Questo è il
Benedetto Sabato
Il “Grande e Santo sabato” è il giorno che
collega il Santo Venerdì, la commemorazione della Croce, con il giorno della
Risurrezione di Cristo. Per molti la vera natura e il significato di questa
“connessione”, la stessa necessità di questo “giorno intermedio”, rimane
oscuro. Per una buona maggioranza di fedeli, i giorni “importanti” della Santa
Settimana sono Venerdì e Domenica, la Croce e la Risurrezione. Questi due
giorni, tuttavia, restano in qualche modo “disconnessi”. Vi è un giorno di
dolore, e poi, vi è il giorno della gioia. In questa sequenza, il dolore è
semplicemente sostituito dalla gioia… Ma secondo l’insegnamento della Chiesa,
espresso nella sua tradizione liturgica, la natura di tale sequenza non è
quella di una semplice sostituzione. La Chiesa proclama che Cristo “ha
calpestato la morte con la morte”. Ciò significa che, anche prima della
risurrezione, ha luogo un evento in cui il dolore non è semplicemente
sostituito dalla gioia, ma è trasformato in gioia. Il Grande Sabato è
precisamente questo giorno di trasformazione, il giorno in cui la vittoria
cresce da dentro alla disfatta, quando prima della Risurrezione, ci è dato di
contemplare la morte della stessa morte... tutto questo è espresso, e ancor di
più, tutto questo in realtà avviene ogni anno in questa meravigliosa
ufficiatura mattutina, in questa commemorazione liturgica che diventa per noi
una salvezza e una trasformazione attuale.
Salmo 118 – L’amore per la Legge di Dio
Giungendo alla Chiesa per il Mattutino del
Santo Sabato, il Venerdì è stato liturgicamente appena completato. Il dolore
del Venerdì è, quindi, il tema iniziale, il punto di partenza del Mattutino del
Sabato. Si comincia come un’ufficio funebre, come un lamento su un corpo morto.
Dopo il canto dei tropari del funerale e una lenta incensazione della chiesa, i
celebranti appressano l’Epitaphion. Siamo alla tomba di nostro Signore,
contempliamo la sua morte, la sua sconfitta. Il Salmo 118 è cantato e ad ogni
versetto si aggiunge una speciale “ode”, che esprime l’orrore degli uomini e di
tutta la creazione prima della morte di Gesù:
O colline e valli,
la moltitudine degli uomini,
e la creazione tutta, piangete e fate
lamento con me,
la Madre del vostro Dio. (I: 69)
E ancora, fin dall’inizio, insieme con
questo iniziale tema del dolore e del pianto, fa la sua comparsa un nuovo tema
che diventerà sempre più evidente. Ritroviamo tutto ciò, prima di tutto, nel
Salmo 118 – “Beati coloro la cui strada è innocente, che camminano nella legge
del Signore. Nella nostra prassi liturgica odierna questo salmo è utilizzato
solo per l’ufficiatura del “funerale”, quindi per il credente medio ha una
connotazione “funebre”. Ma nella tradizione liturgica antica questo salmo
costituiva una delle parti essenziali della veglia della Domenica, la commemorazione
settimanale della Risurrezione di Cristo. Il suo contenuto non è in tutto
“funebre”. Questo salmo è la più pura e massima espressione di amore per la
legge di Dio, vale a dire, per il disegno Divino sull’uomo e sulla sua vita. La
vera vita, quella che l’uomo ha perso con il peccato, consiste nel
mantenimento, nel compimento della Legge divina, che è la vita con Dio, in Dio
e per Dio, per cui l’uomo è stato creato.
Gioisco seguendo le tue testimonianze,
come se possedessi tutte le ricchezze... (v. 14)
Mi diletterò nei tuoi statuti... (v. 16)
E poiché Cristo è l’immagine
dell’adempimento perfetto di questa legge, dal momento che tutta la sua vita
non ha avuto altro “contenuto”, se non il compimento della volontà del Padre
suo, la Chiesa interpreta questo salmo come le parole di Cristo stesso, dette a
suo Padre dalla tomba.
