, la prima nella scuola di retorica pagana della sua città guidata dal famoso retore Libanio, la seconda, quella cristia­na, dalla mano sia di sua madre, sia soprattutto dalla frequentazione assidua della Sacra Scrittura. Dopo il battesimo, ricevuto all'età di 20 anni, fa qualche esperienza di vita monastica, semi eremitica ­per quattro anni ed eremitica poi per due anni; saranno gli anni in cui Giovanni s’impone di approfon­dire e quasi di imparare a memoria la Sacra Scrittura e pure si carica con dei rigori ascetici che li rovineranno per sempre la salute; rimarrà per tutta la sua vita una persona di salute fragile, e in più preoccupa­to -un po fissato- per la sua salute; di questo anche l’iconografia ne dà un’imma­gine chiara. Rientrato in diocesi dopo l'esperienza tra i monaci -e sottolineo il fatto che Giovanni avrà sempre in grande stima la vita dei monaci, e ne parlerà spesso nelle sue omelie-, nell’anno 381 è ordinato diacono e nel 386 viene ordinato prete, all'età più o meno di 40 anni. Ottimo oratore -assieme al suo contem­poraneo Agostino di Ippona sarà sicuramente il più grande predicatore cristiano-, per ben 12 anni ad Antiochia e spesso alla presenza del patriarca della città, prediche­rà le sue più belle omelie. Eletto alla sede patriarcale di Costanti­nopoli nel 398, sarà questa, l'epoca costantinopolita­na, quella più sfortunata della sua vita, benché rimane sempre vivo il grande predicatore. Esiliato dalla sede di Costantinopoli ­in Armenia nel 404, muore nel 407.


Opera. Omelia sul Sacerdozio.
Si tratta sicuramente della prima omelia del Crisostomo fatta nel giorno stesso della sua ordinazione oppure nei giorni immediatamente successivi. L’omelia è fatta alla presenza del vescovo Flaviano di Antiochia e di numeroso clero e popolo antiocheni; è il primo o uno dei primi esempi dell’oratoria di Giovanni Crisostomo, l’inizio di una predicazione durata 18 anni -12 ad Antiochia e 6 a Costantinopoli-, e in essa si delineano già i tratti del grande oratore; durante il periodo del diaconato si era dedito alla catechesi e lì il popolo aveva pregustato già le doti oratorie di quell’uomo fragile in salute ma forte e chiaro nella sua parola.
L’Omelia sul Sacerdozio è un testo assai breve nell’opera di Giovan­ni Crisostomo, che abituerà il suo uditorio a delle omelie che si prolungano per quasi un’ora al mattino con una ripresa al pomeriggio l’omelia sul Sacerdozio è lunga soltanto 8 pagine di testo greco nell’edizio­ne greco-francese di SC-, e ha una struttura molto chiara -pregio delle omelie crisostomiane e magari lo fosse di qualsiasi omelia: il prologo, lo sviluppo del tema e la conclusione; tre parti molto chiare, brevi e concise la prima e l’ultima, più lunga ed elaborata quella centrale. E’un testo utile e valido ancora oggi per noi, sia per il contenuto sia per il fatto che è un bel esempio di come si sviluppa una omelia, e in questo caso non una omelia su un testo biblico ma su un argomento preciso.

Contenuto dell’Omelia sul Sacerdozio.

Prologo. Da buon oratore, Giovanni fa del prologo della sua ome­lia una captatio benevolentiae, cioè un aggancio che attiri l’attenzione del popolo:
E’ vero quello che ci è accaduto? Sono veramente capitate queste cose oppure siamo presi in inganno? I fatti che viviamo, non sono forse un sonno nella notte? Veramente si è fatto giorno e siamo svegli? Chi potrà credere che di giorno, quando tutto il mondo è sveglio e cosciente, un uomo giovane, povero ed indegno, sia stato innalzato a questo livello di autorità?
Malgrado la sua riluttanza, Giovanni Crisostomo indica due cose che lo spingono ad aprire la bocca per il discorso: il popolo è lì, e aspetta la sua predicazione “a bocca aperta”, e poi il prete che predica è qualcuno che “entra nello stadio dell’insegnamento -della didaskali,”; quindi sottolinea queste due cose: il popolo e lì ed è venuto proprio per sentirlo e quindi non può deluderlo, e poi quello che sta per dire, per fare è una didaskali,a un insegnamento. Già nel prologo troviamo questi due aspetti direi notevoli.

