Oggi la croce diventa
legno della misericordia e della carità di Dio.
La festa del 14 di settembre porta
come titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina: “Universale Esaltazione
della Croce Preziosa e Vivificante”; è una festa di origine gerosolimitana
collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione edificata sulla
tomba del Signore nel 335. Presentiamo un’omelia tenuta in questa festa, dal
vescovo Severo, patriarca di Antiochia. Nato a Sozopoli di Pisidia nell’Asia
Minore nella seconda metà del V secolo. Diventato monaco nel monastero di
Maiuma di Gaza, ben presto aderì a posizioni cristologiche in confronto con
quelle emerse dal concilio di Calcedonia del 451. Per tre anni, dal 509 al 512
abitò a Costantinopoli, e il 6 novembre del 512 fu eletto patriarca di
Antiochia. Sei anni dopo, nel 518, l'elezione imperiale di Giustino provocò una
forte reazione pro calcedoniana; e Severo fu deposto e fuggì nell'Egitto,
dove morì l'8 febbraio 538. Le sue opere, distrutte nel suo originale greco, si
conservano in una traduzione siriaca e frammenti di una traduzione copta. Durante
i sei anni del suo episcopato ad Antiochia, Severo predicò le 125 omelie
chiamate "cattedrali", cioè predicate nel periodo che occupò la
cattedra antiochena. Buon predicatore, Severo mostra in queste omelie i due
aspetti più importanti della sua personalità: da una parte il teologo,
preoccupato per la fedeltà ad una cristologia d'accordo con quella che per lui
è la tradizione dei Padri; dall'altra il monaco e il pastore che commenta per
la sua Chiesa la Parola di Dio. Di Severo per la festa dell’Esaltazione della
santa Croce abbiamo un’omelia, predicata il 14 settembre 513. Alcuni indizi lungo
l’omelia, ci indicano che durante la celebrazione liturgica è stata fatta
un’ostensione e una benedizione con la croce e una sua venerazione da parte dei
fedeli.
Severo inizia la sua omelia
spiegando al suo uditorio il perché della celebrazione odierna: allo stesso
modo che nell’Antico Testamento si parla della celebrazione annuale della
dedicazione del tempio, anche per i cristiani la celebrazione della croce suppone
la venerazione di quel segno, la croce, con cui si consacrano i templi
cristiani e i fedeli stessi: “Se per il tempio di Gerusalemme gli antichi
celebravano la prima dedicazione…, anche noi dobbiamo celerare questa festa in
onore della croce venerabile di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, essa
che consacra ogni tempio e porta a termine ogni sacrificio spirituale…”. Severo
insiste nel sottolineare che la croce si celebra non perché essa ne abbia
bisogno, ma perché la nostra vita cristiana ha bisogno di questo rinnovamento:
“Non che il ricordo della croce sia invecchiato in noi…; ma vi mostriamo e vi
presentiamo la croce perché è l’inizio di una vita nuova ed evangelica…”.
Severo poi sviluppa tutto un
parallelo tra l’albero del paradiso e l’albero della croce: “Quando parlo della
croce parlo dell’albero, dell’antico e del nuovo; l’antico che fu piantato nel
bel mezzo del paradiso e di cui non si poteva mangiare il frutto…; il nuovo in
cui fu crocefisso Colui che si era incarnato…”. La croce è il vero albero della
conoscenza del bene e del male; ed è importante notare che il bene, per Severo,
è la confessione di fede trinitaria e la vera professione di fede ortodossa
(nella linea cristologica severiana opposta al concilio del 451): “La croce ha
fatto risplendere su di noi l’insegnamento della predicazione evangelica e
quindi abbiamo corso verso il bene che è la fede nella Santa Trinità e la
professione di fede senza errore; e ci siamo allontanati dal male…”. Proseguendo
con il parallelo tra i due alberi, Severo presenta il Verbo di Dio incarnato,
che lui nell’omelia chiamerà sempre l’Emmanuele, come colui che insegna ai
cristiani la vera conoscenza del bene e del male: “E a noi, istruiti ed educati
non da un soggiorno nel Paradiso… ma dalla legge e dai profeti, l’Emmanuele,
medico sapiente e dottore delle nostre anime, al tempo opportuno ci ha permesso
di mangiare dal frutto dell’albero, avendo noi imparato che è lui stesso
l’albero della conoscenza del bene e del male…”. L’immagine dell’albero porta Severo
ad identificare Cristo stesso e la sua croce. E sempre nel contesto della
narrazione dal libro della Genesi da cui Severo prende spunto, vediamo accostata
l’immagine del cherubino messo alla porta del paradiso, che diventa il
cherubino di fronte alla croce vittoriosa: “Dio mise un cherubino con una spada
fiammeggiante per custodire il cammino verso l’albero della vita; il cherubino
affinché noi sapessimo che l’albero della croce è l’albero di Dio, di fronte a
cui stanno i cherubini… L’Emmanuele stabilì la spada fiammeggiante quando entrò
nel paradiso, e l’ha ritirata quando ha fatto entrare con lui anche il ladro…”.
Le liturgie orientali hanno sviluppato poi tutta la simbologia della croce come
chiave con cui si riapre la porta del paradiso.
Severo prosegue con una lunga serie
di immagini veterotestamentarie che sono viste come prefigurazione della croce
stessa: “E’ stato anche il pregiato legno della croce che ha fatto cessare il
diluvio nei giorni di Noè. La colomba, presa come figura dello Spirito Santo,
ritornò all’arca all’ora del tramonto, portando un ramo di ulivo ad indicare
che la terra era asciutta. Anche per noi la croce è diventata il legno della
misericordia e della carità; legno che l’Emmanuele, per la sua misericordia
verso di noi, ha preso su di se; e che lo Spirito Santo ha annunziato per mezzo
della bocca degli apostoli…”. E Severo prosegue con tante altre immagini che
prefigurano la croce: il bastone di Mosè in Egitto di fronte al faraone, e
nella vittoria contro Amalek.
Severo prosegue l’omelia ricordando ai
fedeli che lo ascoltano il terremoto di Antiochia del 14 settembre 458; da buon
oratore approfitta questo fatto, nella tradizione oratoria della predicazione
antiochena e crisostomiana, per esortare il suo uditorio nella loro vita
cristiana e nella loro necessaria carità verso i bisognosi, come la mostrarono appunto
gli antiocheni nei giorni del terremoto. Nell’ultima parte dell’omelia Severo
riprende il tema della croce, presentandola come baluardo e come altare su cui
si è offerto come vittima il Verbo di Dio incarnato: “Per questo, quando
presentiamo davanti a voi il legno della croce, facciamo memoria del Dio che si
è incarnato, vittima immolata per tutti noi… Perché l’altare propiziatorio
veramente è la croce, come l’ha indicato il profeta Ezechiele nella visione del
tempio spirituale che doveva venire, cioè la Chiesa… L’altare di legno è la
croce su cui Cristo si è offerto come vittima spirituale, lui il Verbo di Dio
che per noi si è incarnato e noi siamo innalzati alla conoscenza della Trinità
santa”. Infine Severo conclude spiegando il significato della croce innalzata
verso i quattro punti cardinali del mondo, evocando sicuramente il gesto fatto
con la croce benedicente tutto il mondo nella liturgia di questo giorno:
“…Colui che è stato disteso sulla croce e ha sofferto nella carne, è il
Signore, creatore e artefice dei quattro angoli della terra e che tutto
riempie”.
P. Manuel Nin, Pontificio Collegio Greco, Roma
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