Vedi come amo i tuoi precetti! Signore,
dammi la vita secondo la tua bontà... (v. 159)
La morte di Cristo è l’ultima prova del
suo amore per la volontà di Dio, della sua obbedienza al Padre. Si tratta di un
atto di pura obbedienza, di piena fiducia nella volontà del Padre, e per la
Chiesa è proprio questa obbedienza fino alla fine, questa perfetta umiltà del
Figlio che costituisce il fondamento, l’inizio della Sua vittoria. Il Padre chiede
questa morte, il Figlio la accetta, rivelando una incondizionata fiducia nella
perfetta volontà del Padre, nella necessità di questo sacrificio del Figlio
chiesto dal Padre. Il 118 è il salmo di tale obbedienza, e quindi l’annuncio
che nell’obbedienza il trionfo è iniziato.
L’incontro con la morte
Ma perché il Padre chiede questa morte?
Perché è necessaria? La risposta a questa domanda costituisce il terzo tema
della nostra ufficiatura, che appare prima nelle “lodi”, che seguono ogni
versetto del Salmo 118. Esse descrivono la morte di Cristo come la sua discesa
nell’Ade. “Ade” nel linguaggio biblico significa concretamente il regno della
morte, che Dio non ha creato e che non vuole, ma significa anche che il
principe di questo mondo è onnipotente nel mondo. Satana, il peccato, la morte
– sono queste le “dimensioni” dell’Ade, il suo contenuto. Il peccato proviene
da Satana e la Morte è il risultato del peccato – “il peccato è entrato nel
mondo, e per mezzo del peccato la morte” (Romani 5, 12), “La morte ha regnato
da Adamo a Mosè” (Romani 5, 14), l’intero universo è divenuto un cimitero
cosmico, è stato condannato alla distruzione e disperazione. Ed è per questo
che la morte è “l’ultimo nemico” (I Corinzi 15, 20) e la sua distruzione
costituisce il fine ultimo della Incarnazione. Questo incontro con la morte è
l’“ora” di Cristo, della quale ha detto “per quest’ora sono venuto”. (Giovanni
12, 27). Adesso, quest’ora è venuta e il Figlio di Dio entra nella Morte. I
Padri sono soliti descrivere questo momento come un duello tra Cristo e la
Morte, tra Cristo e Satana. Per questo la morte doveva essere l’ultimo trionfo
di Satana, o la sua decisiva sconfitta. Il duello si evolve in diverse tappe.
In un primo momento, le forze del male sembrano trionfare. Colui che è Giusto
viene crocifisso, abbandonato da tutti, e soffre una morte vergognosa. Egli
inoltre diviene partecipe dell’“Ade”, di questo luogo di tenebre e
disperazione… ma è in questo momento che viene rivelato il vero significato di
questa morte. Colui che muore sulla croce ha la Vita in Sé stesso, vale a dire,
egli non ha la vita come un dono ricevuto dall’esterno, un dono che quindi può
essergli portato via, ma come Sua propria essenza. Egli è la vita e la Sorgente
di tutta la vita. “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”.
L’uomo Gesù muore, ma questo Uomo è il Figlio di Dio. Come uomo, Egli può
veramente morire, ma in Lui, Dio stesso entra nel regno della morte, partecipa
della morte. È questo l’unico, l’incomparabile significato della morte di
Cristo. In essa, l’uomo che muore è Dio, o per essere più esatti, il Dio-Uomo.
Dio è il Santo Immortale; e solo nell’unità “senza confusione, senza
cambiamento, senza divisione, senza separazione” del Dio e dell’Uomo in Cristo
la morte umana può essere “assunta” da Dio e superata e distrutta dall’interno,
può essere “calpestata dalla morte”.
