sabato 28 giugno 2014

La festa dei santi Pietro e Paolo nella tradizione bizantina



…essi sono le ali della conoscenza di Dio… le braccia della croce…


La festa degli apostoli Pietro e Paolo il giorno 29 giugno è celebrata in tutte le Chiese cristiane di Oriente e di Occidente, e in alcune delle tradizioni orientali come quella bizantina è preceduta da un periodo di digiuno (quaresima) con una durata variabile in quanto essa inizia il lunedì dopo la domenica di Tutti i Santi, che è quella successiva alla domenica di Pentecoste. Collegata ancora alla presente festa dei due apostoli troviamo nella tradizione bizantina il giorno seguente la celebrazione (sinassi) dei Dodici Apostoli, discepoli del Signore, testimoni della sua Risurrezione, predicatori del suo Vangelo nel mondo intero. L’iconografia di Pietro e Paolo ci tramanda l’abbraccio fraterno tra i due apostoli; oppure l’icona di Pietro e Paolo che sorreggono l’edificio della Chiesa. Inoltre i tratti iconografici dell’uno e dell’altro sono quelli che troviamo già nella tradizione iconografica e musiva più antica di Oriente e di Occidente, tramandata fino a noi: Pietro con cappelli ricci, fronte bassa e barba corta arrotondata; Paolo invece, fronte alta, calvo e barba lunga e liscia. Questa fedeltà iconografica nei tratti del volto di ambedue ci permette di riconoscere la presenza di Pietro e di Paolo nell’icona della Pentecoste, nell’icona della Dormizione della Madre di Dio ed anche nell’icona della comunione degli Apostoli dove Cristo da una parte dell’icona dà il suo Corpo a Pietro e ad altri cinque apostoli, e dall’altra parte dell’icona Cristo che porge il calice con il suo Sangue a Paolo e ad altri cinque apostoli. Queste icone hanno una chiara simbologia ecclesiologica e sacramentaria e, quindi, vogliono sottolineare il ruolo centrale dei due apostoli nella vita della Chiesa. L’ufficiatura vespertina del 29 giugno nei tropari celebra e loda ambedue gli apostoli insieme. Essi vengono inneggiati come “primi tra i divini araldi”, “bocche della spada dello Spirito”. I testi liturgici sottolineano chiaramente che Pietro e Paolo sono gli strumenti dell’opera di salvezza che Cristo stesso porta a termine: “Essi sono le ali della conoscenza di Dio che hanno percorso a volo i confini della terra e si sono innal­za­te sino al cielo; sono le mani del vangelo della gra­zia, i piedi della verità dell’annuncio, i fiumi della sapien­za, le braccia della croce…”. Per tutti e due gli apostoli, il martirio è la meta per raggiungere Cristo stesso: “L’uno, inchiodato sulla croce, ha fatto il suo viaggio verso il cielo, dove gli sono state affidate da Cristo le chiavi del regno; l’altro, decapitato dalla spada, se ne è andato al Salvatore”. Pietro viene invocato anche come “sincero amico di Cristo Dio nostro”, e Paolo come “araldo della fede e maestro della terra”. L’innografia bizantina, come d’altronde anche quella di tradizione latina per la festa dei due santi apostoli, collega