“Abbiamo atteso, e finalmente le nostre attese sono state soddisfatte”, ha scritto il vescovo Nicola (Velimirovich) di South Canaan, descrivendo il servizio di Pasqua a Gerusalemme. “Quando il patriarca ha cantato ‘Cristo è risorto’, un pesante fardello è caduto dalle nostre anime. Ci siamo sentiti come se anche noi fossimo stati risuscitati dai morti. Tutto in una sola volta, da tutto intorno, lo stesso grido è risuonato come lo scrosciare di molte acque. ‘Cristo è risorto’ cantato dai Greci, dai Russi, dagli Arabi, dai Serbi, dai Copti, dagli Armeni, dagli Etiopi uno dopo l’altro, ognuno nella propria lingua, nella sua melodia... Uscendo dal servizio all’alba, abbiamo iniziato a considerare ogni cosa alla luce della gloria della risurrezione di Cristo, e tutto appariva diverso da quello che era ieri; ogni cosa sembrava migliore, più espressiva, più gloriosa. Solo alla luce della Risurrezione la vita riceve senso”. Questo senso di gioia della Risurrezione, così vividamente descritto dal vescovo Nicola, costituisce il fondamento di ogni culto della Chiesa ortodossa; è la sola e unica base per la nostra vita e speranza cristiana. Eppure, al fine di vivere in pieno la potenza di questa gioia pasquale, ognuno di noi ha bisogno di passare attraverso un periodo di preparazione. “Abbiamo atteso”, dice il vescovo Nicola, “e finalmente le nostre attese sono state soddisfatte”. Senza l’attesa, senza la preparazione in grande attesa, il significato profondo della celebrazione della Pasqua andrà perso. È così che si è venuto a creare un lungo tempo preparatorio di penitenza e di digiuno prima della festa di Pasqua, che si protrae nell’uso ortodosso odierno in più di dieci settimane. Dapprima vengono ventidue giorni (quattro domeniche) di osservanza preliminare; poi sei settimane o quaranta giorni del Grande Digiuno di Quaresima; e, infine, la Santa Settimana; dopo la Pasqua segue un corrispondente periodo di cinquanta giorni di ringraziamento, che si conclude con la Pentecoste. Questo tempo può essere brevemente descritto come il tempo del digiuno. Così come i figli di Israele hanno mangiato il “pane di afflizione” (Deuteronomio 16, 3), in preparazione della Pasqua, così i cristiani si preparano per la celebrazione della Nuova Pasqua osservando un digiuno. Qui è necessaria la massima attenzione, in modo da mantenere un giusto equilibrio tra l’interno e l’esterno. Sul piano esterno il digiuno comporta astinenza corporea da cibo e bevande, e senza tale astinenza esteriore un completo e vero digiuno non può essere mantenuto; ma le regole sul mangiare e sul bere non devono mai essere considerate come fini a sé stesse, per il digiuno ascetico si ha sempre un fine interiore e invisibile. E un giusto equilibrio deve essere sempre mantenuto. L’uomo è una unità di corpo e anima, “una creatura vivente foggiata dalle nature visibile e invisibile”, nelle parole del Triodion; ed il nostro digiuno ascetico dovrebbe pertanto comprendere queste due nature a un tempo. La tendenza ad enfatizzare eccessivamente le norme esterne riguardo al cibo in un modo legalistico, e la tendenza opposta a disprezzare queste regole come obsolete e inutili, sono ambedue egualmente deplorate come un tradimento della vera Ortodossia. In entrambi i casi, un giusto equilibrio tra l’esterno e l’interno è stato compromesso. Uno dei motivi per il declino del digiuno è sicuramente l’atteggiamento eretico nei confronti della natura umana, un falso “spiritualismo”, che respinge o ignora il corpo, vedendo l’uomo solo nei termini del suo razionale cervello. Come risultato, molti cristiani contemporanei hanno perso una vera visione dell’uomo come una integrale unità del visibile e dell’invisibile; essi trascurano il ruolo positivo svolto dal corpo nella vita spirituale, dimenticando l’affermazione di san Paolo: “Il vostro corpo è tempio del Santo Spirito... glorificate Dio con il vostro corpo” (1 Corinzi 6, 19-20). Un altro motivo per il declino del digiuno tra gli Ortodossi è la tesi, comunemente avanzata nel nostro tempo, che le regole tradizionali non sono più possibili oggi. Tali norme presuppongono, così è addotto, una società Cristiana, non pluralistica, organizzata in modo chiuso, che segua un modo di vita agricolo che oggi è sempre più un ricordo del passato. Vi è una dose di verità in questo. Ma è anche necessario dire che il digiuno, come tradizionalmente praticato nella Chiesa, è sempre stato difficile e ha sempre comportato fatica. Molti dei nostri contemporanei sono disposti a digiunare per motivi di salute o di bellezza, al fine di perdere peso; i cristiani non possiamo fare altrettanto per amore del Regno dei cieli? Perché la rinuncia accettata lietamente dalle precedenti generazioni di ortodossi dovrebbe dimostrarsi un tale intollerabile onere per i loro successori oggi? Una volta a san Serafino di Sarov fu chiesto il motivo per cui i miracoli della grazia, così abbondantemente manifesti in passato, non fossero più evidenti ai giorni suoi, e a questo egli rispose: “Solo una cosa manca: una ferma determinazione”.
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