Parte centrale del testo.

Il corpo dell’omelia, la parte centrale e più lunga del testo, è divisa in due parti: una prima parte di lode a Dio, e una seconda parte di elogio del vescovo Flaviano.
Le primizie della parola del Crisostomo sono per Dio; al Verbo, egli offre il verbo, la sua parola, parola che vorrà dire preghiera, lode a Dio e anche edificazione dei fedeli:

Vorrei, quindi, adesso che per prima volta parlo nella chiesa, consacrare le primizie di questa lingua (parola) a Dio che ce ne ha fatto dono; e questo infatti è giusto. Poiché bisogna offrire le primizie del frumento e del vino, ma anche le primizie della parola al Verbo, e piuttosto che garbe offrire dei discorsi poiché questi ci appartengono e sono a Dio piacevo­li.

Sempre in questa prima parte di lode a Dio, Giovanni Crisostomo si riconosce peccatore davanti al suo uditorio; e qui non si tratta -o non soltanto- di una forma retorica, ma traspare tutta la concezione ascetica di Giovanni, dell’ideale quasi monastico del cristiano a cui lui rimarrà attaccato tutta la sua vita:

Allo stesso modo che per tessere delle belle corone non basta che i fiori siano puri, ma bisogna anche che lo siano le mani che debbono tesserle, così anche per gli inni santi non bastano parole piene di pietà ma bisogna che sia anche piena di pietà l’anima che deve comporle.

A questo punto Giovanni inserisce un bel commento a alcuni versetti del salmo 148, con un indirizzo tipicamente antiocheno e crisostomiano: belve, uccelli, draghi, rettili... tutti sono ammessi alla lode di Dio; i peccatori soltanto ne possono essere esclusi:

“Lodate il Signore... Voi fiere e ogni specie di bestiame, rettili e uccelli alati...” E mi fermo al pronunciare queste parole... e il mio pensiero si vede turbato e mi viene voglia di piangere amaramente e di fare grandi lamenti. Cosa c’è di più abominevole, dimmi: scorpioni, rettili, draghi... tutti invitati a lodare colui che li ha creati e soltanto, da questo coro santo, ne viene messo da parte il peccatore.

L’unica ragione, allora, -e qui inizia la seconda parte dell’omelia- che lo spinge a lui, peccatore, a predicare, ad aprire la bocca, è l’elogio del padre, cioè del vescovo. La lode che un peccatore può fare è la lode degli uomini santi. Nel vescovo Flaviano di Antiochia sarebbero da lodare tante cose, e Giovanni ne fa un piccolo elenco: i suoi viaggi, le sue veglie, le sue preghiere, la sua sollecitudine per la chiesa antioche­na...
Giovanni Crisostomo si sofferma soltanto in un aspetto, in una virtù di Flaviano: il dominio di se stesso e il disprezzo di una vita facile. Giovanni si tratterrà spesso nella sua predica­zione sul peso che le ricchezze rappresentano nell’ascensione verso il cielo e quindi le ricchezze come peso, come mancanza di libertà personale e libertà di spirito, e cita il testo di Mt 19,24: è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio... Giovanni si trova, però, con un certo imbarazzo nel presentare il caso e l’esempio di Flaviano, perché sembra che era se non ricco almeno di famiglia ricca.
Flaviano, il vescovo, ci dice Giovanni, non ha guardato verso i suoi antenati familiari ma verso i suoi antenati spirituali, cioè i patriarchi veterotestamentari Abramo... e concretamente Mosè. Costui, di famiglia ricca -quella del faraone- fugge verso la povertà del suo popolo. Mosè lascia l’oro del faraone, si umilia a fare dei mattoni... in fondo quello che ne sottolinea il Crisostomo:

...non portava diadema, non indossava la porpora, non era alla guida di una carrozza d’oro... ma aveva calpestato sotto i suoi piedi l’orgoglio...
Sono tre le virtù che Giovanni evidenzia in modo speciale in Flaviano, nel vescovo: in primo luogo, l’abbiamo già visto, è umile -non è orgoglioso malgrado il luogo che occupa e il suo origine familiare ricco.
In secondo luogo, Flaviano è un uomo misurato nelle mortificazioni. In questo punto, il Crisostomo parlerà del digiuno come mortificazione:

Infatti, lui non mortificava il suo corpo fino al punto che il cavallo (il suo corpo) diventasse incapace di renderli alcun servizio; ma neppure lo lasciava correre in un troppo benessere al punto che diventasse incapace di alzarsi a causa della pesantezza...; era attento, allo stesso tempo sia alla salute sia alla disciplina...

In terzo luogo, la terza virtù di Flaviano, è la sua presenza tra i fedeli. Il vescovo è vicino ai fedeli, tra di loro, nelle lotte, nelle fatiche, nei guai. Lui veglia -diventa proprio vescovo per il popolo, e costui cammina in piena sicurezza. Giovanni ci dà una immagine molto Apastorale, nel senso più proprio della parola, del vescovo: lui custodisce con la sua presenza tra il popolo:

Lui siede sul luogo di comando e guarda senza sosta non gli astri del cielo, né le rocce che cadono nell’acqua... ma le trappole dal diabolo... e così mantiene tutti nella sicurezza; e veglia non soltanto sulla nave, ma anche fa tutto quanto può affinché nessuno, tra i naviganti, non abbia a soffrire niente...

Giovanni Crisostomo fa ancora un riferimento a un tema a lui molto caro, cioè il vescovo come padre del gregge, e l’episcopato come una successione in questa paternità episcopale; parlerà del padre di Flaviano in riferimento a Melezio, il suo predecessore ad Antiochia. Quindi l’episcopato come una successione nella paternità del gregge, della Chiesa.

Conclusione.
L’ultima parte dell’omelia è la conclusione, assai breve, di due pagine. Giovanni chiede scusa, e sarà una delle poche volte che il Crisostomo chiede scusa per la lunghezza della sua omelia; le altre volte che si accorge di essere stato lungo -e lo sarà spesso-, lo ritiene utile per i suoi ascoltato­ri. Dopo le scuse, conclude in modo assai rapido, quasi precipi­tato, chiedendo preghiere per il vescovo -che è il padre, il maestro, il pastore, il pilotta-, per la Chiesa e per lui stesso. Ormai all’inizio della Quaresima del Natale, Giovanni Crisostomo ci offre l’esempio del cristiano dedito all’ascesi, dedito alla sua chiesa, dedito alla lettura della Parola di Dio. Che il suo esempio ci sia di aiuto nel nostro cammino cristiano.


di P. Manel Nin. Rettore P.C.Greco


mercoledì 7 novembre 2012

Morto il Patriarca bulgaro Maxim. Il Papa: ha servito con devozione il Signore e la sua gente