Pietro e Paolo alla città di Roma dove cui resero la testimonianza fino al martirio: “stupendi ornamenti di Roma…”, “per loro anche Roma si rallegra in coro…”; “o Pietro, pietra della fede, Paolo, vanto di tutta la terra, venite insie­me da Roma per confermarci”. I tropari del cànone del mattutino invece, attribuito a Giovanni monaco, alternano lungo le nove odi dei testi e dell’uno e dell’altro dei due apostoli inneggiati separatamente. Pietro viene celebrato come “protos” il primo nel suo ruolo nella Chiesa: “primo chiamato da Cristo”, “capo della Chiesa e grande vescovo”. Pietro è anche teologo in quanto ha confessato Gesù come Cristo: “Sulla pietra della tua teologia, il Sovrano Gesù ha fissato salda la Chiesa”. Pietro, pescatore, viene paragonato al mercante in ricerca di perle preziose: “Lasciato, o Pietro, ciò che non è, hai raggiunto ciò che è, come il mercante: e hai realmente pescato la perla preziosissima, il Cristo”. La Pasqua di Cristo diventa per Pietro da una parte la manifestazione del Risorto e dall’altra il risanamento dalla sua triplice negazione: “A te che eri stato chiamato per primo e che inten­samente lo amavi, a te come insigne capo degli apostoli, Cristo si manifesta per primo, dopo la risurrezione dal sepol­cro… Per cancellare il triplice rinnegamento il Sovrano rinsalda l’amore con la triplice domanda dalla sua voce divina”. Paolo invece, sempre nel cànone dell’ufficiatura mattutina, viene presentato nel suo ruolo di predicatore e maestro, chiamato a portare davanti alle genti il nome di Cristo: “tu hai posto come fondamento per le anime dei fedeli una pietra preziosa, angolare, il Salvatore e Signore”. Per Paolo, il suo essere portato fino al terzo cielo significa il dono della professione di fede trinitaria: “Levato in alto nell’estasi, hai raggiunto il terzo cielo, o felicissimo, e, udite ineffabili parole, acclami: Gloria al Padre altissimo e al Figlio sua irradia­zio­ne, con lui assiso in trono, e allo Spirito che scruta le profondità di Dio”. Paolo ancora svolge verso la Chiesa il ruolo del paraninfo che la presenta come sposa allo sposo che è Cristo: “Tu hai fidanzato la Chiesa per presentarla come sposa al Cristo sposo: sei stato infatti il suo paraninfo, o Paolo teòforo; per questo, com’è suo dove­re, essa onora la tua memoria”. Il vespro prevede tre letture prese dalla prima lettera cattolica di Pietro (1Pt 1,3-9; 1,13-19; 2,11-24). Per quanto riguarda le altre letture bibliche, l’ufficiatura del mattutino riporta la pericope evangelica di Gv 21,14-25, mentre nella Divina Liturgia si leggono 2Cor 11,21-12,9, e Mt 16,13-19. La tradizione bizantina chiama Pietro e Paolo “i primi corifei” (coloro che occupano il primo posto, la dignità più alta) e anche “i primi nella dignità” (protòthroni). Questo loro primo posto e dignità continua nella Chiesa nel loro “intercedere presso il Sovrano dell’universo perché doni alla terra la pace, e alle anime nostre la grande misericordia”.

