sabato 4 aprile 2015

Il Grande e Santo Sabato


Questo è il Benedetto Sabato

Il “Grande e Santo sabato” è il giorno che collega il Santo Venerdì, la commemorazione della Croce, con il giorno della Risurrezione di Cristo. Per molti la vera natura e il significato di questa “connessione”, la stessa necessità di questo “giorno intermedio”, rimane oscuro. Per una buona maggioranza di fedeli, i giorni “importanti” della Santa Settimana sono Venerdì e Domenica, la Croce e la Risurrezione. Questi due giorni, tuttavia, restano in qualche modo “disconnessi”. Vi è un giorno di dolore, e poi, vi è il giorno della gioia. In questa sequenza, il dolore è semplicemente sostituito dalla gioia… Ma secondo l’insegnamento della Chiesa, espresso nella sua tradizione liturgica, la natura di tale sequenza non è quella di una semplice sostituzione. La Chiesa proclama che Cristo “ha calpestato la morte con la morte”. Ciò significa che, anche prima della risurrezione, ha luogo un evento in cui il dolore non è semplicemente sostituito dalla gioia, ma è trasformato in gioia. Il Grande Sabato è precisamente questo giorno di trasformazione, il giorno in cui la vittoria cresce da dentro alla disfatta, quando prima della Risurrezione, ci è dato di contemplare la morte della stessa morte... tutto questo è espresso, e ancor di più, tutto questo in realtà avviene ogni anno in questa meravigliosa ufficiatura mattutina, in questa commemorazione liturgica che diventa per noi una salvezza e una trasformazione attuale.
Salmo 118 – L’amore per la Legge di Dio
Giungendo alla Chiesa per il Mattutino del Santo Sabato, il Venerdì è stato liturgicamente appena completato. Il dolore del Venerdì è, quindi, il tema iniziale, il punto di partenza del Mattutino del Sabato. Si comincia come un’ufficio funebre, come un lamento su un corpo morto. Dopo il canto dei tropari del funerale e una lenta incensazione della chiesa, i celebranti appressano l’Epitaphion. Siamo alla tomba di nostro Signore, contempliamo la sua morte, la sua sconfitta. Il Salmo 118 è cantato e ad ogni versetto si aggiunge una speciale “ode”, che esprime l’orrore degli uomini e di tutta la creazione prima della morte di Gesù:

O colline e valli,
la moltitudine degli uomini,
e la creazione tutta, piangete e fate lamento con me,
la Madre del vostro Dio. (I: 69)

E ancora, fin dall’inizio, insieme con questo iniziale tema del dolore e del pianto, fa la sua comparsa un nuovo tema che diventerà sempre più evidente. Ritroviamo tutto ciò, prima di tutto, nel Salmo 118 – “Beati coloro la cui strada è innocente, che camminano nella legge del Signore. Nella nostra prassi liturgica odierna questo salmo è utilizzato solo per l’ufficiatura del “funerale”, quindi per il credente medio ha una connotazione “funebre”. Ma nella tradizione liturgica antica questo salmo costituiva una delle parti essenziali della veglia della Domenica, la commemorazione settimanale della Risurrezione di Cristo. Il suo contenuto non è in tutto “funebre”. Questo salmo è la più pura e massima espressione di amore per la legge di Dio, vale a dire, per il disegno Divino sull’uomo e sulla sua vita. La vera vita, quella che l’uomo ha perso con il peccato, consiste nel mantenimento, nel compimento della Legge divina, che è la vita con Dio, in Dio e per Dio, per cui l’uomo è stato creato.
Gioisco seguendo le tue testimonianze, come se possedessi tutte le ricchezze... (v. 14)
Mi diletterò nei tuoi statuti... (v. 16)
E poiché Cristo è l’immagine dell’adempimento perfetto di questa legge, dal momento che tutta la sua vita non ha avuto altro “contenuto”, se non il compimento della volontà del Padre suo, la Chiesa interpreta questo salmo come le parole di Cristo stesso, dette a suo Padre dalla tomba.
Vedi come amo i tuoi precetti! Signore, dammi la vita secondo la tua bontà... (v. 159)
La morte di Cristo è l’ultima prova del suo amore per la volontà di Dio, della sua obbedienza al Padre. Si tratta di un atto di pura obbedienza, di piena fiducia nella volontà del Padre, e per la Chiesa è proprio questa obbedienza fino alla fine, questa perfetta umiltà del Figlio che costituisce il fondamento, l’inizio della Sua vittoria. Il Padre chiede questa morte, il Figlio la accetta, rivelando una incondizionata fiducia nella perfetta volontà del Padre, nella necessità di questo sacrificio del Figlio chiesto dal Padre. Il 118 è il salmo di tale obbedienza, e quindi l’annuncio che nell’obbedienza il trionfo è iniziato.