La morte è sconfitta dalla Vita
Ora si comprende il motivo per cui Dio
vuole quella morte, perché il Padre dona il Suo Figlio Unigenito ad essa. Egli
vuole la salvezza degli uomini, vale a dire, che la distruzione della morte non
deve essere un atto della sua potenza (“Credi forse che io non potrei pregare
il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni
d’angeli?” Matteo 26, 53), non una violenza, anche se per la salvezza, ma un
atto di quell’amore, di quella libertà e di quella libera dedizione a Dio
attraverso cui Egli ha creato l’uomo. Perché qualsiasi altra salvezza sarebbe
stata in contrasto con la natura dell’uomo, e, quindi, non una vera e propria
salvezza. Di qui la necessità dell’Incarnazione e la necessità di quella morte
Divina. In Cristo, l’uomo ristabilisce l’obbedienza e l’amore. In Lui, l’uomo
vince il peccato e il male. Era essenziale che la morte non venisse distrutta
solo da Dio, ma vinta e calpestata dalla stessa natura umana, dall’uomo e
attraverso l’uomo. “Poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche
per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti” (I Corinzi 15, 21).
Cristo accetta liberamente la morte; della sua vita Egli dice che “nessun uomo
me la toglie, ma io la depongo da me” (Giovanni 10, 18). Non lo fa senza una
lotta: “e cominciò a essere triste e angosciato” (Matteo 26, 37). Qui è
compiuta la misura della sua obbedienza e, quindi, qui avviene la distruzione
della causa morale della morte, della morte come riscatto per il peccato.
L’intera vita di Gesù è in Dio, come ogni vita umana deve essere, ed è questa
pienezza di vita, questa vita piena di significato e di contenuti, piena di
Dio, che vince la morte, distrugge il suo potere. Per la morte è, soprattutto,
una mancanza di vita, una distruzione della vita che ha tagliato da sé la sua
unica fonte. E poiché la morte di Cristo è un movimento di amore verso Dio, un
atto di obbedienza e di fiducia, di fede e di perfezione – essa è un atto di
vita (“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”, Luca 23, 46) che
distrugge la morte. È la morte della morte stessa.Tale è il significato della
discesa di Cristo nell’Ade, della Sua morte divenuta la Sua vittoria. E la luce
di questa vittoria ora illumina la nostra veglia di fronte la Tomba.
O Vita, come puoi Tu morire?
Come puoi Tu abitare in una tomba?
Eppure, con la tua morte, Tu hai
distrutto il regno della morte,
e hai sollevato tutti morti dagli
inferi. (1:2)
In una tomba, o Cristo,
hanno posto Te, la Vita.
Con la tua morte hai rigettato la
potenza della morte
e diventa fonte di vita per tutto il
mondo. (1:7)
O, quanto è grande la gioia,
come la gioia piena,
Tu che hai portato ai prigionieri
dell’Ade,
come un fulmine lampeggiante nella sua
cupa profondità. (1:49)
La vita entra nel Regno della morte. La
Divina Luce splende nelle sue terribili tenebre. Essa risplende per tutti
coloro che sono lì, perché Cristo è la vita di tutti, l’unica sorgente di ogni
vita. Di conseguenza anche muore per tutti, dato che ciò che accade alla Sua
vita – avviene nella Vita stessa... Questa discesa nell’Ade è l’incontro della
Vita di tutti con la morte di tutti:
Desiderando salvare Adamo,
Tu scendesti sulla terra.
Non trovandolo sulla terra, o Signore,
Tu scendesti nell’Ade in cerca di lui. (1:25)
Il dolore e la gioia sono in lotta tra
loro e adesso la gioia è sul punto di vincere. Le “lodi” sono terminate. Il
dialogo, il duello tra la vita e la morte arriva alla sua conclusione. E, per
la prima volta, il canto di vittoria e di trionfo, il canto di gioia risuona. E
risuona nei “tropari al Salmo 118” ,
cantati in ogni vigilia della Domenica, all’approssimarsi del giorno della
Risurrezione:
Le angeliche schiere furono piene di
stupore quando videro Te tra i morti! Con la distruzione del potere della morte,
o Salvatore, Tu rialzasti Adamo e salvasti tutti gli uomini dall’inferno!
Nella tomba il radioso angelo gridava
alle mirofore, “Perché, o donne, mescolate alla mirra le vostre lacrime?