P. Manuel Nin rettore Pontificio Collegio Greco

Απολυτίκιον Αγίων Αποστόλων Πέτρου και Παύλου

  
Ο τν ποστόλων πρωτόθρονοι, κα τς Οκουμένης διδάσκαλοι, τ Δεσπότ τν λων πρεσβεύσατε, ερήνην τ οκουμέν δωρήσασθαι, κα τας ψυχας μν τ μέγα λεος.



Voi che tra gli Apostoli occupate il primo trono, voi maestri di tutta la terra, intercedete presso il Sovrano dell'universo perché doni alla terra la pace, e alle anime nostre la grande misericordia.




lunedì 23 giugno 2014

…uomo quanto alla natura, angelo quanto alla vita…



Nascita di San Giovanni Battista, Livorno s. XVIII

La nascita di San Giovanni Battista nella tradizione bizantina

La figura del “profeta e precursore” (prodromos) Giovanni Battista è una di quelle più celebrate nella tradizione liturgica bizantina. Come di Cristo e della Madre di Dio, se ne celebra la concezione il 23 settembre, la nascita il 24 giugno, e la morte (il martirio, la decollazione) il 29 agosto. Inoltre Giovanni Battista viene celebrato il 7 gennaio, immediatamente dopo la festa del Battesimo di Cristo, secondo la prassi delle liturgie orientali che il giorno dopo una grande festa si celebra il personaggio per mezzo di cui Dio porta a termine il suo mistero di salvezza. Ancora per tre volte del Battista ne celebriamo il ritrovamento delle reliquie (la testa), ed infine ogni martedì la liturgia lo commemora in modo speciale. Nell’anafora di Giovanni Crisostomo il Battista è commemorato, dopo l’epiclesi, in seguito alla Madre di Dio, e nella preghiera conclusiva delle ufficiature bizantine viene sempre ricordato appunto dopo Maria e gli angeli. Le tre celebrazioni indicate (concezione, nascita e morte) mettono il Battista come in parallelo con Cristo stesso e con la Madre di Dio, e questo fatto si riflette anche nell’iconografia: la Deisis, l’icona dei due grandi intercessori, Maria e Giovanni, presso Cristo rappresentato come il Re assiso nel trono di gloria, avendo a sua destra la Regina vestita con un manto d’oro variopinto (salmo 44), a sua sinistra il Precursore, l’angelo che gli prepara il cammino e che lo annuncia e lo indica come l’Agnello di Dio. A livello iconografico ancora, le icone della nascita del Battista, della nascita della Madre di Dio e della nascita di Cristo sono molto simili in quanto alla tematica ed alla distribuzione dell’insieme dei diversi personaggi. L’ufficiatura della festa raccoglie dei tropari composti dai grandi innografi bizantini: Giovanni Damasceno, Andrea di Creta, e la monaca Cassianì (IX sec.), che è l’unico esempio di donna innografa nella tradizione bizantina, e che ci ha tramandato anche dei bellissimi testi per il Mercoledì Santo e per il Sabato Santo. I testi liturgici del 24 giugno sottolineano come la nascita di Giovanni Battista inizia l’annuncio della salvezza che arriverà con la nascita di Cristo e che oggi pone fine al mutismo di Zaccaria suo padre: Giovanni, nascendo, rompe il silenzio di Zaccaria, perché non conveniva che il padre tacesse, alla nascita della voce… Oggi la voce del Verbo, scioglie la voce paterna… I titoli dati a Giovanni vengono sempre collegati a Cristo stesso: lampada della Luce, raggio che manifesta il Sole, messaggero del Dio Verbo, paraninfo dello Sposo… Diverse volte i testi liturgici lo chiamano ottimo figlio e cittadino del deserto, e sarà la tradizione monastica di Oriente e di Occidente che avrà sempre una grande stima per il