La seconda omelia cattedrale di Severo di Antiochia commenta il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, centrale nella fede cristiana, e cita all’inizio l’annuncio dell’arcangelo a Maria: «Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te». E spiega: «Con queste parole Gabriele manifestò che il Dio Verbo, senza principio ed eterno, in modo ineffabile, senza cambiamento né confusione, viene ad abitare il grembo verginale e si incarna in esso. Perché in questo breve momento e spazio di tempo indivisibile fu pronunciata la parola dell’arcangelo e il Verbo di Dio si trovò nel grembo di Maria. Questo faceva conoscere che il saluto portava a termine qualcosa di straordinario e non era un semplice saluto».
Le parole dell’arcangelo turbano Maria e affliggono lo stesso arcangelo perché il suo annuncio va oltre la comprensione umana: «Gabriele poi era anche lui nell’afflizione, nella compassione verso di noi e nella misericordia, vedendo che il messaggio che l’annuncio proferito alla santa madre di Dio e vergine Maria era frainteso». Allora l’arcangelo, diventato quasi un mistagogo dell’incarnazione del Verbo di Dio, aggiunge parlando a Maria: «Ma non deve gettarti nel turbamento che io ti abbia annunziato la venuta di Dio; neppure devi pensare che si tratta di una nascita che avverrà da sé o in modo spontaneo. Sarà un concepimento secondo l’ordine naturale, ma la gestazione e la nascita saranno senza seme umano. Il Verbo di Dio infatti viene per raddrizzare la natura umana».
Severo sottolinea poi che Gabriele già preannuncia la Pasqua di Cristo, redenzione per Adamo e per lo stesso ladrone accanto alla croce: «Queste parole aprono anche il paradiso chiuso dopo Adamo. E se il ladrone non fosse stato preannunciato nelle parole dell’arcangelo e non avesse creduto nel regno di Cristo che non ha fine, non avrebbe detto vedendo colui che era messo in croce: Ricordati di me quando verrai nel tuo regno. E mai un ladro sarebbe stato oggetto di una promessa, degna di Dio, se colui che era stato crocefisso non fosse immortale, e se non fosse stato un re senza inizio e senza fine, lui che si eravolontariamente caricato per noi della croce nella sua carne e aveva assaggiato la morte che dà la vita».
Il patriarca di Antiochia conclude l’omelia esortando il suo uditorio non soltanto a proclamare la propria fede nell’incarnazione del Verbo di Dio, ma a manifestarla nella propria vita: «Quando tu glorifichi Dio per mezzo delle parole, tu lo fai soltanto con la bocca e con la lingua, ma quando fai delle azioni degne dell’agire cristiano, allora innalzi la lode con mille bocche. Ognuno di coloro che ti vedono, glorifica Dio che per noi si è incarnato, perché attraverso il nostro agire è istruito da questi comandamenti degni e meravigliosi».
Fondamentale è infatti per il predicatore la testimonianza del cristiano: «Se qualcuno ti vede agire nella santità, e vede che tu disprezzi le ricchezze e che fai partecipare dei tuoi beni coloro che ne hanno bisogno, correrà nel suo pensiero verso la promessa futura e celebrerà il sole di giustizia che è Cristo, che con la sua risurrezione ha illuminato la terra e ha insegnato a disprezzare le cose temporali e ad acquisire invece i beni che durano e sono incorruttibili. Ma se ci allontaniamo di questi beni e ci lasciamo andare ai desideri e ci lasciamo incatenare dalle cose materiali, il cristianesimo sarà deriso, le speranze della risurrezione saranno cosa disprezzabile. Questo non avvenga» esclama alla fine Severo, che invoca in conclusione «la grazia e l’amore per gli uomini del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo».
P.Manuel Nin, Rettore Pontificio Collegio Greco
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