Miniatura della Pentecoste II. Evangeliario siriaco, XIII secolo. 1
Infuocati dallo Spirito
La tradizione liturgica della Chiesa siro occidentale,
chiamata anche Chiesa siro antiochena, possiede un’abbondante patrimonio di
testi di anafore eucaristiche, una settantina nell’insieme, di cui una ventina
soltanto edite finora. Testi di attribuzione e paternità molto varia: san
Giacomo primo vescovo di Gerusalemme, san Marco, san Giovanni Evangelista,
Dodici Apostoli, Gregorio di Nazianzo, Severo di Antiochia, Dioscoro, Giacomo
di Sarug, cioè nomi di apostoli, e di santi padri legati molti di essi alla
tradizione cristologica di questa Chiesa. Ci soffermiamo in modo particolare nell’epiclesi
che si trova in alcune di queste anafore, cioè la preghiera di invocazione
dello Spirito Santo sul pane e sul vino affinché diventino il Corpo ed il
Sangue di Cristo. In tutti i testi anaforici è sempre lo Spirito Santo colui
che è invocato per la consacrazione del pane e del vino, allo stesso modo che è
Lui che santifica e consacra l’acqua battesimale e l’olio santo. Filosseno di
Mabbug, vescovo siriaco nel VI secolo, dirà che: “I misteri appaiono agli occhi
degli uomini come semplici cose, ma per l’irruzione dello Spirito Santo
ricevono una forza soprannaturale; l’acqua, da una parte, diventa grembo
materno che genera dei figli alla vita dello Spirito. L’olio riceve la forza
santificatrice che unge e consacra allo stesso tempo corpo ed anima; il pane ed
il vino diventano il Corpo ed il Sangue del Figlio di Dio fatto uomo”. Il
tema dell’acqua come grembo e il battesimo come nascita è un aspetto molto tipico
della teologia siriaca; inoltre ci troviamo di fronte ad una forza e ad una presenza
misteriosa che agisce ed opera nell’eucaristia; si tratta di una trasformazione
e di una presenza divina dello Spirito Santo. Efrem, in una omelia sulla
Settimana Santa afferma: “Voi mangerete una Pasqua pura ed immacolata, un pane
lievitato e perfetto che lo Spirito Santo ha preparato e ha fatto cuocere, un
vino mescolato di fuoco e di Spirito: il Corpo ed il Sangue di Dio, che fu
vittima per tutti gli uomini”.
Nelle anafore il
sacerdote, dopo la narrazione dell’istituzione dell’eucaristia, invoca lo
Spirito Santo sui doni e sulla comunità ecclesiale: “Ancora ti chiediamo,
Signore di tutto e Dio delle potenze sante, prostrandoci davanti a te sul
nostro volto, di mandare il tuo Spirito Santo su queste offerte qui poste…. E
rivela che questo pane è il Corpo prezioso del nostro Signore Gesù Cristo… E
che questo calice è il Sangue del nostro Signore Gesù Cristo…. Perché questi
santi sacramenti siano per tutti coloro che ne prenderanno: vita, risurrezione,
remissione dei peccati, guarigione dell'anima e del corpo, illuminazione
dello spirito, giustificazione davanti al tremendo tribunale del tuo Cristo…”
(Dodici Apostoli). Nell’anafora di san Giacomo troviamo ben presente tutta la
teologia dello Spirito Santo sviluppatasi nella seconda metà del IV secolo, in
tre aspetti ben concreti, cioè in quello che lo Spirito Santo è: “il tuo
Santissimo Spirito, che è Signore e dà la vita, assiso sul trono insieme con
te, Dio e Padre, e con l’unigenito Figlio tuo, che regna con te, della stessa
sostanza, coeterno, che ha parlato nella legge, nei profeti e nel Nuovo
Testamento...”. Poi in quello che lo Spirito fa, cioè la santificazione dei doni:
“Affinché per la sua venuta faccia di questo pane il Corpo di Cristo... E di
quello che è mescolato in questo calice il Sangue di Cristo...”. Quindi in quello
che i Santi Doni diventano per i fedeli e per la Chiesa: “Affinché questi
misteri diano a coloro che li ricevono e ne partecipano, santità dell’anima e
del corpo, e producano in essi frutti di buone opere, raffermino la tua santa
Chiesa, che tu hai fondato sulla roccia della fede, e contro di essa le porte
degli inferi non prevarranno, preservandola da ogni eresia e degli scandali di
coloro che trasgrediscono la fede…”. Quindi da sottolineare la dimensione ecclesiologica
della teologia dello Spirito Santo nelle anafore siriache: la santificazione
adoperata dallo Spirito sui Santi Doni è in vista alla santificazione dei
fedeli, alla purificazione delle loro mancanze e al perdono dei loro peccati.
Inoltre nell’anafora attribuita a san Giovanni Evangelista, troviamo una
triplice epiclesi, sul sacerdote, sui doni e sui fedeli: “Signore, pieno di
bontà e di misericordia, abbi pietà di me e manda su di me e su queste offerte
il tuo Spirito vivente, santo e vivificante… Che lui discenda su questi misteri
e li santifichi, affinché una volta sceso faccia di questo pane il Corpo di
Cristo nostro Dio, e di questo calice il sangue dello stesso Cristo nostro Dio.
Affinché questi misteri purifichino i cuori di coloro che ne parteciperanno,
rendano spirituali i loro pensieri e santifichino le loro anime…”. Riprendendo
l’immagine dello Spirito Santo adoperata nel testo sopra citato di sant’Efrem,
Lui è il fuoco nascosto che avvolge il sacerdote che adopera il sacrificio; il
fuoco che sorvola l’altare e che discende sui doni all’epiclesi.
Lo Spirito Santo quindi
come fuoco, ed i suoi effetti. Gli autori siriaci parleranno del calore, della lievitazione,
della cottura, dell’incandescenza..., applicate allo Spirito Santo, come
simboli di realtà spirituali. Parlando dello Spirito Santo come fuoco, vogliono
sottolineare l’opera divina dello Spirito Santo per mezzo dei Santi Doni:
diventati infuocati nello Spirito Santo, per mezzo di essi i fedeli sono
vivificati e ricevono i doni dell’immortalità.
All’invocazione del sacerdote, quindi, lo Spirito Santo,
donatore di vita, scende sulle offerte collocate sull’altare e che
rappresentano Cristo messo nella tomba. In qualche modo si può dire che il
sacerdote invoca lo Spirito Santo affinché renda presente la risurrezione di
Cristo sull’altare; cioè dia al Corpo di Cristo messo nella tomba l’immortalità,
l’incorruttibilità e lo faccia diventare, come abbiamo letto nell’epiclesi dell’anafora
di san Giacomo: “Corpo datore di vita, Corpo che dà la salvezza alle nostre
anime e ai nostri corpi, Corpo del Signore, Dio grande e Salvatore nostro Gesù
Cristo”.
P. Manuel Nin, Pontificio
Collegio Greco, Roma
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