Benedetto XVI ha inviato un telegramma di cordoglio alla Chiesa ortodossa bulgara per la scomparsa avvenuta questa mattina, all’età di 98 anni, di Sua Santità Maxim, Metropolita di Sofia e Patriarca di Bulgaria. “Per molti anni ha servito con devozione Signore e il suo popolo”, scrive il Papa, affermando di condividere il “dolore della Chiesa ortodossa bulgara”. Ricordando anche “la calda ospitalità riservata a Beato Papa Giovanni Paolo II durante la sua visita in Bulgaria nel maggio 2002", Benedetto XVI prosegue ringraziando “il Signore per i buoni rapporti che il Patriarca aveva sviluppato con la Chiesa cattolica in queste terre”. “Spero sinceramente – conclude – che tali buoni rapporti continuino nell’annuncio del Vangelo”.
A dare la notizia della morte di Sua Santità Maxim è stata la televisione nazionale bulgara. Il Patriarca ortodosso si è spento all’ospedale di “Lozinetz” di Sofia, dove era ricoverato da un mese. Era il più anziano Patriarca – sia per età che per durata del suo ministero patriarcale – tra tutti i Primati delle Chiese ortodosse autocefale. L’agenzia Sir ha riferito che i vescovi della Chiesa ortodossa bulgara si sono riuniti oggi in un incontro straordinario del Santo Sinodo per organizzare le esequie. A nome del clero cattolico e dei cattolici bulgari, il presidente della Conferenza episcopale bulgara, mons. Hristo Projkov, ha inviato un telegramma al Santo Sinodo della Chiesa ortodossa bulgara, nel quale esprime “il profondo e sincero cordoglio per la morte beata di Sua Santità il Patriarca Maxim e uniti nel vostro dolore, preghiamo il Signore che accolga la sua anima”.

Il Patriarca Maxim era nato il 29 ottobre 1914 e il 4 luglio del 1971 è stato eletto patriarca di Bulgaria. Ha guidato la Chiesa di Bulgaria durante gran parte del periodo della dittatura comunista e in seguito durante la transizione del Paese verso la democrazia. La Chiesa ortodossa bulgara è una Chiesa autocefala che conta sei milioni e mezzo di fedeli in Bulgaria e circa due milioni di fedeli emigrati nei Paesi europei, nelle Americhe e in Australia. Attualmente, la Chiesa ortodossa bulgara è in comunione con le altre chiese ortodosse ed è riconosciuta sia dal Patriarcato di Mosca che dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli.

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domenica 4 novembre 2012

Il vescovo Tawadros è il nuovo Patriarca copto ortodosso. Mons. El Soryany: un giorno di festa e speranza


tawadros

Il vescovo Tawadros, ausiliario di Beheria, è il nuovo Patriarca copto ortodosso e succede a Shenouda III. Il suo nome è stato estratto a sorte da un bambino al termine di una solenne celebrazione nella cattedrale copta del Cairo. Tawadros, 60 anni, si è laureato in farmacia prima di intraprendere la vita religiosa. I media egiziani ne mettono in rilievo la capacità teologica e la sua attività pastorale con i giovani. Tawadros è il 118.mo Patriarca copto ortodosso, ma il primo nell’era del dopo Mubarak con al governo i Fratelli Musulmani, che si sono oggi felicitati con il nuovo Patriarca. Per una testimonianza sull’importanza di questa elezione, Alessandro Gisotti ha raggiunto telefonicamente al Cairo, mons. Barnaba El Soryany, vescovo della diocesi Copto-Ortodossa di San Giorgio a Roma: 00:01:08:83
R. - Il Papa Tawadros II è una persona molto attiva per tutto il popolo copto specialmente qui in Egitto. Ci è stato fatto un regalo: è un grande regalo per tutti! Ci aspettiamo veramente che segua la stessa strada di Papa Shenouda III, dal quale ha ricevuto la stessa scuola e del quale è figlio spirituale.
E’ per questo che lo seguirà. Siamo tutti emozionati per questa scelta di Dio.
D. – Questa scelta del nuovo Patriarca è molto importante per i copti, soprattutto in
Egitto in questa situazione molto delicata adesso…
R. - Sì. E’ una persona molto calma e molto amata da tante persone, da quelle che lo hanno conosciuto a quelle che sono con lui, a quelle che hanno svolto il servizio con lui. Sentiamo che con lui andremo avanti, che la Chiesa andrà avanti con il dialogo: lui spera molto nel dialogo. 
D. - Lei è al Cairo… c’è un grande spirito di festa e di speranza tra i fedeli?
R. - Sì, certo. La Messa è stata una Messa solenne e tutto il Santo Sinodo ha partecipato a questa Messa. Davanti a tutti, un bambino - si chiama Giorgio - ha preso il nome del nostro nuovo patriarca Tawadros II.

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