L’incontro con la morte

Ma perché il Padre chiede questa morte? Perché è necessaria? La risposta a questa domanda costituisce il terzo tema della nostra ufficiatura, che appare prima nelle “lodi”, che seguono ogni versetto del Salmo 118. Esse descrivono la morte di Cristo come la sua discesa nell’Ade. “Ade” nel linguaggio biblico significa concretamente il regno della morte, che Dio non ha creato e che non vuole, ma significa anche che il principe di questo mondo è onnipotente nel mondo. Satana, il peccato, la morte – sono queste le “dimensioni” dell’Ade, il suo contenuto. Il peccato proviene da Satana e la Morte è il risultato del peccato – “il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte” (Romani 5, 12), “La morte ha regnato da Adamo a Mosè” (Romani 5, 14), l’intero universo è divenuto un cimitero cosmico, è stato condannato alla distruzione e disperazione. Ed è per questo che la morte è “l’ultimo nemico” (I Corinzi 15, 20) e la sua distruzione costituisce il fine ultimo della Incarnazione. Questo incontro con la morte è l’“ora” di Cristo, della quale ha detto “per quest’ora sono venuto”. (Giovanni 12, 27). Adesso, quest’ora è venuta e il Figlio di Dio entra nella Morte. I Padri sono soliti descrivere questo momento come un duello tra Cristo e la Morte, tra Cristo e Satana. Per questo la morte doveva essere l’ultimo trionfo di Satana, o la sua decisiva sconfitta. Il duello si evolve in diverse tappe. In un primo momento, le forze del male sembrano trionfare. Colui che è Giusto viene crocifisso, abbandonato da tutti, e soffre una morte vergognosa. Egli inoltre diviene partecipe dell’“Ade”, di questo luogo di tenebre e disperazione… ma è in questo momento che viene rivelato il vero significato di questa morte. Colui che muore sulla croce ha la Vita in Sé stesso, vale a dire, egli non ha la vita come un dono ricevuto dall’esterno, un dono che quindi può essergli portato via, ma come Sua propria essenza. Egli è la vita e la Sorgente di tutta la vita. “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini”. L’uomo Gesù muore, ma questo Uomo è il Figlio di Dio. Come uomo, Egli può veramente morire, ma in Lui, Dio stesso entra nel regno della morte, partecipa della morte. È questo l’unico, l’incomparabile significato della morte di Cristo. In essa, l’uomo che muore è Dio, o per essere più esatti, il Dio-Uomo. Dio è il Santo Immortale; e solo nell’unità “senza confusione, senza cambiamento, senza divisione, senza separazione” del Dio e dell’Uomo in Cristo la morte umana può essere “assunta” da Dio e superata e distrutta dall’interno, può essere “calpestata dalla morte”.

