Veduta panoramica del villaggio di Maaloula - Siria
Il giorno 24 settembre nei
calendari liturgici delle Chiese cristiane si celebra la festa di santa Tecla,
che nel sinassario della Chiesa bizantina viene chiamata “megalomartire e
isapostola (pari agli apostoli)”, a causa del suo tradizionale vincolo con
l’apostolo Paolo. La celebrazione di questa grande martire, mi ha portato nel
ricordo e nella preghiera a Maaloula, quel luogo nella Siria che ne custodisce
il sepolcro, che dal primo secolo fino ai nostri giorni conserva la
testimonianza del sangue versato per Cristo. La celebrazione di santa Tecla mi
ha portato anche alla sponda occidentale del Mediterraneo, alla sede “paolina”
di Tarragona che venera Tecla in modo speciale. Tra le due rive del Mediterraneo
la festa della santa martire diventa una festa oserei dire “pontifex” tra
Oriente ed Occidente, dalla Siria a Tarragona. Oriente ed Occidente che hanno
camminato insieme lungo i secoli nella devozione ai martiri, adeso nei nostri
giorni non possono ignorarsi nella difesa e nella memoria dei cristiani delle
terre del prossimo oriente.
Maaloula è un piccolo e
bellissimo villaggio della Siria, arroccato nelle montagne che fanno di frontiera
con il Libano; quasi la porta di passaggio o di ingresso tra l’uno e l’altro
dei due paesi fratelli. Infatti il significato siriaco della parola Maaloula è
“entrata, ingresso”. È un piccolo villaggio con delle casupole che scendono
verso la valle, verso il deserto lungo la schiena delle montagne del Qalamun,
la catena dell’Antilibano.
Vi risiedono qualche migliaio di persone a
maggioranza cristiana, e si trova a una cinquantina di chilometri a nord di
Damasco. Questo villaggio incorniciato tra le montagne e il deserto, di una
bellezza unica; piccolo alveare di case bianche che fanno un tutt’uno quasi
senza soluzione di continuità col giallo delle montagne; questo piccolo borgo
che possiede uno dei monasteri più antichi della zona dedicato ai santi martiri
Sergio e Baco, curato dai monaci salvatoriani della Chiesa melchita greco
cattolica; questo paesino che custodisce il corpo della santa martire Tecla, la
discepola di Paolo; questa piccola comunità che si esprime nella lingua con cui
il Signore insegnò ai suoi discepoli a pregare e dire “Abbun…”, Padre nostro... Questo villaggio piccolo, luminoso dal biancore delle
mura delle case e dalla fede dei suoi abitanti a stragrande maggioranza cristiani,
sia greco cattolici che ortodossi; curato e custodito come un gioiello da
coloro che da secoli vi abitano, nei nostri giorni è emerso in prima pagina
della cronaca, per pochi giorni purtroppo come notizia, ma per molti giorni, troppi
silenziosamente martellato e trucidato dalle armi impietose di coloro il cui
unico linguaggio è la costrizione e la violenza; un linguaggio che non conosce sicuramente
quella lingua con cui il Signore insegnò a perdonare e pregare per i
perseguitori. Paesino luminoso che nei nostri giorni si è tinto di rosso, di
nero… Di rosso col sangue di tanti dei suoi abitanti che l’hanno versato per
causa della loro fede in Colui che parlava la loro stessa lingua, in Colui che
insegna loro il perdono, la riconciliazione; in Colui che chiama loro e anche noi
“beati” quando siamo operatori di pace, quando siamo perseguitati, uccisi a
causa del suo nome. Di nero dal fumo delle chiese, delle case e dei monasteri
bruciati e distrutti; dal fumo delle armi, e dell’accecamento che impedisce di
vedere altro cammino che l’uso della forza e della morte.
Interno dell Chiesa Ortodossa di Maaloula
Visitai quella regione nel mese di luglio 2008 assieme a
un gruppetto di due sacerdoti e due seminaristi greco cattolici libanesi e
siriani. Una visita di soltanto due giorni in quella parte della Siria, un
viaggio che comprese Damasco, Maaloula e Saydnaya, un altro paesino questo a
pochi chilometri dal primo con delle testimonianze cristiane importanti. Fu
certamente un pellegrinaggio al luogo della conversione di Paolo, la visita a
quella “via diritta” a cui fu mandato Anania alla ricerca di quell’uomo
accecato dalla luce del Risorto; il camminare per quelle stradine della vecchia
Damasco, quei cunicoli da cui pareva che da un momento all’altro poteva
apparire l’apostolo delle genti in tutta la sua statura, con tutta la forza
della sua parola. Potei stare poche ore in quel luogo ma gustai l’accoglienza
fraterna dei sacerdoti del patriarcato greco cattolico di Damasco. La visita a Maaloula
e Saydnaia invece fu di un giorno e mezzo; è una regione che conta con una grande
quantità di chiese e di monasteri. La tradizione vuole che santa Tecla si sia rifugiata
nella zona di Maaloula per sfuggire alla persecuzione della sua famiglia dopo
essersi convertita al cristianesimo grazie a San Paolo. Per nascondersi ai
persecutori Tecla fuggendo si rifugiò tra le montagne che aprirono come un
grembo le sue pareti per farle un passaggio; fessure tra le montagne ancora
visibili nei nostri giorni.
Sacerdote celebra la Divina Liturgia,
Nel monastero di Mar Sarkis (san Sergio) fummo
accolti dal monaco salvatoriano che in quei giorni si trovava come custode del
luogo; già alunno del Pontificio Collegio Greco di Roma, è uno dei principali
conoscitori e studiosi delle tradizioni musicali bizantine. L’accoglienza
veramente fraterna protrattasi per un paio d’ore attorno a un caffè, ma
soprattutto attorno alla storia di quel luogo venerabile raccontata con la
passione e l’amore di qualcuno che racconta la storia della propria famiglia,
la storia “di casa”; la visita dettagliata del monastero, della bellissima
chiesa, con delle icone di uno splendore unico, attorno a quell’antichissimo
altare semi circolare sicuramente precedente al concilio di Nicea del 325; accoglienza
veramente fraterna che si concluse con la preghiera del Padrenostro nella
lingua del Figlio Unigenito, Verbo di Dio incarnato.
Oggi le notizie, che ci arrivano di Maaloula sono poche,
confuse, frammentarie, ma tutte ci parlano di sofferenza, di distruzione, di
morte. Di persone innocenti, uomini, donne, bambini, preda della rabbia ceca. Oggi
Maaloula è stata saccheggiata nelle loro chiese, monasteri, case; nelle loro
sacre icone, rubate e profanate; in quella che è l’icona per eccellenza, l’uomo
e la donna di quei luoghi da sempre pacifici, tolleranti, dialoganti, da sempre
beati perché operatori di pace. Quasi duemila anni fa le montagne siriane
attorno a Maaloula si aprirono per accogliere la grande martire Tecla; quelle
stesse montagne, quelle stesse terre continuano ad aprirsi e accogliere oggi le
lacrime, il sangue, la testimonianza cristiana dei nostri fratelli che in quei
luoghi come Tecla confessano Cristo, confessano il Risorto che continua, ne
siamo certi, a farsi vivo nel cammino di Damasco.
P. Manuel Nin, Pontificio
Collegio Greco,Roma.
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