Battista nella sua dimensione di solitudine e di ascesi nel deserto. Ancora in diversi dei testi la liturgia presenterà Giovanni servendosi di immagini per via di contrasto: germoglio della sterile… alba che precorre il sole. La fine della sterilità di Elisabetta è presentata come tipo e preannuncio della fecondità della Chiesa; quella partorirà il Battista, questa partorisce dei figli nel battesimo. Il ruolo che i testi danno a Giovanni è quello di intercessore presso Cristo, e di esserne la voce che lo annuncia, l’angelo che lo precede e ne prepara la strada; per questo fatto anche l’iconografia del Battista molto spesso ce lo presenta con le ali dell’angelo. Lui è l’angelo, il soldato che precede il Re, come lo canta Cassianì all’ufficiatura vespertina della festa: Costui dunque, precedendo come soldato il Re celeste, realmente fa retti i sentieri del nostro Dio, uomo per natura, ma angelo quanto alla vita; abbrac­ciata infatti la castità perfetta e la temperanza, egli possedeva ciò che è secondo natura… Diversi dei tropari mettono in parallelo, con uno scopo chiaramente cristologico, la nascita del Battista e la nascita di Cristo, nascita della voce e nascita del Verbo, nascita da una sterile e nascita da una Vergine; quella del Battista non avviene senza concorso d’uomo, mentre che quella di Cristo avviene dalla Vergine senza concorso umano: Celebriamo il precursore del Signore, che Elisabet­ta ha partorito da matrice sterile, ma non senza seme: Cristo solo, infatti ha attraversato una terra non percorribile e senza seme. Giovanni, lo ha gene­rato una steri­le, ma non senza uomo lo ha partorito; Gesú, lo ha partorito una Vergine pura adombrata dal Padre e dallo Spirito di Dio. Tre letture dell’AT vengono proposte al vespro: Genesi 17.18.21 (annuncio e nascita di Isacco); Giudici 13 (annuncio e nascita di Sansone); Isaia 40 (messaggio di consolazione e fine della sterilità del popolo). Come accennavamo all’inizio, l’icona della festa riprende la stessa distribuzione di quella della nascita della Madre di Dio, e con molte somiglianze anche quella della nascita di Cristo. Nella parte superiore dell’icona, Elisabetta è sdraiata sul letto, dopo aver partorito il bambino, nella stessa disposizione di Anna nell’icona della nascita di Maria, e di costei nell’icona della nascita di Cristo. Le tre donne nelle tre icone sono simbolo della fecondità della Chiesa per mezzo del battesimo. Nell’angolo inferiore dell’icona vediamo diverse donne che lavano il neonato, scena che troviamo anche nelle due icone della nascita di Maria e di Cristo. In tutte e tre le icone il neonato viene lavato in un catino, con una simbologia chiaramente legata al battesimo. In un angolo dell’icona Zaccaria che scrive su una tavoletta il nome del neonato: Giovanni. Anche Gioacchino e Giuseppe occupano un angolo delle altre due icone delle nascite di Maria e di Cristo, il primo in un atteggiamento di contemplazione del misteri, il secondo rappresentando in se stesso il dubbio dell’umanità di fronte al mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio. Profeta di Dio e precursore della grazia… Colui che annuncia la salvezza, che precede il dono della grazia, lo celebriamo oggi nel mistero della sua nascita da una coppia di anziani, avanti negli anni, ma resi fecondi dalla grazia dello Spirito che dalla vecchiaia e dalla sterilità fa fruttificare la vera gioia.