Guardate il sepolcro e comprendete: il Salvatore è risorto dai morti!”.
La Tomba Vivificante
Dopo viene il bel Canone del Grande
Sabato, in cui ancora una volta tutti i temi di questa ufficiatura dal lamento
funebre alla vittoria sulla morte sono ripresi e approfonditi, e che termina
con questo ordine:
Si rallegri la creazione! Tutti i nati
sulla terra, si rallegrino! Perché l’odioso inferno è stato spogliato. Lasciate
venire incontro a me le donne con la mirra; perché Io sono il Redentore di
Adamo ed Eva e di tutti i loro discendenti, e il terzo giorno risorgerò!
“E il terzo giorno risorgerò!”. Da ora
l’ufficiatura si illumina della gioia pasquale. Siamo ancora in piedi davanti
alla Tomba, ma ci è stata rivelata come la Tomba vivificante. La vita riposa in
essa, una nuova creazione è stata generata, e ancora una volta, il Settimo
Giorno, il giorno del riposo del Creatore da tutte le sue opere. “La vita dorme
e tremano gli inferi" – e noi contempliamo, in questo benedetto sabato, la
solenne quiete di Colui che ci porta di nuovo la vita: “Venite, vediamo la
nostra vita che giaceva nel sepolcro…”. Il senso pieno, la profondità mistica
del Settimo Giorno, come il giorno del compimento, il giorno di realizzazione è
ora rivelato, perché
Il grande Mosè misticamente prefigurò
questo giorno, quando ha detto,
Dio benedisse il settimo giorno.
Questo è il Benedetto sabato;
questo è il giorno di riposo,
in cui il Figlio Unigenito di Dio si
riposò da tutte le sue opere.
Patendo la morte, per realizzare il
disegno di salvezza,
Ha mantenuto il Sabato nella carne;
tornando di nuovo a ciò che Egli è
stato,
Egli ci ha concesso la vita eterna con
la Sua risurrezione,
perchè Egli solo è buono, e ha amore per
l’uomo.
Ora facciamo il giro della Chiesa in una
solenne processione con l’Epitaphion, ma non si tratta di una processione
funebre. È il Figlio di Dio, il Santo immortale, che procede attraverso le
tenebre dell’Ade, annunciando a “tutte le generazioni di Adamo” la gioia della
futura risurrezione. “Sorgendo prima della notte”, Egli proclama, “i morti si
solleveranno, quelli nelle tombe si sveglieranno, e tutti coloro che sono sulla
terra gioiranno pienamente”.
L’Attesa della Vita
Si ritorna alla Chiesa. Conosciamo già il
mistero della vita della vivificante morte Cristo. L’Ade è distrutto. L’Ade
trema. E ora appare l’ultimo tema
– il tema della Resurrezione.
Il Sabato, il settimo giorno, realizza e
completa la storia della salvezza, il suo ultimo atto è la sconfitta della
morte. Ma dopo il Sabato arriva il primo giorno di una nuova creazione, di una
nuova vita che nasce dalla tomba. Il tema della Risurrezione è inaugurato nel
Prokeimenon:
Sorgi, o Signore, e aiutaci! Liberaci
per amore del tuo Nome. Abbiamo sentito con le nostre orecchie, o Dio...
E prosegue nella prima lettura: la
profezia di Ezechiele sulle ossa secche (cap. 37). “…ecco erano numerosissime
sulla superficie della valle, ed erano anche molto secche”. È la morte a
trionfare nel mondo, il buio, la disperazione di questa universale condanna a
morte. Ma Dio parla al profeta. Egli annuncia che questa sentenza non è il
destino ultimo dell’uomo. Le ossa
secche ascolteranno le parole del Signore. I morti vivranno di nuovo. “Ecco, io aprirò le vostre tombe, vi
tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese
d’Israele”. A seguito di questa profezia viene il secondo prokeimenon – con lo
stesso appello, la stessa preghiera:
Sorgi, Signore mio Dio, alza la tua
mano! …
Come è successo, come è possibile questa
risurrezione universale? La seconda lettura (I Corinzi 5, 6; Galati 3, 13-14)
dà la risposta: “un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta...”, Cristo,
nostra Pasqua, è questo fermento della risurrezione di tutti. Come la sua morte
distrugge il principio stesso della morte, la sua risurrezione è il segno della
risurrezione di tutti, perché la sua vita è la sorgente di ogni vita. E i versi
dell’“Alliluia”, gli stessi versi che apriranno il servizio di Pasqua,
sanciscono questa risposta definitiva, la certezza che il tempo della nuova
creazione, il giorno senza tramonto, è iniziato:
Alliluia! Alliluia! Sorga Dio! I suoi
nemici si disperdano! Fuggano davanti a lui quelli che lo odiano... Alliluia!
Alliluia! Come si disperde il fumo, tu li disperdi, come fonde la cera di fronte
al fuoco!
La lettura delle profezie è finita.
Eppure, abbiamo sentito solo profezie. Siamo ancora nel Grande Sabato di fronte
alla tomba di Cristo, e dobbiamo vivere questo lungo giorno, prima di sentire a
mezzanotte: “Cristo è risorto”, prima di entrare nella celebrazione della Sua
Risurrezione. Così, la terza lettura – Matteo 27, 62-66 – che completa
l’ufficio, ci dice ancora una volta di più sulla Tomba – che “assicurarono il
sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia”. Ma è qui, probabilmente, alla fine del
Mattutino, che il senso ultimo di questo “giorno intermedio” si manifesta.
Cristo è risuscitato dai morti, la Sua Risurrezione si celebrerà il Giorno di
Pasqua. Questa celebrazione, tuttavia, commemora un evento del passato, e anticipa
un mistero del futuro. È già la Sua Risurrezione, ma non ancora la nostra. Dovremo morire, accettare la morte, la
separazione, la distruzione. La
nostra realtà in questo mondo, in questo “aeon”, è la realtà del Grande Sabato,
questo giorno è la vera immagine della nostra condizione umana. Noi crediamo
nella risurrezione, perché Cristo è risorto dai morti. Noi aspettiamo la
risurrezione. Sappiamo che la morte di Cristo non è più la disperazione, la
conclusione ultima di tutto. Battezzati nella sua morte, già partecipiamo della
sua vita, che è venuta fuori dalla tomba. Noi riceviamo il suo Corpo e Sangue,
che sono il cibo di immortalità. Abbiamo in noi stessi il segno,
l’anticipazione della vita eterna. Tutta la nostra Cristiana esistenza è
misurata da questi atti di comunione per la vita del “nuovo aeon” del Regno, e
noi siamo ancora qui, e la morte è nostra inevitabile parte.Ma questa vita tra
la Risurrezione di Cristo e il giorno della risurrezione comune, non è proprio
la vita nel Grande Sabato? Non è l’attesa la categoria di base ed essenziale
dell’esperienza cristiana? Noi
aspettiamo nell’amore, nella speranza e nella fede. E questo nell’attesa per “la
risurrezione e la vita del mondo a venire”, questa vita che è “nascosta con
Cristo in Dio” (Colossesi 3, 34), questa crescita dell’attesa nell’amore, nella
certezza; tutto questo è il nostro “Grande Sabato”. A poco a poco, tutto in
questo mondo diventa trasparente per la luce che proviene da lì, “l’immagine di
questo mondo” passa e questo attraverso l’indistruttibile vita con Cristo
diventa il nostro supremo e ultimo valore. Ogni anno, al Grande Sabato, dopo
questo ufficio mattutino, siamo in attesa per la notte di Pasqua e la pienezza
della gioia Pasquale. Sappiamo che ci stiamo avvicinando – e ancora, come è
lento questo approccio, come è lungo questo giorno! Ma non è la meravigliosa
quiete del Grande Sabato il simbolo della nostra stessa vita in questo mondo?
Non siamo sempre in questo “giorno intermedio”, nell’attesa della Pasqua di
Cristo, preparandoci per il giorno senza tramonto del suo Regno?
Di Padre
Alexander Schmemann
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