La morte è sconfitta dalla Vita

Ora si comprende il motivo per cui Dio vuole quella morte, perché il Padre dona il Suo Figlio Unigenito ad essa. Egli vuole la salvezza degli uomini, vale a dire, che la distruzione della morte non deve essere un atto della sua potenza (“Credi forse che io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in questo istante più di dodici legioni d’angeli?” Matteo 26, 53), non una violenza, anche se per la salvezza, ma un atto di quell’amore, di quella libertà e di quella libera dedizione a Dio attraverso cui Egli ha creato l’uomo. Perché qualsiasi altra salvezza sarebbe stata in contrasto con la natura dell’uomo, e, quindi, non una vera e propria salvezza. Di qui la necessità dell’Incarnazione e la necessità di quella morte Divina. In Cristo, l’uomo ristabilisce l’obbedienza e l’amore. In Lui, l’uomo vince il peccato e il male. Era essenziale che la morte non venisse distrutta solo da Dio, ma vinta e calpestata dalla stessa natura umana, dall’uomo e attraverso l’uomo. “Poiché per mezzo di un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo di un uomo è venuta la risurrezione dei morti” (I Corinzi 15, 21). Cristo accetta liberamente la morte; della sua vita Egli dice che “nessun uomo me la toglie, ma io la depongo da me” (Giovanni 10, 18). Non lo fa senza una lotta: “e cominciò a essere triste e angosciato” (Matteo 26, 37). Qui è compiuta la misura della sua obbedienza e, quindi, qui avviene la distruzione della causa morale della morte, della morte come riscatto per il peccato. L’intera vita di Gesù è in Dio, come ogni vita umana deve essere, ed è questa pienezza di vita, questa vita piena di significato e di contenuti, piena di Dio, che vince la morte, distrugge il suo potere. Per la morte è, soprattutto, una mancanza di vita, una distruzione della vita che ha tagliato da sé la sua unica fonte. E poiché la morte di Cristo è un movimento di amore verso Dio, un atto di obbedienza e di fiducia, di fede e di perfezione – essa è un atto di vita (“Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”, Luca 23, 46) che distrugge la morte. È la morte della morte stessa.Tale è il significato della discesa di Cristo nell’Ade, della Sua morte divenuta la Sua vittoria. E la luce di questa vittoria ora illumina la nostra veglia di fronte la Tomba.

O Vita, come puoi Tu morire?
Come puoi Tu abitare in una tomba?
Eppure, con la tua morte, Tu hai distrutto il regno della morte,
e hai sollevato tutti morti dagli inferi. (1:2)
In una tomba, o Cristo,
hanno posto Te, la Vita.
Con la tua morte hai rigettato la potenza della morte
e diventa fonte di vita per tutto il mondo. (1:7)
O, quanto è grande la gioia,
come la gioia piena,
Tu che hai portato ai prigionieri dell’Ade,
come un fulmine lampeggiante nella sua cupa profondità. (1:49)

La vita entra nel Regno della morte. La Divina Luce splende nelle sue terribili tenebre. Essa risplende per tutti coloro che sono lì, perché Cristo è la vita di tutti, l’unica sorgente di ogni vita. Di conseguenza anche muore per tutti, dato che ciò che accade alla Sua vita – avviene nella Vita stessa... Questa discesa nell’Ade è l’incontro della Vita di tutti con la morte di tutti:

Desiderando salvare Adamo,
Tu scendesti sulla terra.
Non trovandolo sulla terra, o Signore,
Tu scendesti nell’Ade in cerca di lui. (1:25)

Il dolore e la gioia sono in lotta tra loro e adesso la gioia è sul punto di vincere. Le “lodi” sono terminate. Il dialogo, il duello tra la vita e la morte arriva alla sua conclusione. E, per la prima volta, il canto di vittoria e di trionfo, il canto di gioia risuona. E risuona nei “tropari al Salmo 118”, cantati in ogni vigilia della Domenica, all’approssimarsi del giorno della Risurrezione:
Le angeliche schiere furono piene di stupore quando videro Te tra i morti! Con la distruzione del potere della morte, o Salvatore, Tu rialzasti Adamo e salvasti tutti gli uomini dall’inferno!
Nella tomba il radioso angelo gridava alle mirofore, “Perché, o donne, mescolate alla mirra le vostre lacrime? Guardate il sepolcro e comprendete: il Salvatore è risorto dai morti!”.
La Tomba Vivificante