P. Manuel Nin osb
Pontificio Collegio Greco



Απολυτίκιον Γενεθλίου του Προδρόμου


domenica 8 giugno 2014

Il dono dello Spirito Santo nell’ufficiatura della Pentecoste




Effonderò la generosa grazia dello Spiri­to…
           

Molto spesso nelle liturgie orientali ci troviamo col fatto che i testi liturgici diventano un commento ai cicli iconografici delle chiese, e viceversa le icone sono l’espressione grafica e visiva di quei testi liturgici. Negli anni 70’ del XX secolo l’iconografo P. Michel Berger, allora ufficiale della Congregazione per le Chiese Orientali, dipingeva l’abside della cappella di San Benedetto nel Pontificio Collegio Greco di Roma, a richiesta dell'allora rettore P. Olivier Raquez; e si ispirava nell’affresco dell'abside che si trova nella chiesa greca di Santo Stefano di Soleto nella Terra d’Otranto, risalente alla fine XIV secolo. In esso vediamo riprodotta nella parte superiore la Santa Trinità in forma antropomorfica, nella missione dello Spirito Santo, rappresentazione che a sua volta riprende tutta la pneumatologia dei padri Cappadoci, specialmente San Basilio. Sotto la rappresentazione trinitaria vediamo due angeli che incensano portando due ceri in mano, ed immediatamente sotto vediamo la rappresentazione della Madre di Dio orante e gli apostoli il giorno della Pentecoste. Due dei tropari del mattutino nell’ufficiatura bizantina della Pentecoste, cantati prima dei salmi di lode 148-150, diventano un bel commento all’iconografia sopra accennata, e a sua volta l’icona stessa diventa l’immagine grafica dei due tropari, soprattutto il primo collegato con l’immagine trinitaria dipinta nell’abside: “O Spirito Santissimo che procedi dal Padre e tramite il Figlio ti sei fatto presente nei discepoli illetterati, salva quanti ti riconoscono come Dio e santifica tutti”. Il secondo dei tropari illustra la lode della Chiesa alla Santa Trinità –la Madre di Dio orante e gli apostoli nell’icona sopra accennata: “Luce è il Padre, luce il Verbo, luce il santo Spirito, che è stato mandato sugli apostoli in lingue di fuoco: grazie a lui tutto il mondo è illuminato per render culto alla Trinità Santa”. Il dono dello Spirito Santo è visto come colui che porta la Chiesa ed ognuno dei cristiani alla lode e la confessione della Santa Trinità.
            Diversi dei tropari dell'’ufficiatura bizantina contemplano la Madre di Dio nel mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio il quale, dopo la sua ascensione in cielo e seduto alla destra del Padre, manderà sulla Chiesa il dono dello Spirito Santo: “Senza sperimentare corruzione hai concepito, e hai prestato la carne al Verbo, Artefice dell’universo, o Madre ignara d’uomo, o Vergine Madre-di-Dio, ricet­tacolo di Colui che non può esser contenuto, dimora del tuo immenso Creatore: noi ti magnifichiamo… È giusto cantare la Vergine che genera; essa sola infatti ha portato, celato nelle proprie vi­scere, il Verbo che guarisce la natura inferma dei mortali, e che ora, assiso alla de­stra pater­na, ha mandato la grazia dello Spirito”. Il testo si serve di un linguaggio cristologico quasi audace (“hai prestato la carne…”) per parlare dell'incarnazione del Verbo.
            Il Cristo inoltre promette lo Spirito Santo ai discepoli; per questo parecchi dei testi della liturgia bizantina sottolineano il legame stretto tra Ascensione e Pentecoste: “Disse l’augusta e venerabile bocca: Non soffrirete per la mia assenza, voi, miei amici: assiso infatti insieme al Padre sull’eccelso trono, effonderò la generosa grazia dello Spiri­to, perché risplenda su quanti la deside­ra­no… Legge immutabile, il Verbo veracissimo, dona tranquillità ai cuori: portata infatti a compi­mento la sua opera, rallegra gli amici, il Cristo, elargendo lo Spirito come aveva promes­so, con vento impetuoso e lingue di fuoco”. La Pentecoste è cantata come il momento salvifico contrapposto alla dispersione di Babele: “La potenza del divino Spirito, col suo avvento ha divinamente composto in un’unica armonia il linguag­gio che un tempo era divenuto molteplice in coloro che si erano uniti per uno scopo malvagio; essa ha ammaestrato i credenti nella scienza della Trinità , dalla quale siamo stati rafforzati”.
            La Pentecoste è anche celebrata come un momento battesimale. In primo luogo in quanto il dono dello Spirito è illuminazione per gli apostoli e per tutti i cristiani: “Incomprensibile è la Tearchia suprema: essa ha reso eloquenti gli illetterati, che con una sola loro parola fanno tacere gli oracoli del­l’er­rore, e con la folgore dello Spirito sottrag­gono popoli innumerevoli alla notte profonda… È l’eterno splendore dall’immane potere illuminante procedente dalla Luce ingenita, quello che ora, mediante il Figlio, dall’essen­za del Padre, manifesta con fragore di fuoco il proprio connatu­rale fulgore alle genti raccolte in Sion”. Il costato trafitto di Cristo diventa allora un battesimo ed un dono dello Spirito Santo: “Mescolando alla parola il divino lavacro di rigenera-zione per la mia natura composi­ta, tu lo riversi su di me come fiume inondante dal tuo immaco­lato fianco trafit­to, o Verbo di Dio, conferman­dolo con l’ardore dello Spiri­to”.

P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma.