Padre Lombardi: la delegazione vaticana
partirà ma non si sa con precisione quando. Le parole del patriarca Gregorio
III: "La solitudine dei cristiani nel paese in fiamme"
Si complica il puzzle della missione
vaticana in Siria. Annunciata martedì scorso dal segretario di Stato vaticano,
il cardinale Tarcisio Bertone, i dettagli sulla visita a Damasco di una
delegazione del Sinodo dei vescovi sulla nuova evangelizzazione – a parte la
sua composizione, compresa la presenza del porporato statunitense Timothy Dolan
– erano da subito stati pochi e incerti.
In
una breve dichiarazione rilasciata oggi, il portavoce vaticano, padre Federico
Lombardi ha precisato che la missione “continua ad essere allo studio e in
preparazione” e che l’obiettivo rimane quella di metterla in atto “quanto prima
possibile, per rispondere efficacemente alle finalità proposte di solidarietà,
pace e riconciliazione”. Ma, come ha
precisato lo stesso Lombardi in risposta alle domande dei giornalisti, la
partenza “non sarà domani” ed anzi la questione di quando la missione “possa
effettivamente avvenire” rimane “aperta”.
A
rendere più delicati i già difficili preparativi sono, come spiegato dal
portavoce, i “gravissimi fatti avvenuti recentemente nella regione”: ovvero,
l’attentato di venerdì nel quartiere cristiano della di Beirut, che ha fatto
otto morti tra cui il capo dell'intelligence, generale Wissam al-Hassan.
L’attacco
ha destabilizzato il già fragile equilibrio del Paese visitato appena un mese
fa da papa Benedetto XVI, ha scatenato la rabbia contro la Siria di migliaia di
libanesi scesi in piazza sabato e rischia di segnare una nuova tappa
dell’allargamento del conflitto al di là dei confini siriani.
Né
rendono più semplice il quadro le divisioni presenti tra gli stessi cristiani
siriani e nella gerarchia cattolica di fronte alla rivolta contro il regime di
Bashar al-Assad. In Siria, i cristiani temono da una parte l’aumento
dell’influenza dei gruppi fondamentalisti islamici e lo scatenarsi contro di
loro della stessa violenza che ha decimato la presenza cristiana in Iraq.
Ma
molti cristiani sono in prima fila nella rivolta, a cominciare da George Sabra,
portavoce del Syrian National Council, che ha partecipato un mese fa a un
incontro con il Papa. E se la linea del pontefice è chiara – valutazione
“positiva” del fenomeno delle primavere arabe, rifiuto della violenza,
richiesta di riaprire ad ogni costo il dialogo per uscire dall’impasse – anche
nella Chiesa non tutti sembrano sposare al cento per cento la sua linea. È il
caso, ad esempio, del più alto esponente della gerarchia cattolica siriana, il
patriarca melchita Gregorios III Laham.
A
Roma in questi giorni per il Sinodo dei vescovi, durante un incontro
organizzato da “Aiuto alla Chiesa che Soffre” sabato il patriarca ha tracciato
un quadro idilliaco della situazione in Siria, senza citare o quasi Assad. La
Siria è il Paese “più libero” e avanzato del mondo arabo, ha detto il patriarca
al suo pubblico: scuole e ospedali sono gratuiti, il tasso di alfabetizzazione
è il più alto della regione, l’economia e l’iniziativa privata sono libere, le
donne godono di pieni diritti e sono attive in tutti i rami della società,
tutte le fedi sono libere di esprimersi senza restrizioni. Anche dal punto di
vista politico, la nuova Costituzione approvata in tutta fretta da Assad dopo
l’esplosione della rivolta “include i principi della democrazia islamica”
elaborati dall’università Al-Azhar dopo la “primavera” egiziana. Le elezioni
dello scorso maggio - in piena guerra civile, considerate un farsa dalla
comunità internazionale e boicottate dall’opposizione – sono state per Laham
“libere”, con la partecipazione di almeno 15 partiti. Quanto alla polizia
segreta, era “terribile” sotto Hafiz al-Assad, padre di Bashar, ma oggi si può
parlare liberamente, anche se con qualche cautela. “Ma d’altra parte – ha
aggiunto il patriarca – anche in Europa se si vuole dire qualcosa contro gli
ebrei, è meglio abbassare la voce…”.
I
ribelli, secondo Laham, sono “stranieri, controllati dagli stranieri e armati
dagli stranieri”: “È assurdo dire che combattono per la libertà perché in Siria
c’è già la libertà. Se vogliono la libertà, vadano in Kuwait o in Arabia
Saudita e vedano quanta ne trovano…”
Anche
alla luce di queste dichiarazioni, i dubbi e le domande aperte sulla prossima
missione vaticana rimangono molte, soprattutto per quel che riguarda eventuali
contatti con esponenti dell’opposizione. La Santa Sede sa di non poter scontentare
il regime per evitare possibili ritorsioni sui cristiani ma è anche consapevole
del rischio che la missione si riduca ad una “pubblicità” gratuita per lo
screditato regime di Assad. Al di là delle date, in Vaticano sottolineano che,
data la situazione del Paese, è impossibile definire un anticipo un “programma”
della missione.
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