Dopo viene il bel Canone del Grande Sabato, in cui ancora una volta tutti i temi di questa ufficiatura dal lamento funebre alla vittoria sulla morte sono ripresi e approfonditi, e che termina con questo ordine:
Si rallegri la creazione! Tutti i nati sulla terra, si rallegrino! Perché l’odioso inferno è stato spogliato. Lasciate venire incontro a me le donne con la mirra; perché Io sono il Redentore di Adamo ed Eva e di tutti i loro discendenti, e il terzo giorno risorgerò!
“E il terzo giorno risorgerò!”. Da ora l’ufficiatura si illumina della gioia pasquale. Siamo ancora in piedi davanti alla Tomba, ma ci è stata rivelata come la Tomba vivificante. La vita riposa in essa, una nuova creazione è stata generata, e ancora una volta, il Settimo Giorno, il giorno del riposo del Creatore da tutte le sue opere. “La vita dorme e tremano gli inferi" – e noi contempliamo, in questo benedetto sabato, la solenne quiete di Colui che ci porta di nuovo la vita: “Venite, vediamo la nostra vita che giaceva nel sepolcro…”. Il senso pieno, la profondità mistica del Settimo Giorno, come il giorno del compimento, il giorno di realizzazione è ora rivelato, perché
Il grande Mosè misticamente prefigurò questo giorno, quando ha detto,
Dio benedisse il settimo giorno.
Questo è il Benedetto sabato;
questo è il giorno di riposo,
in cui il Figlio Unigenito di Dio si riposò da tutte le sue opere.
Patendo la morte, per realizzare il disegno di salvezza,
Ha mantenuto il Sabato nella carne;
tornando di nuovo a ciò che Egli è stato,
Egli ci ha concesso la vita eterna con la Sua risurrezione,
perchè Egli solo è buono, e ha amore per l’uomo.
Ora facciamo il giro della Chiesa in una solenne processione con l’Epitaphion, ma non si tratta di una processione funebre. È il Figlio di Dio, il Santo immortale, che procede attraverso le tenebre dell’Ade, annunciando a “tutte le generazioni di Adamo” la gioia della futura risurrezione. “Sorgendo prima della notte”, Egli proclama, “i morti si solleveranno, quelli nelle tombe si sveglieranno, e tutti coloro che sono sulla terra gioiranno pienamente”.

L’Attesa della Vita

Si ritorna alla Chiesa. Conosciamo già il mistero della vita della vivificante morte Cristo. L’Ade è distrutto. L’Ade trema. E ora appare l’ultimo tema – il tema della Resurrezione.
Il Sabato, il settimo giorno, realizza e completa la storia della salvezza, il suo ultimo atto è la sconfitta della morte. Ma dopo il Sabato arriva il primo giorno di una nuova creazione, di una nuova vita che nasce dalla tomba. Il tema della Risurrezione è inaugurato nel Prokeimenon:
Sorgi, o Signore, e aiutaci! Liberaci per amore del tuo Nome. Abbiamo sentito con le nostre orecchie, o Dio...
E prosegue nella prima lettura: la profezia di Ezechiele sulle ossa secche (cap. 37). “…ecco erano numerosissime sulla superficie della valle, ed erano anche molto secche”. È la morte a trionfare nel mondo, il buio, la disperazione di questa universale condanna a morte. Ma Dio parla al profeta. Egli annuncia che questa sentenza non è il destino ultimo dell’uomo. Le ossa secche ascolteranno le parole del Signore. I morti vivranno di nuovo. “Ecco, io aprirò le vostre tombe, vi tirerò fuori dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi ricondurrò nel paese d’Israele”. A seguito di questa profezia viene il secondo prokeimenon – con lo stesso appello, la stessa preghiera:
Sorgi, Signore mio Dio, alza la tua mano! …
Come è successo, come è possibile questa risurrezione universale? La seconda lettura (I Corinzi 5, 6; Galati 3, 13-14) dà la risposta: “un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta...”, Cristo, nostra Pasqua, è questo fermento della risurrezione di tutti. Come la sua morte distrugge il principio stesso della morte, la sua risurrezione è il segno della risurrezione di tutti, perché la sua vita è la sorgente di ogni vita. E i versi dell’“Alliluia”, gli stessi versi che apriranno il servizio di Pasqua, sanciscono questa risposta definitiva, la certezza che il tempo della nuova creazione, il giorno senza tramonto, è iniziato:
Alliluia! Alliluia! Sorga Dio! I suoi nemici si disperdano! Fuggano davanti a lui quelli che lo odiano... Alliluia! Alliluia! Come si disperde il fumo, tu li disperdi, come fonde la cera di fronte al fuoco!

La lettura delle profezie è finita. Eppure, abbiamo sentito solo profezie. Siamo ancora nel Grande Sabato di fronte alla tomba di Cristo, e dobbiamo vivere questo lungo giorno, prima di sentire a mezzanotte: “Cristo è risorto”, prima di entrare nella celebrazione della Sua Risurrezione. Così, la terza lettura – Matteo 27, 62-66 – che completa l’ufficio, ci dice ancora una volta di più sulla Tomba – che “assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia”. Ma è qui, probabilmente, alla fine del Mattutino, che il senso ultimo di questo “giorno intermedio” si manifesta. Cristo è risuscitato dai morti, la Sua Risurrezione si celebrerà il Giorno di Pasqua. Questa celebrazione, tuttavia, commemora un evento del passato, e anticipa un mistero del futuro. È già la Sua Risurrezione, ma non ancora la nostra. Dovremo morire, accettare la morte, la separazione, la distruzione. La nostra realtà in questo mondo, in questo “aeon”, è la realtà del Grande Sabato, questo giorno è la vera immagine della nostra condizione umana. Noi crediamo nella risurrezione, perché Cristo è risorto dai morti. Noi aspettiamo la risurrezione. Sappiamo che la morte di Cristo non è più la disperazione, la conclusione ultima di tutto. Battezzati nella sua morte, già partecipiamo della sua vita, che è venuta fuori dalla tomba. Noi riceviamo il suo Corpo e Sangue, che sono il cibo di immortalità. Abbiamo in noi stessi il segno, l’anticipazione della vita eterna. Tutta la nostra Cristiana esistenza è misurata da questi atti di comunione per la vita del “nuovo aeon” del Regno, e noi siamo ancora qui, e la morte è nostra inevitabile parte.Ma questa vita tra la Risurrezione di Cristo e il giorno della risurrezione comune, non è proprio la vita nel Grande Sabato? Non è l’attesa la categoria di base ed essenziale dell’esperienza cristiana? Noi aspettiamo nell’amore, nella speranza e nella fede. E questo nell’attesa per “la risurrezione e la vita del mondo a venire”, questa vita che è “nascosta con Cristo in Dio” (Colossesi 3, 34), questa crescita dell’attesa nell’amore, nella certezza; tutto questo è il nostro “Grande Sabato”. A poco a poco, tutto in questo mondo diventa trasparente per la luce che proviene da lì, “l’immagine di questo mondo” passa e questo attraverso l’indistruttibile vita con Cristo diventa il nostro supremo e ultimo valore. Ogni anno, al Grande Sabato, dopo questo ufficio mattutino, siamo in attesa per la notte di Pasqua e la pienezza della gioia Pasquale. Sappiamo che ci stiamo avvicinando – e ancora, come è lento questo approccio, come è lungo questo giorno! Ma non è la meravigliosa quiete del Grande Sabato il simbolo della nostra stessa vita in questo mondo? Non siamo sempre in questo “giorno intermedio”, nell’attesa della Pasqua di Cristo, preparandoci per il giorno senza tramonto del suo Regno?


Di Padre Alexander Schmemann

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